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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

La Chiesa di don Andrea Gallo

28 maggio 2013

Che tenerezza mi fanno quelle foto in cui rivedo il mio nipotino Vassily in braccio a don Andrea Gallo, che qualche minuto prima lo aveva battezzato nella chiesa genovese dove il prete considerato "ribelle" aveva celebrato una delle sue "strane" Messe, che tanto facevano discutere. Appena l'anno prima don Andrea aveva battezzato anche Vincent, il mio primo nipotino, figlio di mia figlia, così come Vassily, e di Oriolys, che, arrivato da Santo Domingo, era stato suo collaboratore e compagno di stanza fino a quando non aveva conosciuto mia figlia.

Da Genova, Charlie, come lo aveva rinominato lui, si era trasferito nel Veneto, qui aveva messo su famiglia e mi aveva regalato i due nipotini che don Andrea fu felicissimo di accogliere nel suo fonte battesimale.
  La prima volta che lo incontrai e parlai con lui, prima e dopo il primo battesimo, mi fece una profonda impressione. Tutto mi fece impressione. L'ambiente dove viveva; la sua comunità di San Benedetto al Porto di Genova; i suoi compagni di vita; la sua principale collaboratrice, Lilly, che poi fece da madrina al mio nipotino Vassily; i ragazzi e gli uomini fatti, "fatti" in tutti i sensi, che aveva accolto; il suo carisma; gli argomenti della conversazione a tavola. Una grande tavola, lunga, affollata, una tavolata, dove si cominciava a pranzare solo verso le due. La sua mattinata era lenta, si svegliava tardi, perché la sua notte era insonne, e tutti attendevano che scendesse dalla sua stanza e si recasse nell'angusto bagno sistemato alla bella e meglio al piano terra per la sua toilette quotidiana e poi entrasse nella chiesa adiacente, tramite una porticina di stampo francescano. Poi la Messa. Che Messa! Era una messa dialogata, parlata, commentata, in cui il rito non era solo forma, ma sostanza. Le sue parole non potevano non colpire anche un agnostico come me. Ricordo la sua carità e quell'amore per l'accoglienza che si percepivano in tutte le sue parole. Poi il battesimo, sia il primo che il secondo. Li ricordo entrambi. Battesimi dialogati anche quelli, in cui tutto era sostanziale e niente era formale. E quel momento, il momento della rinuncia a Satana, che in qualche occasione (è successo anche a Teramo) troppi preti trasformano in una sorta di rito esorcistico... Indimenticabile! Ricordo le sue parole, così tenere: "Adesso si dovrebbe procedere alla rinuncia a Satana, ma che rinuncia deve fare un bimbo innocente nato da appena così poco tempo!". Niente rinuncia a Satana. Ma tanto d'altro. Tanto, tantissimo. Amore, purezza, semplicità, autenticità. Se la Chiesa fosse questa! Se la Chiesa fosse stata questa! Ma non è questa, non è ancora questa, quella di don Andrea Gallo, sebbene sia cambiata dopo Papa Francesco. La Chiesa, come istituzione secolare, ha spesso osteggiato don Andrea, lo ha contrastato, gli è stata nemica e non lo ha cacciato solo perché don Andrea praticava e predicava l'obbedienza e riteneva che non lo si potesse cacciare da casa sua, dato che considerava la Chiesa come casa sua, come casa sua perché casa di Cristo dove i fratelli dovevano essere accolti e non respinti.
  Ricordo quasi ogni parola delle mie conversazioni con don Andrea, a tavola, nell'occasione dei due battesimi, in altri incontri avvenuti presenziando a qualche sua conferenza pubblica, anche nel Veneto. Con lui si poteva parlare di tutto e su tutto diceva quel che doveva dire un prete, un prete di strada, da marciapiede e tutti i suoi aneddoti erano esemplificativi di scelte radicali. Anche come partigiano e antifascista era inclusivo e non esclusivo. Si sforzava di comprendere e di capire, non rifiutava a priori nessun ragionamento. Era arguto e salace all'occorrenza. Era caustico quando doveva e voleva condannare il peccato e mai il peccatore. Era amorevole quando parlava del perdono e caritatevole quando parlava dell'uomo in quanto uomo e in quanto suo fratello perché figlio di Dio. E' riduttivo considerarlo come il protettore di divorziati, omosessuali, transessuali, alcoolizzati, drogati ed ex drogati. E' riduttivo considerarlo come il prete dei poveri e degli umili, perché don Andrea era molto più di questo. Quando gli diedi una copia de "Il Criticone", il capolavoro di Baltasar Gracián che avevo tradotto dallo spagnolo e gli ricordai quanto il povero gesuita avesse pagato per colpa del suo stesso ordine religioso la colpa di aver scritto quel libro, sorrise, come se se ne sentisse così sodale da avvertire su di sé il peso di quelle antiche condanne che condussero a morte il poveretto dopo appena un anno, piegato forse non tanto dalla sua relegazione a pane ed acqua quanto dall'essere stato privato della facoltà di avere una penna e un calamaio e cioè della libertà di esprimere il proprio pensiero. Sfogliò le pagine del libro, lesse qualche brano e non sorrise più, assorto, perché ciò che leggeva non poteva non risultargli amaro e foriero di riflessioni profonde.
  Conversando con don Andrea, partecipando alle sue Messe, non da fedele, ma pure coinvolto come nonno dal rito del battesimo dei miei nipotini, vivendo per qualche giorno nella sua comunità, non ho potuto non albergare nel mio intelletto qualche riflessione. Se la Chiesa, come istituzione, fosse stata quella di don Andrea, non ci sarebbe stata la Santa Inquisizione, non ci sarebbe stata la caccia alle streghe, non ci sarebbero stati i Borgia, non ci sarebbe stato il rogo sul quale a Campo dei Fiori a Roma, il 17 febbraio 1600, fu bruciato vivo Giordano Bruno, non ci sarebbe stato il processo a Galileo Galilei. Se la Chiesa fosse quella di don Andrea non ci sarebbe lo Ior, non ci sarebbe la Curia Romana quale essa è ancora, non ci sarebbe l'intreccio perverso tra banche del Vaticano e la massoneria, non ci sarebbe il rifiuto totale di temi concernenti l'accoglienza di tutti, uomini e donne, quali che siano la loro condizione o i loro convincimenti, perché sarebbe centrale la loro coscienza.
  La Chiesa di don Andrea non sarebbe quella in cui ogni cammino è tortuoso, come in un labirinto di mille giri e rigiri, un edificio ben costruito e tutto indorato, in cui regna un silenzio parlante, ma una casa semplice in cui tutti vengono accolti, dove è tutto un tacere e operare, un fare e non dire, dove per aiutare il prossimo non è necessario attendere il rintocco di una campana, dove non si loda il rumore, ma la parola sussurrata all'orecchio per aiutare è preziosa. La Chiesa di don Andrea sarebbe una casa tanto spaziosa e con tanta ampiezza da poter dare accoglienza a tutti coloro che la chiedono e anche a coloro che non la chiedono ma ne hanno bisogno. Sarebbe una Chiesa capace di dare risposte anche a coloro che pongono domande senza credere in Dio, senza porte, né chiuse né aperte, perché sostituite da varchi privi di ogni ostacolo all'entrata, di giorno e di notte, e dove la luce per ogni anima sarebbe così piena da non poter essere oscurata da nulla. La Chiesa di don Andrea sarebbe, e la sua lo era, un luogo in cui per splendere non sarebbe necessario esibire lo splendore.

Elso Simone Serpentini

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