Direttore editoriale:
Elso Simone Serpentini
Direttore responsabile:
Franco Baiocchi
Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

I nove dell’Ave Maria

24 giugno 2014

Paolo Gatti. Ricordo quella sera in cui lo incontrai, giovanissimo, in una riunione piuttosto agitata nella quale io e lui eravamo solo spettatori, non protagonisti. Era il 1994. Io ero tornato in politica da poco, dopo 14 anni, perché mi era sembrato di cogliere in quella stagione (vedete quanto mi sbaglio spesso?) segnali di rinnovamento in una formazione quale Forza Italia, che si proponeva di cambiare l’Italia dopo gli scandali che avevano distrutto i partiti tradizionali. Si era fatto il mio nome come possibile candidato sindaco del centro destra teramano, in ballottaggio con un giovane avvocato. La mia candidatura era stata bocciata proprio dal partito che aveva raccolto l’eredità di quello nel quale avevo militato io negli anni ‘60’, ’70 e ’80. Così avevo deciso di accettare la candidatura al consiglio regionale propostami proprio da Forza Italia, tanto più che mi si offriva di fare il capolista nel collegio di Teramo.

Avevo accettato da pochissimo, quando avvenne questo nostro incontro, che ho evocato all’inizio. Era stato deciso dai vertici nazionali che le liste locali sarebbero state formate da Forza Italia e dal partito di Buttiglione, che raccoglieva gli epigoni della Democrazia Cristiana, e quest’ultimo insisteva nel proporre la candidatura di Gatti padre, ex sindaco democristiano di Teramo. Poiché si faceva resistenza sul suo nome, Gatti padre venne all’incontro, accompagnato da suo figlio, e gridò, a voce altissima: “Allora io candido mio figlio!” Non fu candidato il padre né fu candidato il figlio. Forza Italia era ancora un partito chiuso e non aperto agli ex democristiani. Restò sulle proprie posizioni fino a metà della campagna elettorale, quando, come ebbi modo di accorgermi, le porte si aprirono addirittura ad Antonio Tancredi che in pochissimo tempo e a forza di voti lo fece suo. Ricordo che fu condotta contro di me una guerra senza respiro e riuscii a difendermi solo in alcuni paesi (Penna Sant’Andrea, Martinsicuro), altrove fui travolto (a Mosciano, pur essendo capolista, presi solo un voto di preferenza). Persi le elezioni e furono eletti due ex democristiani, l’avv. Di Gialluca e il dott. Venturoni. Conclusa la fase elettorale, rifiutai ogni proposta di risarcimenti e compensi politici per la mancata elezione e abbandonai per la seconda e definitiva volta la politica. Il candidato sindaco del centro destra teramano, l’ing. Cameli, fu battuto da Sperandio, che poi avrebbe fatto il sindaco per nove anni, in controtendenza, come sempre a Teramo, rispetto alla realtà nazionale, dominata dalla destra berlusconiana.
    Ho richiamato questo antico ricordo che ho di Paolo Gatti giovanissimo perché nella nuova speranza di un rinnovamento possibile della politica e del suo rimodellamento sulla base di alti ideali e non di bassi interessi di parte, per un po’ ho pensato che a Teramo ci potesse essere davvero un cambiamento, non grazie alla sua parte politica, troppo legata al suo passato, ma grazie ai tanti che ad essa si opponevano e che costituivano potenzialmente un fronte assai vasto, che andava dal PD (a Teramo, per la verità sempre confuso e contraddittorio) alle liste civiche, alla sinistra alternativa e, novità importante, ai grillini. Quando il sogno del rinnovamento è tramontato e i teramani hanno scelto, sia pure per un pugno di voti, la continuità brucchiana al cambiamento quale che fosse (aiutati dagli “utili idioti” grillini e giannelliani, che non sono andati a votare non riuscendo a scegliere, tra due mali, il minore), mi era rimasta una residua, piccolissima, speranza che potesse essere proprio lui, Paolo Gatti, forte di un successo elettorale grandissimo, personale e politico, a portare qualche elemento di novità, anche perché mi sembrava avesse la stoffa per farlo, e ad avere la possibilità di sgretolare i vecchi metodi “tancrediani”, basati sul clientelismo e sulla volontà di decisione dei capibastone abituati a servirsi di servi (ricordate Totò? Se un servo non serve a che serve?). Pensavo: Gatti è il vero trionfatore di queste elezioni, ha un potere immenso, può fare tanto bene a questa città, se almeno volge nella giusta direzione la prora delle decisioni da prendere, non sulla base degli interessi di parte, ma sulla base degli interessi di tutti. Può convincere, ma anche costringere, Brucchi e i Tancredini a fare come dice lui e lui può dire cose buone.
     Il primo banco di prova, per Paolo, era la formazione della nuova giunta. Poteva convincere o costringere Brucchi a non farla troppo numerosa (considerato che gli assessori regionali sono solo sei), a farla sulla base di scelte oculate e lungimiranti, di qualità, non sulla base dei soliti criteri clientelari e del soppesamento delle forze in campo e delle richieste avanzate, a scegliere assessori “di peso” e di qualità, che fossero il meglio del meglio. Mi aspettavo, che Paolo Gatti fosse più generoso e più intelligente di Gianni Chiodi, il quale, diventato presidente della Regione, non ha pensato al bene dell’Abruzzo, ma solo a quello dei suoi compagni di merenda, che ha favorito al di là del merito e delle competenze.
    Le mie aspettative sono andate deluse. Una mattina, sotto elezioni, incontratici in piazza, Paolo Gatti rintuzzò la mia accusa di praticare una politica clientelare, spiegando che lui era di un’altra pasta rispetto a quella della quale ritenevo che lui fosse fatto. Devo, con rincrescimento, confermare le mie accuse e ribadire che anche lui è fatto proprio di quella pasta e che è ancora più grave che lui voglia negarlo. Adesso “so” che i suoi diecimila voti di preferenza e quelli avuti dalla lua lista alle comunali, la più votata, sono il frutto di una politica clientelare. Lo ha confermato lui, partecipando ad un tavolo (che ha registrato anche la presenza “illuminante” di un tal Giacomino Di Pietro) che ha scelto i nuovi assessori di Teramo in così gran numero, nove, proprio per soppesare, contrappesare e distribuire in base ad una logica spartitoria del “tanto a me, tanto a te”, finendo per sceglierli di basso profilo e di inattendibile autorevolezza. Anche lui, come Chiodi in regione, ha pensato non a Teramo, ma a sé, alla sua parte, alla sua lista, ai suoi compagni di merenda e, per avere, ha dato e concesso. Per poter imbarcare i suoi, e così in tanti, ha fatto salire sulla scialuppa altri ai quali non avrebbe dovuto concederlo né consentirlo. Se questa è stata la premessa, non oso pensare a quali altri compromessi e a quali altre concessioni vorrà e dovrà piegarsi. Avrebbe potuto determinare la situazione, è stato costretto a subirla. Lo farà ancora. Poteva dimostrarsi un principe e invece ha scelto di essere un ranocchio, al quale nessun bacio delle sue tante sfegatate ammiratrici darà la possibilità di tornare ad essere un principe. Poteva dire di no al più piccolo dei Tancredi in giunta (un vero schiaffo alla città e alla sua storia, tanto più se davvero avrà la delega, proprio lui, alla cultura) e invece gli ha detto sì. Non potrà ripetere il gioco fatto con Varrassi, quando disse sì (in un modo o nell’altro, sia pure tacendo e acconsentendo) e poi pretendeva di far credere di aver detto no. Questi i nuovi assessori della giunta Brucchi, i nove dell’Ave Maria: Piero Romanelli, Rudy Di Stefano, Francesca Lucantoni, Eva Guardiani, Mario Cozzi, Marco Tancredi, Valeria Misticoni, Mirella Marchese, Giorgio Di Giovangiacomo. Dio abbia pietà di Paolo Gatti per questa giunta che ha contribuito a far nascere, la peggiore che potesse esserci, forse una delle peggiori di sempre, tanto da sfiorare il ridicolo e la vergogna, non solo nei delusi frustrati nelle loro ambizioni ma anche in molti che pure hanno votato Brucchi e le sue liste (facendolo vincere sia pure di poco), o non sono andati a votare, facendolo vincere lo stesso e facendo perdere tutti quelli che poi Brucchi ha voluto gratificare con l’appellativo di “Buffoni”. Accettando e approvando questa giunta, Paolo Gatti li ha definiti anche lui “buffoni”.
    Sarà additato anche lui, anzi, lo sarà principalmente lui, per tutti i guasti, assai probabilmente irreparabili, che essa apporterà e causerà. Si è leader nel bene e nel male, del bene e del male. Paolo Gatti ha scelto di esserlo nel male, non nel bene. Adesso crede di essere il padrone di Teramo, in realtà, purtroppo, ha dimostrato di essere anche lui un servo, e a spese nostre, delle vecchie logiche spartitorie della vecchia Democrazia Cristiana, la peggiore. Alcuni che sono stati suoi compagni di cordata nella campagna elettorale, ora recriminano e si stanno mangiando i gomiti. Alcuni fanno anche velate minacce, lasciando intravedere pericoli di mancanza d’acqua e perciò di scarsa galleggiabilità della papera. Ma Gatti si è affrettato a fare i complimenti alla nuova giunta e ad augurarle buon lavoro, mettendo così il suo “imprimatur” a tutta l’operazione, davvero squallida, oltre che costosa per noi contribuenti, a cui sta arrivando già il bollettino della Tia, ribattezzata Tari. Paolo Gatti poteva essere il “migliore”, forse si avvia ad essere il “peggiore”.

Elso Simone Serpentini

Il Cor(ro)sivo

Il decalogo di Dalmazio

Turismo e cultura

I miei libri a Torino

Caro vecchio campo sportivo comunale, ti scrivo

Caro professore, ti rispondo