Direttore editoriale:
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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Hic manebimus optime

10 giugno 2014

SERPENTINI – Sei tu il centurione, quel centurione?
CENTURIONE – Sì, proprio io in persona, quel centurione.
SERPENTINI – Raccontami come avvenne quel che avvenne e che ti ha reso celebre, anche se la storia non ha tramandato il tuo nome, ma il tuo detto.
CENTURIONE – Brenno con i suoi Galli aveva da poco saccheggiato Roma e da poco si era allontanato, lasciandola un cumulo di macerie. I senatori erano riuniti a consiglio nella Curia Ostilia. C’erano quelli che proponevano di lasciare la città e di trasferirsi a Veio, c’erano quelli che proponevano di restare e di ricostruirla.

SERPENTINI – In quel mentre arrivasti tu, con la tua centuria. Piantasti le insegne e profferisti il tuo celebre “hic manebimus optime”, qui resteremo ottimamente.
CENTURIONE – Sì, ordinai al signifero: “Pianta l’insegna qui” e aggiunsi: ”Hic manebimus optime”, intendendo dire: “Questo è il posto giusto per noi”.
SERPENTINI – Ma i senatori, riuniti dentro in consiglio, sentirono la tua voce e interpretarono la tua frase come un presagio e furono tutti concordi nel rimanere a Roma e ricostruirla, anziché lasciarla e trasferirsi a Veio. E poco dopo anche la plebe, accorsa tutta intorno, acclamò la decisione.
CENTURIONE – E’ proprio quello che avvenne.


    “Hic manebimus optime”. L’espressione, rimasta celebre, è stata nel corso dei secoli interpretata a volte diversamente, con connotazioni metaforiche di diverso orientamento. Gabriele D’Annunzio l’assunse come motto, con il significato di «siamo qui per restare», e la fece stampare con la sua effigie sulla prima serie di francobolli della Reggenza Italiana del Carnaro, emessa il 12 settembre 1920. Il poeta Eugenio Montale la inserì come citazione nella sua poesia “Al mare (o quasi)”, scrivendo: « Hic manebimus, se vi piace, non proprio / ottimamente, ma il meglio sarebbe troppo simile / alla morte (e questa piace solo ai giovani). » E’ stato detto che l’espressione usata dal centurione che mi è venuto in sogno ieri sera fosse, nelle sue intenzioni, un’espressione di risolutezza e forse lo era: un ordine impartito, una decisione presa. Ma io l’ho sempre interpretata diversamente, con il significato di un ottimismo acquiescente e di una accettazione del tempo e del luogo in cui si vive. “Qui staremo benissimo”, nel senso di “Chi ce lo fa fare a cambiare posto e/o situazione? Non ne vale la pena”.
    
Poiché i sogni non vengono mai a caso, mi sono chiesto come mai mi fosse venuto in sogno proprio quel centurione nella notte successiva al ballottaggio teramano e se quella sua frase tanto celebre fosse stata oniricamente evocata dal dio Morfeo per aiutarmi a capirne l’esito. Dopo averci un po’ riflettuto, ho dovuto ammettere che davvero era possibile che si trattasse di un aiuto ermeneutico che mi si voleva dare per aiutarmi a interpretare una realtà difficilmente interpretabile. “Hic manebimus optime” mi è sembrata un’espressione che spiegasse assai bene il senso della conferma a sindaco di Brucchi dal suo punto di vista: quello di una vittoria conseguita come legittimazione di un’occupazione “manu militari” della città di Teramo da parte sua e dei suoi, nella cui considerazione i nemici sconfitti sono o buffoni o schiavi predestinati. Ma ravviso un significato leggermente diverso in coloro che, votandolo, lo hanno confermato come primo cittadino: “Qui, in questa città da te amministrata così bene, stiamo così bene da volerci rimanere e senza cambiare nulla, né te come sindaco né i tuoi assessori, che abbiamo votato in massa. Non potremmo vivere in una città migliore, per questo siamo contrari ad ogni cambiamento”.
    
Nel primo turno si erano espressi in proposito 33.694 cittadini teramani e di questi 16.692 votando per Brucchi, si erano detti contrari al cambiamento; 17.154, votando candidati diversi dal sindaco uscente e alternativi a lui, si erano detti favorevoli al cambiamento, pur differenziandosi nell’individuare chi avrebbe dovuto incarnarlo come nuovo sindaco. Prescindendo completamente da ogni valenza statistica e percentualistica (che non ci darebbe il senso materiale della vicenda), e considerando ogni numero solo l’espressione di voto di una persona, di un singolo, di un cittadino elettore, dopo il ballottaggio sono possibili riflessioni non prive di importanza. Al secondo turno i favorevoli a Brucchi e quindi all’ “hic manebimus optime”, i sostenitori della continuità senza cambiamento, sono passati a 13.616, quindi 3.076 teramani che avevano votato per lui non sono tornati a votarlo. Se i favorevoli al cambiamento al primo turno fossero tornati tutti a votare al secondo facendo confluire i propri suffragi su Manola Di Pasquale, affidando a lei i loro voti favorevoli al cambiamento, sarebbero stati 17.154, ma sono stati invece 12.812. In 4.342 non lo hanno fatto, o perché hanno cambiato idea sulla necessità di cambiare o perché non hanno ritenuto che votare Di Pasquale anziché Brucchi significasse cambiare. A pensarlo, invece, sono stati 4.347 cittadini teramani, che aggiungendosi agli 8.475 che già avevano votato per lei al primo turno le hanno consentito di arrivare alla quota di 12.812. Questo guadagno di 4.347 voti della Di Pasquale non è stato sufficiente a farla vincere, perché Brucchi, pur perdendo 3.076 voti rispetto al primo turno, non ne ha persi abbastanza, cioè altri 804, per andare sotto il previsto 50% più uno del totale di voti validi. Una maggioranza ristretta (ristretta, ma maggioranza) di teramani ha ritenuto di sancire e di riconoscere di vivere e di trovarsi così bene nella loro città da non doversi esprimere per un cambiamento, invocato al contrario da altri, che costituiscono la minoranza (di poco, ma minoranza).
    
Raccontata in termini numericamente crudi la storia del ballottaggio teramano è tutta qui, una scelta di non cambiamento da parte di una ristretta maggioranza di cittadini che, pur costituendo un’entità percentuale di un cittadino su 4 aventi diritto al voto, ma poco più di un cittadino su 2 che sono andati a votare, ha ritenuto di dare questa indicazione: a Teramo stavamo, stiamo e continueremo a stare ottimamente, senza doverci lagnare di nulla e, ammesso che qualcosa cosa c’è stato, ci sia o ci sarà che non è andato, non va e non andrà bene, Maurizio Brucchi è stato, è e sarà la persona migliore per trovare i giusti rimedi, perché lui è la soluzione, non il problema, come gli avversari dicevano. Il fatto che i suoi oppositori ed avversari lo additassero come UN o come IL problema e non come LA soluzione (ancor più che come UNA soluzione) ha fatto pensare a Brucchi che fosse cosa buona e giusta che lui li definisse “buffoni”. Del che i “buffoni” o ritenuti tali si sono molto lamentati. Su questo, pur essendo rimasto allibito, per quanto di becero e di rozzo ha il termine usato, per ora non mi pronuncio. Almeno non prima di aver avuto qualche sogno rivelatore e illuminante.
Per ora riconosco che si è battuto come un leone attaccato dalle iene nella savana, è stato ferito a sangue e quasi abbattuto, ma è riuscito a salvarsi grazie all’intervento dei suoi elettori delle frazioni, che gli hanno consentito di uscire salvo, leccarsi le ferite e lanciare un ruggito di soddisfazione che però è sembrato a molti un raglio. Era quasi morto, ma è stato resuscitato. Paolo Gatti gli ha detto: “Alzati e cammina!”


 


Elso Simone Serpentini

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