Direttore editoriale:
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Franco Baiocchi
Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

Professione? "Giornalista"

5 febbraio 2013


Ricordo che quando era allenatore del Teramo, negli anni '80 del passato secolo, Giorgio Rumignani, nel pieno di una roventi polemiche suscitate da miei servizi televisivi, ebbe a dirmi: " Ho imparato una cosa. Non polemizzerò mai più con un giornalista che non vive del suo lavoro di giornalista". A modo suo, il burbero friulano aveva colto una grande verità: un giornalista che non vive del suo lavoro di giornalista, ma esercitandone un altro, e fa del giornalismo non una professione o un mestiere specifico, è certamente più libero e meno condizionabile di chi ha a disposizione solo i suoi articoli per tirare "quattro paghe per il lesso".

Ciò che fa di un giornalista un uomo libero è la più piena libertà di esprimere la propria opinione nel raccontare, nel descrivere e nel commentare le cose che racconta, descrive e commenta, libero da qualsiasi tipo di condizionamento che non sia quello derivante dalla sua opinione, dal suo orientamento politico-culturale-religioso, soprattutto se in merito egli è con i propri lettori esplicito, senza pretendere di essere al di sopra delle parti e imparziale. Cosa che non può essere, nemmeno se lo si volesse.
  Quando e se un giornalista si lascia condizionare, consapevolmente o no, da altri elementi, diversi da quelli che ho sopra indicato, la sua libertà è solo quella del pendolo, che può esercitarsi solo assai limitatamente, lungo un percorso prestabilito e contrassegnato da chi ha il potere di marcarne il senso, la direzione e i limiti. Che si abbia un padrone in redazione, un inserzionista pubblicitario a cui mostrare riguardo e un referente politico al quale rendere conto, un giornalista non può davvero dirsi "libero" e in possesso di una "libertà piena". E infatti di giornalisti veramente liberi, sia sul piano nazionale che su quello locale, davvero ne conosco pochi. Quando collaboravo a TeleT, quella ancora via cavo, sentii dire da un inserzionista pubblicitario che pretendeva di condizionare le scelte redazionali all'interno di un programma sponsorizzato anche da lui, che gli si doveva rispetto, perché era lui che "ungeva le ruote". Ricordo anche che in successive esperienze di collaborazione con testate giornalistiche e radio-televisive o di direzione editoriale delle stesse mi sono assai spesso trovato in contrasto con chi riteneva di essere il "dominus" di ogni scelta, anche sul piano giornalistico.
Ricordo grandi contrasti, estreme tensioni e vergognose pretese. Purtroppo mi è anche capitato di essere testimone di numerosi altrui "ingimocchiamenti" per i quali io provavo certamente più vergogna di chi si inginocchiava.
  Spesso capita che qualcuno, nel tentativo di conservare un grado accettabile di indipendenza e di libertà, invece di prestarsi alla collaborazione con editori, puri o impuri (cioè, rispettivamente, se vivono solo dell'impresa editoriale o se vivono d'altro e diventano editori o aspettandosi un ritorno di immagine o di interessi più concreti), si faccia editore egli stesso, investendo un proprio capitale o raccogliendone altri che si aggiungano al suo. Il primo banco di prova lo si ha, in questi casi, non appena un inserzionista pubblicitario pone qualche condizione per cominciare, o per continuare, a collaborare alla vita economica della testata editoriale. Ed è che si "para la nobilitate" dell'editore indipendente, nelle stesse modalità in cui "si para" quella del giornalista non editore di se stesso.
  Oggi quella del giornalista è una professione, esiste un albo di professionsti, anzi un vero e proprio ordine di giornalisti professionisti, al quale possono accedere soltanto coloro che "esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista". Chi non è iscritto all'Ordine non potrebbe definirsi giornalista e l'esercizio abusivo della professione è considerato reato. A quanti svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano altre professioni o impieghi, è riservato un ordine (quasi un sub-ordine), un albo (quasi un sub-albo) di cosiddetti "giornalisti pubblicisti". Per accedere agli albi occorrono pratiche particolari, che non starò qui a ricordare, di diversa complessità, ma che sono del tutto slegate da un'esigenza di preparazione universitaria o di utilizzo di capacità certificate da corsi di qualificazione professionale di qualsiasi livello.
 La Costituzione, tuttavia, garantisce a chiunque il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e questo diritto non può essere limitato. La necessità di essere iscritti ad uno degli albi e di far parte di uno dei due ordini dovrebbe imporre dei doveri deontologici piuttosto che garantire l'esercizio di privilegi, fossero anche questi ultimi costituiti dalla semplice possibilità di definirsi giornalisti. Anche in nome di questo diritto, ma non solo per questo, continuo a pensare che chi esprime la propria opinione, con qualsiasi mezzo, anche su fogli a stampa o per mezzo di mezzi di comunicazione di massa o dei più moderni mezzi di diffusione del pensiero, quali internet e blog, possa meglio affermare la propria libertà più piena se non fa del giornalismo una professione, vale a dire l'unica attività con la quale assicurarsi la propria sopravvivenza economica. Nella mia immaginazione c'è sempre la figura di un avvocato, di un docente, di un falegname, di un tipografo o di chi eserciti una qualunque professione o un qualunque mestiere diversi da quella del "giornalista" e, certo del suo "sine cura", in più, come valore aggiunto, fa conoscere agli altri con i mezzi che ritiene più opportuno il proprio pensiero. Mi si dirà: "Sì, ma i mezzi di comunicazione, così come i mezzi di produzione, costano". D'accordo. Per questo confesso che, forse, questa mia idea, può essere considerata troppo idealista, "romantica", inattuale. Ma che posso farci? Ho la stessa idea della figura dello scrittore e non concepisco che possa esistere chi ne faccia un "mestiere per vivere" e lasciarsi così condizionare dal mercato editoriale per vivere di "best sellers".
  Quando penso ad un giornalista ideale, penso al tipografo di qualche film western, impegnato a stampare il foglio, assolutamente indipendente, e poi a diffonderlo, copia per copia, agli angoli delle strade.

Elso Simone Serpentini

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