Direttore editoriale:
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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Le (im)prudenze di Paolo

16 aprile 2013

Ricordo il Paolo Tancredi giovane liceale, nella mia classe, tra i miei alunni. Era un giovane a modo, corretto, studioso quanto bastava, ironico all’occorrenza e autoironico se necessario. Ricordo che accennavamo, a volte celiando, alla distanza intercorrente tra i nostri diversi modi di intendere la politica. Ricordo la sua prudenza, che si può intendere anche per compunta saggezza e attenzione ai pericoli da non correre.

Ricordo anche quanto fosse prudente e poco avventato nel calare un sette nelle nostre partite di scopone scientifico, che nelle gite scolastiche erano il massimo della trasgressione che ci concedevamo. Ricordo di Paolo le “prudenti” interrogazioni, dalla esposizione piana e ordinata, senza gli avventurismi tipici degli studenti che vogliono strafare, cercando di mostrarsi più preparati di quanto in realtà fossero, con l'intento di provare di aver studiato più di quanto in realtà si fosse fatto. Ricordo anche la prudenza solerte e vigile delle prime mosse politiche di Paolo Tancredi, compiute seguendo i consigli di un padre che di prudenza era stato maestro, avendo attraversato le insidiose foreste della politica romana e la frequentazione di personaggi da prendere con le molle senza mai cadere in una trappola e senza mai correre il rischio di essere catturato da qualche astuto nemico, o avversario che fosse. Ricordo la prudenza di Paolo nelle sue prime esperienze da parlamentare, che era arrivato a compiere sempre seguendo le indicazioni di un padre amorevole e prudente consigliere, che gli suggeriva cosa fare e quando nel momento stesso in cui lo avvertiva che presto sarebbe arrivato il momento di dimostrare, innanzitutto a se stesso, di essere capace di consigliarsi da sé.
  Ricordo bene tutta quella prudenza, usata a piene mani e in punta di piedi, dispensata con parsimonia come si fa con il sale nel preparare le minestre, ma anche, nel caso, a profusione, come si fa con la farina di zucchero per rendere più gradevole una pizza di Pasqua. E’ proprio perché ricordo tutto questo che mi sono sorpreso, ultimamente, nel notare in Paolo Tancredi alcuni comportamenti imprudenti. Che sono consistiti, per la verità, più che in cose fatte, in cose dette. Non poche sue dichiarazioni, così come sono state riportate dalla stampa, sono risultate, indubitabilmente, avventate e poco prudenti. Quando ha cercato di spiegare alcune sue frequentazioni con l’imperatore dell’immondizia abruzzese e non solo abruzzese Di Zio, le sue spiegazioni sono sembrate poco accorte e quasi poco sagge, per essere più concisi, imprudenti. Quando ha compiuto alcune scelte da coordinatore del suo partito, ma soprattutto quando è stato chiamato a giustificarne le ragioni e le motivazioni, ha dato adito a qualche accusa di imprudenza e lo stesso è accaduto quando ha parlato del suo ruolo di parlamentare. Non è stato prudente affermare che farà il parlamentare, senatore o deputato che sia, solo fino a quando ne avrà la convenienza. Ho ben capito che cosa intendeva veramente dire, che cioè in fondo per un professionista affermato quale era lui prima di essere eletto, fare il parlamentare è un sacrificio, perché a fare il professionista potrebbe guadagnare per sé e per la sua famiglia ancora di più. Ma dire questo come lo ha detto, facendo cioè intendere che se ne sta seduto su uno scranno parlamentare solo per suo tornaconto e per il tornaconto della sua famiglia, non è stato elegante, e quindi prudente. Soprattutto essendo il rampollo di un politico di primo piano che gli avversari hanno accusato di aver fatto più gli interessi propri e della propria famiglia che quelli della sua città e dei teramani.
  L’esercizio dell’arte della prudenza è difficile, ma è indispensabile in un uomo politico, come ci ha insegnato Baltasar Gracián, e ultimamente in questo esercizio Paolo è stato poco accorto. Alcune altre sue dichiarazioni sono state passate al setaccio e alcune sue scelte sono state criticate, anche all’interno del suo stesso partito e anche se chi avrebbe potuto metterlo definitivamente angolo, come Paolo Gatti, non ha avuto il coraggio di farlo, la sua forza e il suo peso ne hanno scapitato, tanto che era stato quasi estromesso in modo definitivo dalle liste, almeno dalle zone delle liste privilegiate e foriere di facili e scontate elezioni. C’è voluta tutta la forza di un Gianni Chiodi che molto doveva a lui perché moltissimo doveva a suo padre, per fargli risalire le posizioni e regalargli così un altro scranno, con il quale ha sostituito in Senato quello che aveva perduto nella Camera dei Deputati. Il fatto è che nel bilancio tra prudenze ed imprudenze non può essere trascurata l’importanza dei segni meno e più e nemmeno quelli del per e del diviso. I pani e i pesci sono stati a lungo moltiplicati nell’era democristiana e anche in quella postdemocristiana, e sono stati divisi tra gli amici e con gli amici, tra gli amici degli amici e con gli amici degli amici. Con i tempi che corrono e che hanno cominciato a correre, sarà difficile continuare a moltiplicare pani e pesci, e perciò anche a dividerli. Sarà molto più probabile che quei pani e quei pesci, politici come Paolo se li vedano sottrarre. Anche politici come quelli che hanno recentemente difeso Paolo, come Chiodi, possono vederseli sottratti. Non è che possa proseguire all’infinito il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, che già troppo a lungo si è perpetuato nelle urne, dove bastava contare sulla protezione di uno scudo crociato (o dell’insegna nella quale quello scudo si era trasformato), per essere eletti senza troppi rischi.
  Da poco più di un anno Paolo sta governando da solo la sua imbarcazione, senza i consigli e la protezione di chi lo aveva issato a bordo. La prudenza è adesso quanto mai necessaria ed evitare le imprudenze è imprescindibile. E’ assai facile vedersi ridotti dal rango di nostromi a quello di mozzi e accorgersi che si è a bordo non più di un elegante e snello naviglio ma di una zattera, senza remi e senza timone, in un mare dove anche il più innocuo dei venti può portare al naufragio. Non è detto che la prossima volta il Nostro possa salvarsi di nuovo, trovando rifugio nella capanna dello zio Gianni. Anche perché è possibile che il protettore debba andare anche lui prossimamente in cerca di qualche protettore ancora più potente, senza più la speranza di essere creduto nel dire che si è fatto quel che non si è fatto e si deve ancora fare.
  Intanto il nostro Paolo dovrà accrescere il numero dei suoi occhi, fino ad averne quanti ne aveva Argo, ed aumentare la sua prudenza fino ad averne quanta ne avevano i saggi antichi. Dovrà evitare dichiarazioni imprudenti specie ai giornalisti televisivi di razza “iene” ed accrescere le proprie capacità di fare scelte illuminate. Non si pretende che mostri eccessive propensioni a rinnovare se stesso e il proprio modo di fare politica. D’altro canto non si può pretendere che un albero che produce ghiande si metta all’improvviso a produrre fichi. Ci basta che egli contribuisca al processo di rinnovamento che la classe politica di per sé sta avviando, senza frapporre troppi ostacoli. Ci basta che egli assecondi il flusso, senza porre barriere o dighe, che d’altro canto finirebbero per essere travolte.

Elso Simone Serpentini

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