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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Gli agiografici incensatori
del nulla

21 maggio 2013

Incensano il nulla. Approfittano di ogni occasione per farlo e lo fanno con piacere, con gusto, con voluttà. Hanno eretto altari al nulla e celebrano riti propiziatori. Hanno le loro ricorrenze e i loro miti. Si riproducono e si perpetuano. Sono ipocriti e lo sanno, ma non lo confessano. Il godimento dell’ipocrita non dura solitamente che un istante, ma il loro dura un’eternità. Magnificano le imprese dei loro strateghi come fossero epiche, epocali, anche quando in realtà sono misere rappresentazioni di un ego smisurato e di un’obbedienza servilmente praticata come esercizio spirituale. Sto parlando, e voglio precisarlo affinché non ci siano equivoci interpretativi, di quei politici e di quegli amministratori che a Teramo si sono succeduti, sia dicendosi di destra che di sinistra, ma in fondo continuando a restare democristiani, di fatto se non di nome e pretendendo di essere creduti come benefattori, quando in realtà si sono comportati sempre da beneficiati.

L’inganno è stato ordito con grande abilità, con sottile cautela, perché fosse difficile scoprirlo e perché il mantello della bontà che veniva indossato riuscisse a nascondere completamente il vizio. Un vizio antico. L’utilizzo del potere, basato sulla conquista del consenso, come strumento di affermazione di sé, della propria famiglia, del proprio clan, dei propri amici, dei propri servi. E tra i servi hanno sempre avuto un ruolo preciso gli agiografi di mestiere e di propenzione, gli incensatori, che, dopo aver dato il meglio di sé nel magnificare i potenti in vita, hanno persino trovato il modo di dare ancora di più nel magnificarli dopo che erano morti. Si sono lette ultimamente ispirate frasi incensatorie, ispirate e commosse, in cui perfino i più semplici e i più comuni gesti e fatti quotidiani sono stati descritti come eroici. Eppure non poche scelte di questi campioni celebrati della presunta democrazia partecipativa, per di più nominalmente intrisa di spirito cristiano e di finalità di servizio, sono state esiziali per Teramo e per i teramani e sono state state causa di torti, offese e tirannie.
 L’abbattimento del Teatro Comunale e di tanti altri edifici che costituivano il vanto dei teramani, scellerate operazioni urbanistiche intraprese con l’annunciata finalità di contribuire alla crescita della popolazione e dell’economia, decisioni assunte nel campo sociale e in quello culturale, hanno prodotto un’assuefazione ad una sorta di assopito trasalimento, un torpore malefico perché sempre risolto nell’accettazione dell’esistente e nella rinuncia alla protesta. Con la scomparsa dei grandi protagonisti di questa era democristiana durata decenni e con il tramonto di altri, viventi ma impotenti, si è verificato un fenomeno di grande visibilità, anche se molti non vogliono vederlo: una volta c’era un solo Caco in tutta una città, adesso ce n’è uno ad ogni angolo ed ogni casa è il suo covo. Caco è un personaggio della mitologia romana, generato da Vulcano, protagonista della decima delle fatiche di Ercole. Virgilio lo rappresenta come un mostro che sputa fuoco, Tito Livio come un pastore, Dante Alighieri come un centauro. Ma in tutte e tre queste rappresentazioni comune è il ruolo, quello di un temuto mostro, potente, riverito per la sua potenza, che viveva in un suo antro sull’Aventino, terrorizzando tutti quelli che passavano dalle sue parti.
  L’esercizio del potere si accompagna spesso con il terrore diffuso ad arte, spesso nelle forme di una pretesa sudditanza, che viene subita perfino con avida accettazione per essere elaborata e digerita non come imposizione ma come scelta attiva. Quando il Caco originale è scomparso, sconfitto da un Ercole troppo inesorabile per potergli resistere, sono spuntati qua e là dei “Cachetti” che si sono messi, presumendo troppo di sé, a pretendere di essere considerati quel che non sono e non potranno mai essere e a scimmiottare le movenze e gli atteggiamenti del Caco scomparso. La democristianeria è mala erba, capace di infestare ogni terreno coltivabile e di scacciare ogni altra fioritura di fiori, piante, arbusti e alberi da frutta. Viene spacciata per filantropica e benefica attività, apportatrice di benessere e di felicità, ma in realtà è pratica astuta, dispensatrice di compartecipazioni e di cooptazioni riservate a pochi eletti, non certo i più capaci, ma i più fedeli. E tra i fedeli si distinguono gli agiografi, del presente e del passato, gli incensatori, che lustrano i pomelli delle porte dei potenti per farli apparire più lucidi di quel che sono, spazzolano i paletot dei loro padroni con maggiore cura di quanta ne riservano alle loro livree da servi. Agiografi incensatori del nulla. E il nulla può assumere tante forme: quella nitida del parlare forbito, ma vuoto, dell’assessore regionale che dice senza dire, che afferma senza affermare, che nega senza negare, che dice di fare quel che non fa; quella del presidente di regione che si arroga meriti e capacità ed elenca risultati non conseguiti come se fossero reali; quella del sindaco che vuol far apparire ciò che non è non vuole far apparire ciò che è.
  Abbiamo qua e là diffuse sul territorio e in ogni settore, negli uffici pubblici, nelle organizzazioni sociali e culturali, nelle fondazioni, nelle cosiddette “società filantropiche”, nella stampa, diecine di bocche da fuoco della propaganda, impegnate a sparare un turbine di bombarde che sembrano fuochi di artificio finalizzati a stupire e a meravigliare. Perfino una cosa oscena come la copertura della sala ipogea di Piazza Garibaldi si cerca di magnificarla come un’opera d’arte, una dette sette meraviglie del mondo, e si celebra una saletta interrata intitolandola ad artisti la cui opera viene giudicata sublime oltre ogni misura ed oltre ogni merito. La legione degli incensatori accorre ed ascolta a bocca aperta, si estasia, pende dalla labbra dei cultori del nulla e poi smoccola elogi e adula sfoggiando sorrisi compiaciuti. In questa pletora di personaggi senza tempo c’è chi ha zampe da leone e chi il piede da orso, uno parla con bocca da papero e un altro mormora con grugno da porco, quello ha i piedi da capra e quello le orecchie d’asino, alcuni hanno occhi da civetta e altri da topo, ma quasi tutti hanno risate da cane, con i denti in mostra. Questa variopinta umanità, in questo modo descritta dal grande Baltasar Gracián, costituisce un gruppo di osannanti coreuti che fanno a gara nel mostrarsi servizievoli, tanto da potersi meritare il premio per questa acquiescente compiacenza: la riconoscenza del riverito e dell’adulato. Il nulla a Teramo ha assunto diverse e molteplici forme. Per questo non è invisibile, ma visibile e riconoscibile. Lo vedi ovunque e ovunque viene magnificato. Per le strade e nelle piazze ci sono divertiti e divertenti sviolinatori, autori di svolazzanti sirventesi ed esecutori di appassionate serenate. Il nulla può essere anche suono. Il suono della voce degli adulatori è flautato. Ma attenti alla lezione del filosofo Antistene: “E’ meglio capitare tra i corvi che tra gli adulatori: gli uni divorano i cadaveri, gli altri i vivi.”

Elso Simone Serpentini

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