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Supplemento del settimanale satirico
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di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Teramo "bombardata" e distrutta

12 febbraio 2013

Quando su Facebook sbarcano fulgide intelligenze il social network più popolare all'improvviso si illumina. Recentemente vi è approdato Fausto Eugeni e ha portato con sé in dote un'idea brillante, una pagina dedicata ad antiche fotografie di Teramo, non solo riguardanti l'aspetto architettonico e urbanistico della città, ma anche. Abbiamo così rivisto alcune fotografie già note, ma il cui significato è risultato ancora più ingigantito, ed altre inedite o quasi, che ci hanno riportato antichi e mai sopiti dolori nel mostrarci una città che c'era e ora non c'è più.

La Teramo che sarebbe ancora, se non fosse stata "bombardata". Ecco, tutti sappiamo che Teramo durante la guerra non è stata davvero bombardata, come invece è accaduto a Pescara e ad Ortona, che sono state sventrate e le cui chiese sono state abbattute e distrutte. No, la nostra Teramo è stata bombardata e distrutta nel dopoguerra. Di quelle bombe non bombe, tutte esplose purtroppo, perché nessuna di esse è caduta sul tessuto vivo della città senza esplodere (come a volte capita alle bombe vere, quando la spoletta non funziona), portiamo ancora al giorno d'oggi le conseguenze. Le ultime non sono cadute molto tempo fa e qualcuna stava per caderne anche di recente. Si tratta di bombe concettuali, armate nei cantieri mai chiusi dell'ignoranza culturale e dell'affarismo economico, finanziario ed immobi-liare. Politici ed amministratori di basso conio vennero indotti a varare progetti di abbattimento di edifici storici e perfino di quartieri interi e a sostituirli con palazzoni di cemento armato, brutti, anzi orribili, senza stile e senza significato, senza valenze architettoniche e senza altra finalità che non fosse l'impinguimento dei conti in banca degli imprenditori edili e della moltiplicazione dei voti di preferenza di professionisti del clientelismo.
  Una delle prime bombe cadute su Teramo, o comunque la più devastante, fu quella che distrusse quel gioiellino che era il nostro Teatro Comunale. Con la scusa che era vecchio e diventato un albergo per topi, alla fine di un lungo periodo di colpevole assenza di manutenzione, fatto deperire forse apposta per giustificarne l'abbattimento, il Teatro venne demolito a colpi di maglio e al suo posto sorse un grande magazzino, di cui oggi comprendiamo la pochezza e la futilità. Ma il gesto, certamente non nobile né illuminato, fu interpretato come il primo passo della città nella modernità e l'ingresso dei teramani in un mondo fantasmagorico in cui perfino i posti di lavoro che venivano promessi o garantiti, ma distribuiti sempre con il criterio della clientela politica, furono considerati un alibi. L'ignoranza dei teramani la si può anche comprendere, spiegare e forse giustificare, ma è certamente un'ironia della sorte che a sganciare quella bomba che distrusse il Teatro Comunale, o comunque il responsabile politico principale, fu tra i politici e gli amministratori del tempo proprio chi, giustamente, menava il vanto di essere il più illuminato intellettuale, perfino raffinato, il più colto, il più certamente portato ad amare la storia e le sue implicazioni, il più capace di cogliere il senso di un edificio storico e la sua importanza nella storia di un popolo e di un tessuto urbano. Quanti studi aveva condotto il prof. Carino Gambacorta sulla nostra storia, quanti contributi aveva dato alla lettura e alla scrittura del nostro passato! Come fu possibile che, lui per primo, si facesse sfuggire quanto fosse grave e delittuosa quella scelta sciagurata che quasi tutti oggi rimpiangiamo? Come fece a non capire e a non avvertire i suoi concittadini su quanto fosse sciagurato quell'abbattimento e quanto lo fosse l'altro, non meno grave, di cui la fotografia a corredo di questo scritto fornisce testimonianza visiva? I portici Bonolis e lo storico palazzo antistante furono abbattuti e sorsero al loro posto casermoni che costituiscono l'onta dei professionisti che ne firmarono il progetto, non certo delle maestranze che procedettero materialmente all'edificazione, ricevendo un tozzo di pane in cambio del voto che furono chiamati a promettere e poi a dare quando gli fu offerto un posto di lavoro.
  Altre bombe caddero poi, una dopo l'altra, e furono demoliti i villini dell'attuale Via Carducci (una volta Via del Burro), altri complessi edilizi in altre zone, uno lungo il Corso, per far posto alla sede della Tercas, l'Albergo del Giardino e altri di quell'area storica di Teramo che era l'antica Cittadella (il cuore della nostra storia) e poi l'Apollo di Ovidio Bartoli e altri che testimoniavano l'avvento nella nostra città dello stile liberty, di cui oggi non abbiamo quasi più esempi. Un altro scempio fu l'abbattimento del palazzo dell'attuale Piazza Orsini per edificare l'orribile attuale sede della BNL.
  La serie degli esempi di criminali abbattimenti potrebbe essere infinita. La classe dirigente che governò Teramo nel dopoguerra è colpevole di una colpa grave. Quello che non fecero i barbari lo fecero i democristiani, i quali intesero la politica e l'amministrazione civica come strumento del conseguimento del consenso necessario per poter governare. In generale non lo fecero per arricchirsi. A parte qualche rara eccezione, non si operò in vista di un arricchimento personale e "tangenti" (come si dice oggi utilizzando un termine allora sconosciuto) non ne furono versate, anche se nelle casse dei partiti qualcosa gli imprenditori versarono. Ma le conseguenze furono ugualmente terribili. Sulla distruzione della città furono costruite carriere politiche, di lungo corso, e il senso dell'appartenenza partitica accecò tutti. Oggi abbiamo una città di cui s'è distrutta l'identità, che rimpiange la perdita di pezzi della propria storia, in cui l'ignoranza che s'è troppo radicata negli abitanti costituisce ancora un pericolo costante, per altre eventuali e possibili devastazioni, perché c'è una continuità di orientamento politico lungo un percorso contrassegnato assai spesso da eredità di cui sarebbe meglio essere diseredati. E' cresciuto il numero di quanti, tra i cittadini, hanno una diversa e più accentuata sensibilità per la gravità delle perdite culturali e provano angoscia e nostalgia nel vedere queste foto di sventramenti e di abbattimenti. Che sia seme fecondo.

Elso Simone Serpentini

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