Caro amico ti scrivo…

(lettera al vecchio campo sportivo comunale)

 

 

 

             Caro amico, caro vecchio campo sportivo comunale. Sei più vecchio di me e, da vecchio (lo sono diventato anch’io, che per tanti anni ho detto di me e della mia generazione “noi giovani”), scrivo ad un vecchio. Quest’epoca non è molto tenera con i vecchi, ai quali si fatica a riconoscere un ruolo e una funzione. Sono lontani i tempi in cui nell’antica Atene ai vecchi venivano riservati nei teatri i posti privilegiati. Ho in mente un racconto di fantascienza in cui si parla di una società di un lontano futuro in cui i vecchi, per non essere di peso alla comunità, devono superare ogni anno un esame di sopravvivenza, dimostrando di fronte ad una commissione esaminatrice di essere ancora validi e mentalmente svegli, insomma efficienti. Nel racconto si parla di un nipotino che aiuta di nascosto della propria famiglia (perché suo padre vorrebbe tanto liberarsi di quel rudere di suo padre, considerato solo un peso economico) a preparare l’esame, mandando a mente le tabelline pitagoriche ed esercitandosi a scrivere componimenti e a rispondere a quesiti, fino alla notte precedente alla prova. Ma l’indomani il vecchio nonno, cui è venuto meno anche il coraggio, non si presenta all’esame e scompare nel nulla, senza molti rimpianti dei familiari, se non del nipotino.

            Ecco, caro amico, caro vecchio campo sportivo comunale, anche a te è stato fatto, forse a tua insaputa, un esame di sopravvivenza e gli esaminatori hanno deciso che non hai più un ruolo e una funzione. Ti hanno bocciato. Hanno sancito che devi essere abbattuto e che al tuo posto devono nascere un giovane teatro e alcune giovani ed avvenenti palazzine di privata abitazione, più un parcheggio sotterraneo per accogliere il sonno, diurno e notturno, delle nuove padrone del mondo: le automobili.

            Caro amico, mi rivolgo a te non in nome delle tante giornate passate insieme, tu ospite e protagonista io spettatore, di tante manifestazioni sportive: partite di calcio, gare di atletica, campionati studenteschi, perfino serate musicali e qualche concorso ippico. No, mi rivolgo a te non in nome della nostalgia, con la memoria rivolta alle tue curve non curve e allo sventolio delle bandiere e degli striscioni del tifo dei supporters calcistici. No, mi rivolgo a te per quel che sei ora. Per come ti vedo ora. Sono qui, mi vedi?, affacciato a questa finestra dell’Archivio di Stato, dove così spesso mi trovo a scartabellare vecchi fascicoli di vecchi processi alla ricerca della vita che c’è ancora in queste carte impolverate, e vedo frotte di bambini e adolescenti che calcano il tuo prato rincorrendo un pallone. Li sento, anche, cinguettare, vociare, chiamarsi a gran voce: “Passa… passa… crossa… tira!”. I loro istruttori li consigliano, li incitano… li rimproverano anche. Non sono in strada, a gustare il sapore amaro del non far nulla e del bighellonare; non sono alla ricerca di un momento di ebbrezza e di stordimento da droghe. No, sono qui che corrono e sudano e imparano, praticando lo sport, che cos’è la vita. Molti sognano di diventare campioni, pochi lo diventeranno, forse nessuno, non importa. Che corrano dietro ad una palla è un valore in sé, un valore sociale.

            Un cruccio mi inquieta, perché viene dietro ad una domanda: quando tu non ci sarai più, quando ti avranno abbattuto, quando al tuo posto ci saranno il nuovo giovane teatro e le nuove leggiadre palazzine, avvenenti, dove andranno questi bimbi e questi ragazzi (che sono decine e decine nel corso del giorno, centinaia nell’arco di un anno) per correre dietro ad un pallone? Dove potranno inseguire un sogno di gloria o socializzare praticando l’attività sportiva preferita? Dicono che ci sono a Teramo altri campi sportivi, altri luoghi, dove potranno andare. In periferia o nelle frazioni, ovviamente, perché nel centro storico le aree valgono troppo per destinarle a qualche cosa di diverso e di alternativo alla cementificazione e alla speculazione edilizia. Questi bambini dovranno recarsi in altri campi o campetti, a bordo delle vetture dei loro papà e delle loro mamme o a bordo dei furgoncini delle società sportive. I loro piedi irrequieti non calcheranno più la tua erba incantata, ma quella sintetica o mista a terra battuta di campi e campetti anonimi che, vedrai, dovranno anche loro sostenere prima o poi qualche esame di sopravvivenza, se chi ha il potere di vita e di morte deciderà che le loro aree sono diventate, anche in periferia o nelle frazioni, troppo di valore per non essere destinate anche quelle a una qualche edificazione.

            Caro amico, vecchio campo sportivo comunale, sono qui, con questi interrogativi, mentre l’immaginario Maradona, l’immaginario Mazzola, l’immaginario Cassano si passano la palla, gioiosi, cercando di disegnare sul tuo prato le migliori geometrie di gioco di sui sono capaci e che stanno imparando. Ecco, mi chiedo dove potranno e dovranno andare per continuare a farlo. E sono tanti, perché per tutto il pomeriggio giovani e bambini si susseguono e si alternano per ore per ore, e poi anche di sera, quando arrivano altri giovani, anche di altri sport, e si accendono per loro le tue luci artificiali. E tu sei sempre così ospitale, nonostante gli acciacchi… Hanno detto che ti abbattono perché non hai superato l’esame, perché sei vecchio, brutto e irrecuperabile. Le tue malattie le hanno definite inguaribili… Sei inoperabile. A chi ha proposto per te un maquillage, un po’ di chirurgia plastica, un rinnovamento delle arterie e delle vene, un ammodernamento delle strutture e delle forme, hanno risposto che non vale la pena. Che si può fare di un vecchio e per un vecchio? E’ meglio un campo sportivo vecchio o un teatro giovane? Sai in questa città, quando tu eri un uomo maturo e non ancora un vecchio decrepito, un giorno hanno abbattuto un vecchio teatro, perché, come te oggi, non aveva superato l’esame di sopravvivenza. Dissero che non valeva la pena di operarlo, che non si poteva salvare e fecero nascere al suo posto un nuovo cinema e un nuovo grande magazzino. E tutti fecero festa e accorsero gioiosi quando nacquero. Oggi sono diventati anziani anche loro, ma non sono ancora vecchi. Andrebbero curati, ma non li curano e per ora non c’è ancora nessuno che proponga per loro un esame di sopravvivenza. Lo faranno, quando coloro che hanno in questa città potere di vita e di morte decideranno che quell’area in centro storico è diventata troppo di valore per farvi restare un cinema diventato troppo vecchio e un grande magazzino diventato troppo piccolo.

            Caro amico, vecchio campo sportivo comunale, torno alle mie carte, carte di processi e di antichi delitti. Ti lascio… non posso occuparmi del delitto che ti riguarda: il tuo assassinio. La sentenza è scritta. Stanno per eseguirla, perché la domanda di grazia firmata da cinquemila cittadini teramani è stata respinta. Non posso fare niente altro per te, perché non ho potere, sono solo un libero pensatore e di questi tempi anche per i liberi pensatori le cose stanno ridiventando difficili. Sai, anche loro ogni tanto devono affrontare certi tipi di esame… Forse anche io dovrò cominciare tra breve, tra brevissimo, a prepararmi per gli esami di sopravvivenza, sia come libero pensatore sia come vecchio. Sento i giovani scalpitare intorno a me, ma per ora scalpitano soltanto, perché sono giovani che muovono le gambe ma non camminano e non vanno avanti, muovono le gambe ma restano sempre nello stesso posto, illudendosi di camminare.

            Ti lascio al tuo destino: la tua sorte è segnata. Sii gentile con quei bambini delle scuole calcio e accogli con gioia sul tuo prato verde le loro rincorse ad una palla: saranno le ultime. Molti non vedono quanto tu stai dando a questi bambini e a questi giovani, non vedono quanto ancora oggi tu sei ancora in grado di dare a questa città e quanto potresti ancora dare, se solo decidessero di ristrutturati un po’ per farti sembrare più giovane, come fanno le vecchie signore che riescono perfino a rendersi seducenti e appetitose.

            Caro amico, addio, un ultimo saluto ai tanti che hanno calpestato il tuo prato verde e un pensiero rabbioso (ma contenuto, per moderazione) verso chi oggi sta calpestando te.

            Tuo

 

            Elso Simone Serpentini