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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Un “nobile” ricatto

3 settembre 2013

Di solito l’aggettivo che accompagna il termine ricatto è “ignobile”. Questa consuetudine sembra escludere la possibilità dell’esistenza di ricatti “nobili”. E’ proprio così? Voglio proporre un nuovo racconto paradigmatico, da allocare nel metatempo e nel metaluogo, ma assolutamente corrispondente alla realtà e quindi relativo a fatti veramente accaduti. Dal racconto proveremo poi a trarre delle conclusioni, rispondendo alla domanda: fu ricatto? E, se fu ricatto, fu ricatto “nobile”? Il fatto mi vide protagonista in prima persona. Ai tempi in cui la vicenda si svolse mi occupavo, oltre che di politica, di sindacato. Non solo di sindacato nelle scuole (il che era del tutto naturale, essendo io un insegnante), ma anche nelle fabbriche. Ovviamente me ne occupavo in un “sindacato di destra”, espressione che ai sindacati e ai partiti politici di sinistra pareva un ossimoro, perché secondo loro un sindacato non poteva essere di destra, ma solo di sinistra, e, se c’era un sindacato di destra non poteva che essere un sindacato schierato dalla parte degli interessi dei “padroni”.

Ma non era così. “Quel” sindacato di destra cominciò a dare dei punti ai sindacati di sinistra e a dar fastidio a molte delle loro politiche sindacali, quelle basate su non poche collusioni. Ricordo di aver sfilato in testa a cortei di infermieri in sciopero, che, abbandonati i sindacati di sinistra, vedevano nel nostro sindacato di destra una possibilità più concreta di far valere i propri diritti. La cosa fece tanto scalpore che un quotidiano pubblicò una foto in cui mi si vedeva appunto in testa ad un corteo di infermieri in sciopero e nella didascalia si esprimeva meraviglia per il fatto che un docente di scuola media superiore sfilasse insieme con gli infermieri in sciopero. Ma tant’è.
  Capeggiava “quel” sindacato di destra un amico, da tempo scomparso, dal carattere del tutto particolare. Era uomo di mondo, dalle mille esperienze, anche di fabbrica; conosceva come andavano le cose e conosceva l’animo degli uomini, aveva modi spicci, a volte duri o rudi, in linea con il suo carattere spigoloso e con il suo spirito pragmatico. Un giorno mi chiese di accompagnarlo dal provveditore agli studi, anche nella mia qualità di componente della commissione ricorsi, nella quale ero stato designato proprio dal sindacato di destra, il che era stato fatto piuttosto raro, essendo la prima volta che il nostro sindacato si vedeva riconosciuto un ruolo fino ad allora sempre negato. Ovviamente gli chiesi il motivo della nostra visita al provveditore. La spiegazione che mi diede mi raggelò. Mi disse che un poveraccio, già in età avanzata e con una numerosa famiglie sulle spalle, era stato “cacciato” - in realtà non era stato confermato - dal Convitto Nazionale, dove per un anno aveva fatto parte del personale non docente. Al suo posto era stato sistemato un “raccomandato” e lui era rimasto senza incarico. Si era rivolto al sindacato per cercare di capire se avesse dei diritti e, nel caso, di farli valere. Gli era stato risposto che la questione era incerta e di dubbia soluzione, ma il mio amico sindacalista si era impegnato a fargli riavere comunque il posto, consentendogli così di avere uno stipendio con il quale sfamare la sua famiglia. Era una ingiustizia, alla quale si sarebbe posto riparo. Ma come? Andando dal provveditore e chiedendogli l’immediato reintegro del poveraccio rimasto senza posto. Ma quali ragioni avremmo fatto valere? chiesi. In ogni caso, essendoci una graduatoria ed essendo stati negati dei punti al nostro rappresentato (cosa che aveva determinato la sua perdita del posto), avremmo dovuto seguire l’iter previsto: presentazione del ricorso e attesa della decisione della speciale commissione.
  Questa strada, disse il mio amico sindacalista, era troppo lunga e non avrebbe portato a nulla. Era meglio andare dal provveditore, esporre il caso e chiedergli l’immediato reintegro del nostro rappresentato. E se il provveditore avesse risposto di no? Alla mia obiezione il mio amico tirò fuori da una cartellina un fascicoletto. Mi disse che era la graduatoria del personale non docente che aspirava agli incarichi annuali. Un esame anche superficiale mostrava un numero di irregolarità: punti non assegnati a chi avrebbe dovuto vederseli assegnati, punti assegnati a chi non avrebbe dovuto vederseli assegnati, perfino errori di calcolo. Era una graduatoria che gridava vendetta. Il mio amico mi ripeté più volte che la presentazione di ricorsi sarebbe stata lunga e forse inefficace. Sarebbero passati mesi… e il nostro rappresentato sarebbe rimasto per mesi senza posto e senza stipendio. C’era una strada più breve e più sicura: andare dal provveditore in persona. Gli avremmo richiesto l’immediato reintegro del nostro rappresentato e, se avesse risposto picche… se avesse risposto picche? Semplice, avremmo tirato fuori la graduatoria e avremmo detto che appena usciti dal suo ufficio avremmo fatto un esposto alla Procura della Repubblica e l’avremmo allegata, con la segnalazione di tutte le irregolarità.
  Obiettai al mio amico sindacalista che quello mi pareva un ricatto. “Nobile”, ma sempre ricatto. Feci resistenza, avanzai obiezioni… mi rispose che era l’unico modo, quello, di rimediare ad una ingiustizia, subito, in modi spicci. Alla fine accettai di andare. Telefonammo in provveditorato e chiedemmo di essere ricevuti dal provveditore in persona, subito. Ammetto che, forse, senza aver esercitato la mia influenza e speso il mio nome (come docente, come componente della commissione ricorso, come politico), non saremmo stati ricevuti subito, quella stessa mattina. Andammo e perorammo la causa del nostro assistito, spiegammo che era stata fatta un’ingiustizia ai suoi danni, che gli erano stati sottratti dei punti che gli spettavano, che aveva una numerosa famiglia da mantenere, che non aveva altre risorse. Il provveditore fu irremovibile. Non si poteva fare nulla. Si poteva e si doveva fare ricorso e attendere le opportune decisioni. Noi insistemmo, ma lui pure. Alla fine… alla fine partì il siluro. Il mio amico tirò fuori dalla sua cartellina la graduatoria e disse quel che doveva dire. Se non si fosse subito rimediato… quella graduatoria sarebbe finita in Procura quella stessa mattina. Seguì un silenzio di tomba. Lo sguardo del mio amico era sfrontato e beffardo; quello del provveditore, che era sbiancato, era fisso nel vuoto; il mio (ero impallidito anche io) fisso sul pavimento. Guardavo sul piano della scrivania con la coda dell’occhio. Quando vidi la mano destra del provveditore prendere in mano il telefono, fui certo che stesse o per chiamare l’usciere e farci cacciare dall’ufficio o per chiamare i carabinieri e farci arrestare. Nonostante le mille obiezioni che facevo a me stesso, a me stesso pareva che quello aveva tutte le forme di un ricatto. “Nobile”, ma sempre ricatto.
  Rimasi assai sorpreso quando mi accorsi che il provveditore stava parlando con il rettore del Convitto Nazionale e gli stava parlando di un bidello che… Quando riappese la cornetta, ci guardò e ci disse che avrebbe rimediato subito a quella ingiustizia. Ci avrebbe pensato lui, potevamo stare tranquilli. Lo ribadì un paio di volte. Ci congedammo e ce ne andammo. Quando uscimmo dagli uffici del provveditorato, il mio amico sindacalista mi invitò a stare nascosto dietro l’angolo di un muro e ad aspettare quel che secondo lui stava per succedere. Lui conosceva il mondo e gli uomini e sapeva come andavano le cose. Una diecina di minuti dopo vedemmo, non scorti, uscire il provveditore e dirigersi verso il Convitto Nazionale, Lo seguimmo. Entrò ed uscì circa mezzora dopo, tornando in ufficio. Quello stesso pomeriggio il nostro rappresentato fu chiamato al telefono dal rettore del Convitto che gli comunicò che il posto, che gli era stato tolto per errore, gli era stato restituito. Subito. Senza bisogno di fare ricorso. L’indomani mattina avrebbe potuto riprendere servizio. E la graduatoria con tutte quelle irregolarità e con quelle palesi ingiustizie? Rimase così com’era e non fu consegnata alla Procura. Chi ritenne di essere stato danneggiato fece ricorso a attese i tempi, quasi biblici, della definizione dei ricorsi. Il mio amico mi spiegò che fare un esposto avrebbe rimesso in discussione anche il posto del nostro rappresentato. Che giustizia era stata fatta e che la giustizia non sempre poteva essere “erga omnes”. Spesso, quando cercava di esserlo per tutti non riusciva ad essere efficace per tutti e per ciascuno. Per il nostro assistito e per la sua famiglia era risultata efficace.
   E’ passato tanto tempo e tutto è prescritto. Reati e peccati. Ricatti compresi, se furono ricatti, nobili o ignobili che fossero. Oggi il racconto di quanto accadde quella mattina può essere solo paradigmatico.



Elso Simone Serpentini

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