Direttore editoriale:
Elso Simone Serpentini
Direttore responsabile:
Franco Baiocchi
Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Diarchie democristiane,
vecchie e nuove

4 luglio 2014

Non ricordo se mi telefonò lui o mi fece telefonare. Ricordo che mi disse, o mi fece dire, che desiderava parlarmi di persona e mi invitò, o mi fece invitare, ad andare da lui in banca per un colloquio. Ci andai. Lino Nisii, “l’avvocato”, mi ricevette con modo garbati, nel suo ufficio di presidente del consiglio di amministrazione della Tercas. Fu gentile nei modi quanto duro nei concetti espressi e nelle accuse: come direttore editoriale di Verde Tv e conduttore di una trasmissione sportiva, a suo dire facevo un “uso criminoso” della televisione.

Sottoponevo a pressanti critiche l’andamento in campionato della Teramo Calcio non tanto perché giocava male, o almeno non solo per quello, ma perché il mio editore, e proprietario della maggioranza delle quote di Verde TV, Aristide Malavolta, intendeva acquistare la società calcistica da Giovanni Cerulli Irelli, il quale invece non intendeva cederla. E lui era d’accordo che non la cedesse, perché, spiegò; Malavolta la Teramo Calcio non l’avrebbe avuta mai e lui avrebbe fatto di tutto per non fargliela avere. (Tutti sanno che poi l’ebbe, e proprio con l’avallo necessario e indispensabile del presidente Nisii). Usò parole dure nel tentativo di convincermi dell’opportunità che Verde TV mutasse rotta e passasse da una critica intransigente all’andamento in campionato della squadra ad un atteggiamento più benevolo.
     Quando riferii il colloquio (ovviamente) al mio editore Malavolta, facendogli notare che trovavo l’iniziativa intrapresa dall’avv. Nisii un atto di arroganza e un segnale di prova di forza, mi sentii dare una diversa interpretazione: non era una dimostrazione di forza, anzi, era una dimostrazione di debolezza. Rimasi della mia opinione. Verde TV non mutò atteggiamento e le critiche alla squadra continuarono fino a quando i risultati furono negativi, si attenuarono quando e se furono più positivi. Ma non fu una grande stagione. Non ricordo bene se fu quell’anno che la squadra retrocesse fra i dilettanti.
    Un altro giorno il mio editore Malavolta mi telefonò per invitarmi, come faceva con una certa frequenza, nel suo ufficio, presso la Foodinvest, la sua azienda, per un colloquio, al quale, mi disse avrebbe preso parte, se io lo avessi accettato come interlocutore, anche l’on. Antonio Tancredi, parlamentare democristiano. Accettai e andai. Fu un colloquio certamente “strano”, condotto da me e da Malavolta in punta di fioretto e da Tancredi con la stessa arma, ma, in alcuni passaggi, con un tentativo di uso della clava. Espose anche a me le sue rimostranze, come aveva fatto con Malavolta, per come Verde TV si comportava nei suoi confronti, per le critiche che gli rivolgeva, per qualche accusa che gli faceva e per, così disse, “un evidente pregiudizio verso di lui, per partito preso, verso le sue iniziative politiche e verso la sua persona”. Malavolta svolse, compiacendosene, un ruolo da mediatore, volendo mostrare di non prendere né le ragioni dell’uno né le ragioni dell’altro. Anzi, cercò di convincere ciascuno di noi due, il suo direttore editoriale e il suo amico politico, a tener conto delle ragioni dell’altro. Solo in alcuni passaggi del lungo colloquio cercò di esercitare una certa maggiore pressione su di me. Io feci notare al politico che la linea editoriale di Verde TV era quella, che tutta la redazione aveva diritto ad esprimere le proprie opinioni su tutto e su tutti. Gli dissi che non c’era alcun pregiudizio né alcun partito preso, ma solo analisi, soggettiva, libera e indipendente, dei fatti e dei comportamenti politici. Feci notare al mio editore che la linea editoriale della televisione veniva scelta dal suo direttore editoriale, cioè io, e che questo mi era consentito, anzi, era mio dovere fino a quando avrei goduto della sua fiducia. Se questa fosse venuta meno, avrebbe potuto scegliere un altro direttore editoriale con una diversa linea. Rispose che la sua fiducia c’era ancora, ma mi suggerì di essere un po’ più benevolo, se potevo, nei confronti dell’on. Tancredi. Ci congedammo con la massima cordialità e, ovviamente, la linea editoriale di Verde TV non mutò di una virgola.
   Lino Nisii e Antonio Tancredi: due democristiani, due componenti di una diarchia democristiana che a Teramo ha dettato il bello e il cattivo tempo. Hanno esercitato il potere, ciascuno a modo suo, e ne hanno goduto i frutti: in termini personali, sul piano del prestigio e dell’autorevolezza; in termini politici, sul piano dell’esercizio di una leadership indiscussa nella rispettiva corrente. Erano apparentemente in contrasto tra loro, perfino in guerra, in alcuni momenti se le sono date di santa ragione. Anche i loro uomini si sono fatti reciprocamente la guerra, con qualche cambiamento di campo e con qualche salto della quaglia. Ognuno aveva il suo stile. Di Tancredi si ricordano le terribili sfuriate contro i suoi, quando sbagliavano, e personaggi pure autorevoli tremavano come foglie davanti a lui, mentre li scudisciava, a parole, o minacciava di farlo. Dispensava oneri e onori, premi e castighi, come un “Minosse che la sua coda avvinghia”. Di Nisii si ricordano il tono sarcastico e beffardo che usava con i suoi che non si rivelavano all’altezza. Una volta a Verde Tv a Franco Iachini, che era tra quanti gli facevano corona accompagnandolo ad una trasmissione elettorale, sibilò fuor dai denti, per rimproverarlo di aver lasciato in auto la sua agenda: “Iachì, tu quesse avìje venùte a fà”. Non dispensava onori, ma solo oneri. Un suo vanto era quello di non accettare raccomandazioni e di non fare favori (salvo una ristrettissima cerchia di amici, meno delle dita di una mano). Questa sua scelta l’ha pagata nelle rare candidature alle elezioni, in cui troppa gente aspettava il momento di vendicarsi di lui e delle sue ripulse non votandolo e facendolo perdere clamorosamente (una volta arrivò addirittura terzo dietro Pulcini e Mazzitti nell’ordine). Non praticando il clientelismo, al contrario del suo avversario Tancredi, elettoralmente non è riuscito mai a fare molta strada, anche per il suo carattere ritenuto troppo arrogante e presuntuoso. La consapevolezza della sua superiorità intellettuale su chiunque lo avvicinasse risultava in molti insopportabile, sì che era temuto ma non amato, al contrario di Tancredi, che era non solo temuto e riverito, ma anche amato. Quando “Tonino” fu a lungo degente per un incidente automobilistico avvenuto proprio sotto il traforo per la cui realizzazione si era tanto battuto, i suoi vassalli attesero fremendo il giorno in cui, fuori pericolo e convalescente, fosse stato in grado di ricevere visite e ognuno cercava di essere il primo ad andare a trovarlo in ospedale. Il buon Lucio Cecchini menò per anni il vanto di essere riuscito ad essere lui il primo. La diarchia avrebbe potuto essere risolta in monarchia. In tempi diversi ciascuno dei due diarchi ebbe l’opportunità di prevalere sull’altro in modo definitivo, di finirlo e di ridurlo in prigionia o in uno stato servile, non più alla pari. Ma nessuno dei due lo fece mai e, arrivata la possibilità del colpo di grazia, questo non arrivò mai. Restarono così a lungo in due, come i due punti estremi del pendolo della politica teramana della democrazia cristiana. Quanto il partito di Don Sturzo crollò, ci furono degli aggiustamenti, in base ai quali Tancredi e Nisii diventarono i due leader dei contrapposti schieramenti di centrodestra e di centrosinistra. Continuarono ad essere i diarchi, ciascuno a capo di un proprio regno. Nessuno avrebbe potuto candidarsi sindaco di Teramo nell’uno o nell’altro schieramento senza l’assenso e l’avallo del capo. Morto Tancredi e disarcionato da cavallo Nisii, la loro diarchia è finita, ma non per questo è finita a Teramo la diarchia. Ed è ancora democristiana, perché vassalli, valvassori e valvassini sono tutti democristiani e solo le pedine, o i pedoni (nemmeno le torri, i cavalli e gli alfieri sfuggono alla regola) non lo sono, ancora venati da colorature ideologiche diverse. La diarchia attuale è però tutta nel campo del centrodestra, almeno per ora. Paolo Tancredi e Paolo Gatti (tornerò prossimamente sulla mia teoria dei “Beati Paoli teramani”) hanno già mostrato di non volersi fare la guerra, almeno per ora, e come Tancredi senior e Nisii, nessuno vuol “finire” l’altro e nemmeno provarci. Si dirà: ma il centrosinistra? Nisii non ha lasciato eredi e Ginoble, democristiano anche lui, continua ad essere un vassallo che si accontenta di conservare il suo staterello personale, senza ambizioni più grandi di quelle di un capomastro di paese. Lui non è della pasta di quelli che dicono: “Aut Caesar aut Nihil”.

 

Elso Simone Serpentini

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