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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Assessore alla cultura cercasi

26 marzo 2013

Sono pienamente convinto che la rinascita di Teramo, se mai ci sarà, dovrà partire da un recupero pieno e senza tentennamenti della propria identità culturale, smarrita qualche decennio fa. Nell’Ottocento e nei primi del Novecento la città era culturalmente assai viva, anche se solo grazie ad una minoranza élitaria, capace di slanci e intraprendente. Nel panorama abruzzese era seconda all’Aquila, capoluogo incontrastato anche sul piano culturale, ma alla pari di Chieti e nettamente superiore alle realtà della costa adriatica, che si stavano sviluppando solo in direzione di una crescita economica e sociale.

Nel primo dopoguerra, le difficoltà furono tante e l’urbanesimo modificò il volto del tessuto cittadino e il rapporto tra ceti sociali. Il boom economico finì per stravolgere tutto e per sovrapporsi a vocazioni antiche, fino a farle sparire quasi del tutto. Seguì un involgarimento di sensibilità, che si diffuse dal ceto popolare, attratto dai falsi miti del consumismo, a tutto il ceto impiegatizio, mentre non pochi nuovi ricchi si convincevano di poter far tutto e di poter avere tutto da una classe dirigente compiacente e sempre più insipiente, interessata soltanto ad accrescere il proprio consenso. Per conseguirlo, gli amministratori consentirono a chiunque qualunque cosa, consentendo di demolire tutto il demolibile e di costruire tutto il costruibile. Gli strumenti urbanistici furono piegati agli interessi di pochi e non a quelli collettivi. Furono i proprietari delle aree edificabili o rese tali a dettare le regole del gioco. Di ogni gioco. Il miraggio del modernismo fu la molla che mise in moto processi di cambiamento che sembravano migliorativi. Solo nei decenni successivi, a poco a poco, si è iniziato a prendere conoscenza e coscienza dei disastri e dei crimini commessi. Oggi ne siamo sempre più consapevoli e un numero sempre maggiore di cittadini lo stanno diventando.Il sogno di dare alla nostra economia, una volta agraria, poi impiegatizia e infine redditizia, una caratterizzazione industriale durò assai poco, spento da una mancanza atavica di vocazione imprenditoriale dei residenti, dalla carenza di infrastrutture e di una viabilità adeguata, dalla eccessiva accondiscendenza con la quale i politici e gli amministratori accolsero avventurieri forestieri, attratti soltanto dalla possibilità di usufruire di agevolazioni e di vantaggi, desiderosi di lasciare il territorio al più presto, dopo averlo depredato. L’epoca post-industriale ci vede ancora immersi in un pantano, in sabbie mobili nelle quali ancora non riusciamo a districarci. Al fallimento totale di ogni impresa si aggiunge quello sempre più grave del settore terziario, che finora aveva consentito di sopravvivere alla meno peggio. La crisi mondiale ed europea che sta dilagando da un paio di anni, prima finanziaria e bancaria e poi economica, ci sta dando il colpo di grazia. Ci sta asfissiando e fatichiamo a respirare. Molti esercizi commerciali sono in difficoltà, alcuni hanno chiuso già e non se ne aprono di nuovi. Anche i bar, che i teramani hanno sempre gioiosamente affollato, sono ora quasi deserti e i ristoranti, l’ultima frontiera del piacere tutto pretuziano della buona tavola, non lo sono, ma sono meno affollati di prima. Intanto, tra i generi non di primaria necessità di cui si rinuncia all’acquisto ci sono, purtroppo, giornali e libri, che già da tempo immemorabile non erano certamente i preferiti della nostra gente, attratta da interessi assai più materiali che da quelli spirituali, che arricchiscono l’anima, ma non il corpo.
 In questa deprimente realtà, in cui i giovani solo quelli maggiormente penalizzati dalla mancanza di buone speranze per il futuro - ma anche gli anziani ne hanno poche e vedono sempre di più un peggioramento della loro condizione di vita - è addirittura straziante constatare che la politica cittadina è avviata lungo un piano inclinato di degrado e di inefficienza, in un processo di desquamazione che sembra inarrestabile e soprattutto irreversibile. Stiamo perdendo pezzi del nostro passato nell’indifferenza generale, viviamo in un presente senza prospettive e non riusciamo a pensare un futuro di rivalsa e di riscatto.
 Ma potremmo fare molto e cominciare a farlo subito. La prima cosa che i teramani dovrebbero fare, da subito, è cominciare a progettare di “disfarsi” dell’attuale amministrazione Brucchi, sindaco in testa, composta da assessori grigi e privi di ogni preparazione, diventati sempre più inaffidabili anche sul piano sul quale pensavano di poter brillare di più: quello del pragmatismo e del decisionismo. Brucchi continua a spendere il nostro denaro in opere inutili, anzi dannose (Piazza Dante, Ipogeo), prendendosi il vanto di cose in cui lui non c’entra niente (per il Lotto Zero i tempi sono stati sempre dettati dall’Anas) e non prendendosi le colpe per cose in cui lui un po’ c’entra (vedi Ponte Vezzola). La seconda cosa che i teramani dovrebbero fare è trovare un’alternativa ad un sindaco inutile come quello che hanno, le cui dichiarazioni nella televisione di famiglia diventano ogni giorno più blateranti e pittoresche. Un segno di cambiamento e di rinnovamento potrebbe arrivare anche dai partiti tradizionali, se il PDL avesse il coraggio di ammettere il fallimento di Brucchi e trovargli un sostituto, ma non lo farà. Anzi, lo considererà un ottimo sindaco e, facendolo sponsorizzare da quello che ritengono un “ottimo” governatore, Chiodi, lo ripresenteranno candidato alla massima carica cittadina. I teramani potrebbero rivelarsi così ostinati e pervicaci nel perseverare nei loro errori che potrebbero perfino rieleggerlo, dando così ragione al partito berlusconiano, che in Italia e in Abruzzo approfitta così largamente dell’autolesionismo degli elettori. Anche il PD potrebbe dare un segno di cambiamento e di rinnovamento, se riuscisse a individuare un candidato forte e davvero alternativo, non prelevato però dalla nomenclatura, né quella altrui (la candidatura di Albi a sindaco anti-Brucchi ancora grida vendetta), né da quella propria (ripeto che con Cavallari e gli altri più o meno giovani non si va troppo lontano). Le liste civiche potrebbero dare anche loro un segno di cambiamento e di rinnovamento, così come il movimento grillista, ma non sto qui a ribadire considerazioni, che ho parzialmente esposto la settimana scorsa, sulla difficoltà delle prime di procedere unitariamente e sulla necessità del secondo di trovare un “grillo” teramano (chiave di volta quello di un “grillo” leader sul piano nazionale), che per ora non si intravede.
  Voglio concludere con la quarta cosa che i teramani dovrebbero fare per sperare di tornare a rivedere le stelle, non solo cinque, ma molte di più. Dovrebbero nella prossima amministrazione costringere chiunque vincerà le elezioni e diventerà sindaco a non fare a meno di un assessore alla cultura, cosa che invece ha fatto tranquillamente Brucchi, senza nemmeno rendersi conto della gravità della scelta, non sua, ma da lui subita. Chi gli ha imposto di non avere un assessore alla cultura aveva le sue ragioni e, anche se ora non c’è più, qualcun altro potrebbe avere quelle stesse ragioni e imporre ancora quella scelta. I compiti che un’amministrazione comunale dovrebbe assumersi nel settore della cultura, non possono essere lasciati alle banche e alle fondazioni delle banche, le cui logiche perverse non consentono alla cultura di conservare il bene più prezioso: la libertà.

Elso Simone Serpentini

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