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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005


La borsa : una narrazione “paradigmatica” nel metatempo

6 agosto 2013

Ometterò di proposito nomi, cognomi e date precise. La mia narrazione intende essere “paradigmatica” e quindi non ha bisogno di precisazioni di tempi e di circostanze. Quanto ai luoghi, essi sono quelli della politica teramana, luoghi dove i comportamenti hanno valenze antiche e contemporanee, sul filo di una continuità di stile e di ispirazioni. I fatti narrati non vanno necessariamente inquadrati in un contesto temporale preciso proprio perché il loro senso e il loro significato vanno proiettati in un “metatempo” che include passato, presente e, chissà, anche futuro.

Questo non vuol dire che essi non siano accaduti così come li racconto. O, meglio, non vuol dire che essi non siano stati interpretati da me come andavano interpretati, nella solo legittima, anzi necessaria, precisazione che tra un fatto e la sua interpretazione c’è sempre un distanza ermeneutica e filosofica che né la cronaca né la storia riescono a ridurre.
   Trasportiamoci, perciò, in un tempo passato, quando ero giovane e ancora mi illudevo, come fanno tutti i giovani, di poter contribuire “in qualche modo” a cambiare “in qualche modo” almeno la mia città, se non proprio il mondo. In quel tempo (“illo tempore” direbbe il Vangelo se anche io avessi un Vangelo) sedevo sui banchi del consiglio comunale e l’argomento principe da discutere era uno strumento urbanistico. Non preciserò quale fosse proprio per lasciare nell’indeterminato paradigmatico non solo l’elemento temporale ma anche quello sostanziale. Nonostante che il partito di maggioranza assoluta avesse una superiorità numerica schiacciante, esso aveva qualche problema a far passare in consiglio la proposta di approvazione con un numero sufficiente di voti. Io ero l’unico rappresentante del mio partito, un partito di estrema destra, tenuto rigorosamente al di fuori del cosiddetto “arco costituzionale” e ghettizzato come di più non si poteva. Nella consigliatura precedente eravamo in due, ma poi avevo condotto una battagliera campagna elettorale amministrativa chiedendo ai miei concittadini un piccolo sforzo, darci quei pochi voti in più che sarebbero stati sufficienti per vederci attribuire tre seggi. Ma i miei concittadini non solo non ci avevano accontentato, ma ci avevano scontentato al punto da farci perdere un seggio e da farmi trovare solo sui banchi a rappresentare il mio partito.
   Erano gli anni del tentativo di praticare il cosiddetto “compromesso storico” anche nei consigli comunali e provinciali della periferia, non soltanto sul più ampio scenario politico nazionale, e ad ogni seduta andava in scena il patetico spettacolo del reciproco corteggiamento tra il partito di maggioranza assoluto, la balena bianca, e il principale partito di opposizione. Facevo di tutto per ostacolare o soltanto intralciare quegli osceni abboccamenti, ma con poco successo. Tuttavia per quanto riguardava l’approvazione dello strumento urbanistico a cui ho accennato, il reciproco corteggiamento era reso difficile da ragioni specifiche e speciose che non è il caso qui di accennare. Basterà dire che il partito di opposizione poneva una pregiudiziale: l’approvazione contestuale di una cabina di regia dello strumento urbanistico, che gli avrebbe consentito di gestire congiuntamente alla maggioranza le scelte urbanistiche future. Fatto sta che al partito di maggioranza mancava un voto per l’approvazione… Se lo avesse avuto lo strumento urbanistico sarebbe stato approvato in consiglio. Poi ci sarebbe sempre stato il tempo di ricucire i rapporti e risolvere i problemi che ne sarebbero scaturiti.
   Un giorno, mentre si era in queste ambasce, il sindaco (non starò a dirvi chi fosse) chiese di potermi incontrare nel suo ufficio. Accettai e mi recai da lui. Rimasi sorpreso nel constatare che non era solo. Accanto a lui c’era il personaggio più in vista, e più potente, del suo partito. Non ricordo se era ancora soltanto consigliere regionale o già era stato eletto deputato. Rimasi ancora più sorpreso quando il sindaco mi annunciò che sarebbe uscito perché il suo compagno di partito voleva parlarmi da solo. Non rimasi sorpreso quando mi fu fatta la proposta di dare il mio voto favorevole all’approvazione dello strumento urbanistico che non si riusciva a varare. Rimase, invece, sorpreso, e molto, il mio interlocutore, quando gli dissi che non avevo problemi a concedere il mio voto favorevole. Non se lo aspettava. Pensava di dover sudare sette camicie per convincermi, di dover fare i salti mortali, di promettermi chissà cosa, di impegnarsi a…. e invece… Poteva essere che tutto fosse così facile? Beh, una condizione c’era, precisai. Il sorriso si spense sulla sua bocca. Sebbene lui fosse un personaggio molto in vista e io ormai facessi politica da qualche tempo, fino a quel momento non avevamo avuto mai l’occasione di incontrarci di persona, “vis a vis”, e di parlarci. Pertanto nessuno dei due poteva essere certo del contegno dell’altro. Aggrottò le ciglia. Io spiegai che avrei votato lo strumento urbanistico, senza problemi, a condizione che il mio voto venisse chiesto apertamente e ufficialmente in consiglio comunale. Questa volta l’espressione del mio interlocutore fu di grande sorpresa e di estremo rammarico. Cominciò a snocciolare tutta una serie di ragioni che rendevano impossibile che mi si chiedesse il voto apertamente. Il mio partito era fuori dell’arco costituzionale, c’erano questioni di opportunità… avrei dovuto capire… era certo che capivo… ma io insistetti. E’ sufficiente che mi si chieda il voto e il mio voto ci sarà. No. Il mio voto veniva chiesto… “Sottobanco” osservai io. No, non sottobanco… E come allora? Questione di termini, di forma e di sostanza. La sostanza era una richiesta sottobanco, la forma… la forma pure… Il dialogo era impossibile. Alla fine si arrese e comprese. Comprese che il mio voto favorevole non ci sarebbe stato. Rientrò il sindaco. Non ci fu bisogno che gli si spiegasse niente. Capì da solo. E forse capì ancora di più quando io lasciai l’ufficio e loro rimasero soli.
   Quando il provvedimento arrivò in consiglio comunale, aspettai il mio turno per intervenire, ricostruii le difficoltà che fino a quel momento c’erano state per approvare lo strumento urbanistico e poi… poi raccontai quello che era accaduto. Dell’invito del sindaco, dell’incontro con il suo principale referente politico, della sua richiesta di voto sottobanco… Fui interrotto… il sindaco prima e poi il capogruppo del partito di maggioranza assoluta smentirono. Non era vero. Nessuno aveva richiesto il mio voto favorevole. Li interruppi a mia volta. Feci l’atto di rovistare nella mia borsa, che avevo sopra il tavolo, annunciando che avrei fatto riascoltare “coram populo” in pieno consiglio, la registrazione audio dell’incontro che si era svolto nell’ufficio del sindaco, fatta con un registratore che avevo nella borsa, in quella stessa che avevo con me durante l’incontro svoltosi nell’ufficio del sindaco. Così tutti avrebbero potuto capire chi diceva il vero e chi il falso. Non ci fu bisogno che completassi l’apertura della borsa, perché prima il sindaco poi il capogruppo ammisero che sì, l’incontro c’era stato, ma non era proprio stato chiesto il mio voto. Mi si era soltanto prospettata l’eventualità che io esprimessi “mea sponte” un voto favorevole e…. bla bla bla. Gli altri gruppi di opposizione si mostrarono scandalizzati lo stesso da quella “prospettazione di eventualità”, che sembrava davvero una richiesta e del tutto inopportuna. Il dibattito prese altre strade e proseguì in altre direzioni. Il mio intento era stato raggiunto. Avevo mostrato e dimostrato che mi era stato chiesto sottobanco di votare a favore. Avevo ottenuto un’ammissione, sia pure addolcita e addomesticata, dell’episodio da me riferito.
   A questo punto, per perfezionare l’aspetto “paradigmatico” della mia narrazione, penso sia giusto che si sappia che nella mia borsa non c’era alcun registratore. E che del colloquio con l’illustre personaggio non avevo effettuato alcuna registrazione audio. In consiglio, facendo l’atto di aprire la borsa, avevo solo bluffato. Penso anche che sia giusto che si sappia come andò a finire la cosa. Lo strumento urbanistico fu approvato, grazie ai voti favorevoli dei tre consiglieri del secondo partito di opposizione e con il voto contrario degli otto consiglieri del primo partito di opposizione. A chi aveva dato il proprio voto determinante per l’approvazione era stato garantito un ruolo assai importante nella costituenda cabina di regia della gestione dello strumento urbanistico. Ma questa cabina di regia poi non ci fu, sebbene tutti si fossero impegnati a farla, con l’esclusione mia e del mio partito, anche quando lo strumento urbanistico era stato approvato dalla regione. Lo strumento urbanistico fu adottato, poi approvato però poi gestito senza una cabina di regia comune interpartitica, ma con la regia affidata solo ed esclusivamente al partito di maggioranza assoluta, in un gioco di equilibri più o meno avanzati (vale a dire di raffinati equilibrismi) tra le varie correnti interne.
   Di quello strumento urbanistico e delle sue imperfezioni ancora oggi Teramo e i teramani pagano le nefaste conseguenze. Spero che la mia narrazione sia stata sufficientemente “paradigmatica”.

Elso Simone Serpentini

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