Direttore editoriale:
Elso Simone Serpentini
Direttore responsabile:
Franco Baiocchi
Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Pifferi, pifferai e pifferati

12 novembre 2013


Arrivò in piazza un altro pifferaio.
Egli suonava in modo magistrale,
fu perciò cosa assai naturale
che i topi lasciassero il granaio.

Affascinati tutti da quel suono,
lo seguirono presi dall’incanto,
senza alcun desio di controcanto,
ma con il massimo abbandono.

Una musica davvero celestiale,
il potente piacere dell’ascolto,
un piffero davvero senza uguale,

portarono al divino sortilegio.
Il corteo alla fine fu travolto:
per tutti morir fu… un privilegio.

Ogni tanto in piazza ne arriva uno. Sembra che il numero dei pifferai in circolazione sia infinito, come quello delle stelle. Se non proprio di infinito, certo si deve parlare di innumerabilità. All’inizio il suono giunge all’orecchio flebile e quasi impercettibile, poi sempre più forte fino a diventare come un frastuono. Se fosse un frastuono. Ma non lo è. E’ musica. Incanta e poiché ci sono gli incantatori, ci sono gli incantati. L’ultimo pifferaio giunto in città suona divinamente e tutti i topi escono dai granai, ma anche dalle officine, dai fabbricati, dalle case e presi da incantamento si pongono all’ascolto, estasiati. Poi il pifferaio si muove e tutti lo seguono, per continuare ad ascoltare le note del piffero, ormai incapaci di distogliersi e di distaccarsene. Si forma un corteo che si muove all’unisono e si dirige dove il pifferaio intende condurlo. L’ultima meta è un’urna, dove deporre una scheda, una preferenza, che non è mai una scelta, perché per essere tale dovrebbe essere consapevole e chi vota dove dice il pifferaio consapevole davvero non lo è mai. Una volta celebrato il rito, il pifferaio si allontana, il piffero cessa di suonare e chi ha votato rimane… pifferato. Torna deluso nel granaio, che trova immancabilmente devastato, e resta in attesa del ritorno del magico pifferaio, per farsi pifferare ancora una volta, o dell’arrivo di un altro pifferaio, da seguire con la stessa cieca attenzione con la quale ha seguito i pifferai precedenti. E’ una ruota che gira, e ad ogni giro ripropone sempre le stesse situazioni.
    L’immagine del pifferaio, del piffero e dei pifferati mi è stata evocata da quel che ho letto sulla recente presentazione della lista gattiana di “Futuro in” (alla quale non sono stato presente) e dalla presentazione del candidato sindaco Pomante (alla quale sono stato presente). Che l’intenzione, in entrambi i casi, sia quella di “pifferare”, è di assoluta evidenza. Il tentativo di attrarre, di affascinare, di sedurre è scoperto. Siamo in democrazia, bellezza! In democrazia tutto è consentito pur di ottenere consenso e il fascino è tutto. Il coraggio uno non se lo può dare, diceva Don Abbondio. Se avesse parlato del fascino, soprattutto in politica, avrebbe certamente detto il contrario. Il fascino uno se lo può dare, può farlo benissimo. Anche e in primo luogo sul piano fisico e personale. Ci sono tanti modi di apparire piacevoli, addirittura “piacioni”, e ci sono tanti pifferi tra i quali scegliere quello da suonare per attrarre i topi, sui quali si sa benissimo quali siano quelli che possono con maggiore efficacia esercitare il massimo dell’efficacia di attrazione. E si sa quali musiche siano da suonare, perché anch’esse più attraenti. Sia Gatti che Pomante sono ritenuti belli, di gradevole aspetto, fisiognomicamente convincenti al punto giusto, di buona “parlatura”. Il secondo sa anche “windowizzare” quel che dice, il che non guasta. Le banalità? Basta far finta di non averne dette. Le promesse? Basta far finta di non averne fatte? Le colpe? Basta far finta di non averne. Le qualità? Basta far finta di averne molte. I difetti? Basta far finta di non averne o di averne pochi. Anzi pochissimi e di poco conto.
    I pifferai più capaci di attrazione sono i figli d’arte. Sono tutti avvantaggiati i figli d’arte, anche quando non sono altro che semplici avvocati, notai, ingegneri, cattedratici. I politici, poi, tra i figli d’arte, sono particolarmente avvantaggiati, perché dall’arte di “tata” (che è sempre mezzo imparata) non ricevono solo un bagaglio di esperienze (e quindi di consuetudini), ma anche una dote di conoscenze (e quindi un buon numero di piaceri fatti), spesso fissate su efficienti e ricchi schedari di nomi, cognomi e aspirazioni per sé e per i propri congiunti. Teramo è piena di politici figli d’arte. Alcuni di loro non sono solo figli d’arte, ma perfino nipoti d’arte e pronipoti d’arte. Alcune famiglie teramane fanno politica (e vivono di politica) da diecine di generazioni e la loro influenza e la loro importanza ha sfidato non solo i secoli ma anche i cambiamenti radicali di regime. Gli uomini nuovi, i “parvenu”, non mancano e alcuni hanno anche ottenuto posti e ruoli di rilievo, predisponendosi a diventare padri d’arte, dopo essere stati mariti d’arte. Ma la stragrande maggioranza dei pifferai nostrani suona usando spartiti collaudati dai loro padri, rispetto ai quali alcuni si sono rivelati inferiori (di gran lunga) e altri superiori (e non poco). Ecco. Provate a dire a un pifferaio che suo padre era più bravo. Vi odierà. Provate a dire ad un altro pifferaio, che è più bravo si suo padre. Lo renderete orgoglioso. Le cose vanno così. Dopo Gatti e Pomante vedremo arrivare in piazza altri pifferai. Perfino il centrosinistra ne farà arrivare uno. Lo sceglierà in un festival che dovrà indicare chi è il più bravo e il più attraente, ma non necessariamente il migliore. Perché la sinistra teramana, scimmiottando in molte cose quella nazionale, è abituata a fare così. Intanto pochissime volte sceglie i suonatori di pifferi. Ne scelse uno, Befacchia, ma poi gli sottrasse il piffero ro e così gli impedì di suonare. Nella maggior parte dei casi, e vedrete che lo farà anche stavolta, il centrosinistra teramano non sceglie i pifferai (anche Sperandio non lo era, conoscendo appena l’arte del solfeggio e dovendo dire grazie per il suo novennato ad una rumorosa banda di paese), ma i suonatori di trombone di accompagnamento. Con questo strumento, ce lo ha insegnato assai bene il nostro Modesto Della Porta, è assai difficile che si possa “accucchjì ‘na sunate”.

Elso Simone Serpentini

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