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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Maldicenza e bendicenza:
un eterno conflitto

15 ottobre 2013

“Qui giace l’Aretin, poeta Tosco,
che disse mal d’ognun, fuorché di Cristo,
scusandosi col dir: non lo conosco.”

attribuito a Paolo Giovio
(1483 – 1552)

“Qui giace il Giovio, storicone altissimo,
di tutti disse mal, fuorché dell’asino,
scusandosi col dire: egli è il mio prossimo”

Parafrasi anonima del fino epitaffio su Aretino attribuito a Paolo Giovio

“La maldicenza sai, è come il vento…”. “La calunnia è un venticel… […] e produce un’esplosione come un colpo di cannone…”. Quante se ne sono scritte sulla maldicenza e sulle sue sorellastre: la calunnia, la diffamazione, l’insinuazione, la mormorazione… la denigrazione, il pettegolezzo… La letteratura è piena degli scritti e dei detti su questa sterminata figliolanza della cattiva opinione che si ha degli altri, cugina e rivale dell’ottima opinione che ciascuno ha di sé. Marco Furio Bibaculo, poeta romano di un certo successo risalente agli anni ’70 avanti Cristo, fu autore di tante maldicenze nei confronti di Cesare ed Augusto da essere ritenuto uno dei più violenti, e famosi, “linguazezza” della storia della letteratura, perché le scrisse in alcuni epigrammi satirici che purtroppo non ci sono pervenuti e quindi non possiamo fare un confronto con i maldicenti contemporanei, né con altri famosi maldicenti della letteratura di Roma antica, numerosissimi. Anche poeti apprezzati soprattutto per altro, come Catullo, non sfuggirono alla tentazione della maldicenza, che è troppo piacevole per non essere prediletta da molti. Marco Valerio Marziale e Decimo Giulio Giovenale furono anche loro terribili maldicenti, dei veri fustigatori, praticarono l’arte della maldicenza in maniera scientifica e fecero dei loro epigrammi - come fanno tutti gli epigrammisti - strumenti affilatissimi del “dir male degli altri”. Se prendiamo un comune dizionario, leggiamo questa definizione della parola “maldicenza”: “1. atteggiamento o comportamento ostile che si manifesta col parlar male del prossimo; 2. discorso malevolo o dannoso dell’altrui reputazione .
   Ogni epoca ha avuto i suoi grandi maldicenti e, anche se Pietro Aretino è universalmente riconosciuto come il giù grande, molti altri, di diverse stagioni letterarie, non scherzano. Recentemente le cronache hanno riportato che durante un’omelia Papa Francesco ha sottolineato il precetto evangelico del “non giudicare”, mettendo così in guardia dalla maldicenza. Ma anche nell’ambito della Chiesa (non soltanto dei “nimici sui)”, ci sono stati maldicenti militanti, di lunga e gloriosa carriera. E’ che, come dicevo, per molti è troppo bello parlare male degli altri. Il principe della nostra epoca, quella televisiva, è Vittorio Sgarbi, il quale pare sia stato sorpreso qualche volta davanti allo specchio a parlare male anche di se stesso, non essendosi riconosciuto in tempo. (Avete presenti quei pesci d’acquario così aggressivi che assaltano minacciosi la loro immagine riflessa sul vetro?)
   Riflessioni sulla maldicenza e sui maldicenti mi sono sorte nell’animo quando il governatore Gianni Chiodi, in un suo post su Facebook, in relazione ad un mio scritto, mi ha accusato, più o meno direttamente, di aver ceduto anche io alla tentazione della maldicenza nei suoi confronti, attribuendogli la partecipazione ad una cena che secondo lui non è mai avvenuta (ma secondo testimoni oculari e auricolari che me ne hanno data conferma sì) e soprattutto di aver riferito temi di conversazione che per loro stessa natura risulterebbero maldicenti se attribuiti a dei commensali con alcuni tipi di responsabilità politica ed amministrativa. Come faccio sempre in queste occasioni, mi sono chiesto se l’accusa nei miei confronti fosse giusta e se quindi, anche io, magari nella circostanza specifica (o anche, perché no? in generale) fossi un maldicente. Mi sono fatto l’esame di coscienza, mi sono interrogato e ho fatto qualche ricerca per documentarmi. Ho scoperto così che proprio in Abruzzo, all’Aquila, al Liceo Classico “Cotugno”, il 13 gennaio di quest’anno di grazia 2013, si è svolto un convegno sulla maldicenza, nell’ambito di una iniziativa denominata “Il Pianeta Maldicenza”, organizzato dalla Dante Alighieri dell’Aquila. Occasione imperdibile (ma ahimè per me perduta) di scoprire cosa sia davvero la maldicenza e quindi rispondere al dubbio che mi era stato fatto sorgere sulla “mia” attitudine alla maldicenza. Ho poi scoperto che nel corso del convegno era stato presentato un libro di Paola Aromatario: “La Maldicenza, dire male e dire il male”, che parlava piuttosto che dell’arte del dir male degli altri, del parlar male e cioè del cattivo uso della lingua. La maldicenza chiamata in causa dal governatore Chiodi è altra cosa, è un altro cattivo uso della lingua, e consiste nell’usarla per dire qualcosa di male su qualcuno. I maldicenti di solito lo fanno su tutto e su tutti. Lo strumento linguistico più usato (messo in evidenza, caro Gianni Chiodi, dal “nostro” - mio e tuo - Baltasar Gracián ne “Il Criticone”, da me tradotto in italiano su tuo impulso) è il “…ma”. “E’ una brava persona… ma…”; “E’ un ottimo medico… ma…”, “E’ un politico onesto… ma…”. Eccola la frase tipica del maldicente, che parte dal riconoscimento di un merito, minimo, per dare poi la stura ad una serie infinita di limiti, colpe, demeriti, falli, peccati, torti, azioni biasimevoli, macchie, errori, ammende, perfino attribuzioni di reati.
   Ecco l’impero della maldicenza, dove domina, incontrastato, il Dir-Male. "La lingua maldicente è indizio di mente malvagia". Questa sentenza viene attribuita a Dante Alighieri, che tanto fu vittima della maldicenza quanto la praticò e la usò nella “Divina Commedia”, contro morti e contro vivi (sublime quel “Sei già costì ritto Bonifacio!”, con il quale preconizzava la condanna all’inferno di un Vicario in terra di Cristo ancora vivo). Dalla sua accusa di maldicenza io mi sono assolto, al termine dell’esame di coscienza, ma il governatore Chiodi ha tutto il diritto di credere di essere anche lui vittima della maldicenza, anche quando si dice di lui che abbia partecipato ad una cena alla quale dice di non aver partecipato e di aver parlato di argomenti di cui dice di non aver parlato. Ognuno ha diritto di dir male di coloro che dicono male di lui, e quindi anche il Governatore ha il diritto di dir male, dicendo che sono maldicenti, di coloro che egli pensa che dicano male di lui. Ma quanto fa male vedere che il governatore si compiace della “bendicenza” nei suoi confronti (toh, una parola che non esiste su nessun dizionario!) di legioni di “bendicenti”, cioè di persone che dicono bene di lui per partito (è proprio il caso di dirlo) preso e fanno a gara nel mostrarsi zelanti, sapendo di poter apparire invece che come estimatori, come adulatori, esaltatori, incensatori, encomiatori, piaggiatori, cortigiani e non tengono in conto il rischio di non riuscire a nascondere di essere, in realtà, dei servizievoli “leccaculo”.

Elso Simone Serpentini

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