Direttore editoriale:
Elso Simone Serpentini
Direttore responsabile:
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Supplemento del settimanale satirico
SOR PAOLO iscritto nel Registro
della Stampa del Tribunale
di Teramo con il numero 544
18 dicembre 2005

A chi e a che serve una televisione così?

1° agosto 2014

La televisione locale teramana l’ho vista nascere. Ho contribuito a fare nascere un paio di emittenti, a farle crescere. Poi ho abbandonato il settore. Non mi va di aggiungermi a quanti snocciolano il rosario dei “ai miei tempi”. Forse lo faccio, però inconsapevolmente. Se lo faccio, e non me accorgo, chiedo venia ai lettori. Se non lo faccio… chiedo venia lo stesso, perché potrei farlo. Ma a che serve dire “ai miei tempi”? Però, leggere il passato per capire il presente… continuo a ritenere che non sia un errore. Non faccio confronti, non voglio farne.

Non voglio chiedermi se era migliore la televisione locale del passato o se sia migliore quella del presente. Forse quella del passato oggi non avrebbe senso; quella di oggi, però, che abbia un senso lo deve dimostrare. Non guardo molto le televisioni locali. Ma qualche volta sì. L’ho già scritto in qualche occasione che non mi piace. Ma potrei essere accusato di non guardarle abbastanza per esprimere un giudizio. Qualche volta sono stato invitato a qualche trasmissione, nemmeno troppe volte. E ho visto un po’ più dal di dentro, con l’occhio esperto di chi capisce quel che si può capire e di chi vede anche quello che non si vede. E quello che ho visto non mi è piaciuto.
   Ho avuto diversi editori radiotelevisivi. Il primo editore in radio era un amico, un genio delle costruzioni, che gli impianti di trasmissione li aveva costruiti da sé. Radio Teramo trasmetteva da Villa Brozzi e sulla collina dove si trovavano gli studi ci inerpicavamo, anche d’inverno, con qualche difficoltà quando c’era la neve. Libertà assoluta. Poi la Radio scese a valle, a Teramo, prima in piazza Martiri Pennesi e poi in via Tevere. Facevamo di tutto, eravamo una cooperativa e perciò editori di noi stessi. Libertà assoluta e tanta avventura, voglia di sperimentare. Il nostro slogan era “sintonizzatevi sul futuro”. Non dicevamo il falso. Inventammo trasmissioni che le altre radio avrebbero mandato in onda anni e anni dopo. Eravamo all’avanguardia. In televisione le cose erano più complicate quanto ad editori. La prima emittente, via cavo, aveva come editore un trio di teramani autentici, entusiastici, ma poi arrivò subito un editore, un imprenditore, che avrei avuto come editore televisivo anche negli anni successivi, in contesti diversi. Facevamo miracoli, ma l’editore aveva il braccino corto, gli impianti invecchiarono e l’invecchiamento diventò un problema, una limitazione, anche culturale e politica. Gli spazi di espressione diventarono ristretti. Asservimento al potere (democristiano), tanto. Me ne andai a far crescere quasi dal nulla un’altra emittente, dove trovai spazio e libertà, fino a quando entrambi diventarono sempre più stretti a mano a mano che la nostra (parlo di un intero corpo redazionale) ambizione ne richiedeva di più ampi. Traumaticamente la collaborazione cessò e dall’esodo della maggior parte degli operatori nacque, questa volta proprio dal nulla, un’altra televisione, nella quale demmo l’anima. Anni stupendi, ci inebriammo nell’ampia prateria di uno sperimentalismo a 360 gradi. Facemmo di tutto e provammo di tutto, dando voce alla gente, a tutti, anche a chi non aveva voce. Ma era dura proseguire e a mano a mano, con successivi ripiani di bilancio che vedevano aumentare le sue quote azionarie, un editore esterno (lo stesso della prima emittente, tornato in campo) fini per impadronirsi di tutto e per imporre regole inaccettabili.
   Ancora un distacco traumatico, che portò alla morte dell’emittente. Il citato editore preferì mettere le mani su un’altra emittente, tecnicamente più dotata, e puntare su un giornalismo di tipo diverso, di cui governava le redini, apparentemente di velluto, in realtà di corda di canapa, e ben robusta, prima e di acciaio poi. Fu a partire da quel momento che, personalmente, considerai il settore dell’emittenza televisiva dall’esterno, non facendone più parte, ormai inserito in altri campi, pur occupandomi ancora di comunicazione e di informazione, ma utilizzando altri mezzi. Sia il passato operativo sia quello contemplativo (e nemmeno tanto intensamente fruito) danno un senso particolare alle mia domanda, che mi pongo in maniera a volte inquieta e inquietante: a chi e a che serve una televisione locale così? I miei lettori conosceranno, forse più di me, la realtà attuale nel campo dell’emittenza radiotelevisiva teramana. Il livello qualitativo dell’informazione non è eccelso, molte formule e molti format risentono fortemente di un stantio rancido: il vecchio e la ripetitività imperano. La qualità tecnica sarebbe discreta, se l’avvento del digitale, non avesse portato ad una “quadrettizzazione” e ad una “pixelizzazione” della visione, in genere sempre disturbata. Originalità e innovazione, zero. L’unico giornalista in grado di innovare e di darci cose nuove è stato costretto a cambiare emittente così spesso che ogni volta che ha inventato qualcosa di nuovo ha dovuto traslocare e ricominciare da capo. Poi televisivamente non è così bravo come sulla carta stampata (anche qui ha dovuto traslocare e ricominciare da capo troppe volte) ed essere “buca schermo” non è facile quando si è ingombranti, non solo in senso fisico, ma anche come portatori sani di un protagonismo intelligente che troppe volte risulta scomodo. Le emittenti televisive teramane risentono tutte, fortemente, del fatto di avere dei padroni, poco competenti nel settore specifico, imprenditori di successo ma grazie alla furbizia e alla scaltrezza, spesso sopra le righe e fuori degli schemi, decisionisti anche su cose di cui non si intendono, tirchi quanto basta per non voler spendere che pochi spiccioli nell’aggiornamento delle risorse tecniche e degli impianti di trasmissione e di produzione. La domanda è: a che cosa gli serve una televisione locale? Che se ne fanno? Perché l’hanno comprata? La risposta è: non se ne fanno niente, tanto è vero che qualcuno, dopo aver comprato, ha venduto. Non si arricchiscono con la raccolta pubblicitaria, soprattutto con i tempi che corrono. Non hanno una contropartita, diretta o indiretta che sia, sul piano politico personale, tutti hanno però un referente politico nei cui confronti si comportano come se fossero costretti a rendere conto quanto basta per poter essere giudicati dei servi. Alcuni sono accusati di esserne addirittura dei semplici prestanome. I bilanci sono in rosso e non tutti in regola, alcuni potrebbero finire in tribunale, se non ci sono già finiti. I debiti non sono pochi, i tecnici e i giornalisti hanno stipendi da fame e sono precari, quasi tutti costretti a barcamenarsi con le loro partite Iva, che sono per loro delle imbarcazioni più fragili di quelle sulle quali si avventurano gli emigranti che si dirigono dall’Africa verso le nostre coste. Una televisione locale così non serve nemmeno a loro, neanche quelli che ci campano, perché ci campano male e forse poco. Per di più rimbrottati non poche volte e costretti a dire di sì di fronte ad imposizioni di ogni tipo. Anche quelli che leggono il telegiornale, più o meno impettiti, danno la chiara impressione di avere sempre la paura di poter ricevere all’improvviso qualche ceffone. Libertà di informazione manco a parlarne: basta assistere a qualche invereconda intervista in ginocchio al politico di turno (quasi sempre lo stesso), o a qualche talk-show dove la paura del conduttore si taglia a volte con il coltello. Giornalismo d’inchiesta? Illustre sconosciuta. Domande scomode? Solo per la traballante sintassi dell’intervistato e qualche volta anche dell’intervistatore. A che serve una televisione locale così? Non certo al telespettatore, che se vuole sapere qualche cosa su alcuni argomenti deve servirsi di altri mezzi, ma anche nel loro utilizzo deve guardarsi attorno con cautela, perché se il giornalismo televisivo locale non sta bene, quello della carta stampata non sta meglio. (Ne parlerò un’altra volta).
   Torno a chiedermi: a chi e a che serve una televisione locale così? La risposta è fin troppo scontata: non serve a nessuno e non serve a nulla. C’è o non c’è, poco cambia. Se non ci fosse, poco cambierebbe. Se continua così, tra breve qualche emittente potrebbe non esserci più. Magari con i bilanci in tribunale e con Equitalia alla porta.

Elso Simone Serpentini

 

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