Direttore editoriale:
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Franco Baiocchi
Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Il fronte di guerra della sanità

14 maggio 2013

Che cosa pensereste voi di un generale di corpo d’armata che destinasse il meglio delle sue truppe e delle sue risorse militari alle retrovie o, nella più favorevole delle ipotesi, alle linee intermedie, impegnate in compiti di vigilanza e di logistica? Se inviasse nelle prime linee, quelle nelle quali ci si scontra a diretto contatto con il nemico, i suoi soldati meno preparati, con risorse assai limitate, pressoché disarmati e senza supporto adeguato? Che cosa pensereste voi, se a questi reparti avanzati, impiegati sul fronte di guerra, venissero lesinati mezzi e armamenti, se venisse negata la copertura dell’aviazione e dell’artiglieria e se non venisse assicurata un’adeguata rete di comunicazioni?

Pensereste certamente, come penso io, che questo generale di corpo d’armata sarebbe inefficiente, destinato a perdere la sua battaglia e da sostituire. E’ quel che ho pensato io, e avreste pensato anche voi (lo avete pensato certamente se avete fatto anche voi l’esperienza di cui sto per parlarvi), l’altra sera, quando sono stato, personalmente, ospite (trattato non più e meglio che come un ospite) al pronto soccorso di Teramo per un mio problema diretto e personale. Non è andata male in termini di tempo. Sono entrato alle 19,30 e sono uscito con una diagnosi alle 3 di notte. Ad altri è andata peggio. Non ho usufruito di corsie preferenziali, anche se pazienti arrivati assai prima di me, alcuni nella mattinata, li ho lasciati che erano ancora lì quando sono andato a casa. Questo è dipeso da fattori oggettivi, quali la specificità dei problemi e la natura degli interventi da attuare, alcuni dei quali erano impossibili per motivi di cui non sono riuscito a capire la ragione. Quel che qui voglio fornire è un reportage diretto da quel fronte di guerra che è il pronto soccorso dell’ospedale di Teramo. Ne ho visti pubblicati da altri, am voglio dire la mia, traendo le mie considerazioni dalla mia esperienza personale. Dico subito che non voglio riferire fatti e circostanze precise, per non restare legato al “particolare” e per poter puntare ad una visione più complessiva delle problematiche che ho percepito.
 Non pretendo che questa visione sia un’analisi dettagaliata o scientifica. Voglio che essa rimanga nell’ambito delle impressioni soggettive, che però contano anche loro, perché, quando ci si ritrova in un pronto soccorso alle prese con un problema personale, la “percezione individuale” è centrale. Oserei dire che dal punto di vista del paziente e dell’utente di un pronto soccorso la realtà percepita è ancora più importante della realtà effettiva (“efficiente” avrebbero detto i filosofi dell’Ottocento). Escludo subito che in questa mia percezione individuale e personale compaiano scene quali ne ho viste - tante - in televisione, riferite al “Cardarelli” di Napoli, al “Santo Spirito” di Roma o ad altri ospedali che fanno parte dell’Inferno della sanità italiana.
  Non ho visto malati parcheggiati nelle corsie del pronto soccorso da giorni, su barelle fatiscenti, non ho visto moribondi lasciati a se stessi per ore accanto ad altri pazienti e in una bolgia indescrivibile. Questo no. Ma non ho visto nemmeno i segni dell’efficienza e dell’umanità. Devo dire che sono stato sfortunato.
 Da quel che ho capito, non si trattava di una serata particolarmente “movimentata”. Nessun caso grave urgente, nessun incidente automobilistico recente o intervenuto nel frattempo, pochi arrivi delle autoambulanze del 118. Direi che si trattava di una notte “quasi” tranquilla. In altre occasioni mi ero trovato in situazioni generali peggiori, sia personalmente (con tempi di attesa e difficoltà superiori), sia per assistenza a familiari, con qualche aspetto inquietante - quali una dimissione pur in presenza di un doppio edema cerebrale non rilevato e non diagnosticato, seguito a poca distanza da altro ricovero, con conseguente intervento chirurgico d’urgenza).
   Preciso anche, per onestà intellettuale, che sono rimasto complessivamente soddisfatto dall’esperienza, con una diagnosi seguita a interventi puntuali e accertamenti approfonditi. Ciò che scrivo, pertanto, non è frutto di risentimento o di malanimo. E scrivo volentieri ciò che scrivo ancor più volentieri proprio perché sono scevro da pregiudizi dettati da elementi critici devianti. Ciò che scrivo è, come sempre ciò che penso, e ciò che penso è ciò che ho detto all’inizio. In genere in Italia, ma all’ospedale di Teramo in modo accentuato (anche se per fortuna non tragicamente come in alcuni ospedali dell’Italia centro-meridionale) il pronto soccorso è come un fronte di guerra al quale un generale di corpo d’armata non destina il meglio delle risorse, sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo. La stessa cosa avviene per un altro fronte di guerra, quello dei consultori, come dimostra l’esperienza del dottor Roberto Petrella, nuovamente sottoposto a procedimento disciplinare solo perché accusato di aver in qualche modo informato la stampa dell’inefficienza del servizio che è costretto ad erogare nel consultorio di Casalena per colpa dei suoi superiori.
   Per fortuna, non è mai accaduto e non accadrà mai che sia io quello impegnato a dirigere un’Asl. Non ne sarei stato e non ne sarei all’altezza. Non ne avrei avuto e non ne avrei le capacità. Ma una cosa la so. Se io fossi un direttore generale di Asl, considerei i pronto soccorso e i consultori il “mio” fronte di guerra e destinerei a questo fronte i miei uomini più preparati e le risorse più ingenti. Non lascerei questo reparto senza la copertuta dell’aviazione, dell’artiglieria e delle comunicazioni, ad esso destinerei il meglio del mio esercito e della mia disponibilità di mezzi e di munizioni. E’ qui che si perdono o si vincono le battaglie. E’ qui che si vince o si perde la guerra. E invece il direttore generale della Asl di Teramo assiste ogni giorno, e ogni notte, ad una sconfitta. E’ qui che sta perdendo la guerra, anche quando, novello Diaz, emana proclami di vittoria, associandosi al suo re (il governatore Chiodi) nel vantare l’eccellenza di questo o di quel reparto ospedaliero. Fino a quando non sarà eccellente il suo pronto soccorso (e i consultori), non sarà eccellente la sua sanità.
   I medici del pronto soccorso? Ne ho trovati di ottimi, eroici, impegnati allo spasimo e alle prese con mille problemi (pur con qualche eccezione). Gli infermieri? Anche loro ottimi, eroici e impegnati (anche qui con qualche eccezione). Ma è l’organizzazione che manca. Sono le risorse che sono carenti. Poche le sale di accoglienza, pochi i mezzi, poca la comunicazione tra i reparti. Una paziente era in attesa di una visita specialistica richiesta la mattina e non ancora effettuata a notte inoltrata (pare che un “certo” medico proprio non si trovasse) e rimaneva distesa nella barella accanto alla sedia dove ero seduto io. Un’altra, distesa anche lei su una barella in corridoio, era da ore in attesa di una tac alla testa che non arrivava mai e poi di una risposta che tardava anch’essa. Ad un altro paziente facevano l’elettrocardiogramma su un’altra barella distemata nel corridoio. In qualche scambio di battute tra infermieri e medici si coglievano il disagio, lo stress, l’irritazione e perfino qualche elemento di malanimo per il comportamento di qualche collega o per qualche incomprensione. Di proposito sto evitando espressioni pesanti, o gravi, per non dare l’impressione di voler condurre il solito attacco critico, negativo e di natura qualunquistica. Ho voluto limitarmi a dire, pacatamente, che così non va. Che, anche quando il personale può essere considerato sufficientemente all’altezza, non lo si mette nella condizione di dare il meglio di sé. Che farebbe bene il direttore generale a passare qualche ora al pronto soccorso e nei consultori a cercare di capire di persona ciò che non va. E ciò che non va è molto e molto lui può fare per far sì che vada meglio.
   Intanto ha deciso un corso di formazione destinato agli infermieri dei pronto soccorso per una più attenta valutazione dei codici e delle priorità negli accessi alle visite. Ma, se ai corsi per imparare a baloccarsi meglio con i colori non seguirà un potenziamento delle risorse e delle strutture, tutto sarà inutile.

Elso Simone Serpentini

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