Il corrosivo del 31 marzo 2015

 

D'Alfonso? Tocchiamo ferro.

 

       Non comprendi mai fino in fondo quanto stai invecchiando se non quando cogli i segni dell’invecchiamento sul volto dei tuoi amici coetanei.
Perché nemmeno lo specchio è sincero con te e ti inganna, con generosa bontà.
O, forse, sei tu che nello specchio non vedi così bene come sui volti di chi ha i tuoi stessi anni. Più che in quelli dei miei coetanei, io mi sorprendo a cogliere i segni della mia vecchiaia in quelli dei miei alunni, quando di tanto in tanto li rivedo e allibisco nel vedere quali essi sono diventati e a ripensare a come erano sui banchi del liceo. A volte mi capita di carpire una qualche familiarità in tratti di persone che non riconosco subito e di meravigliarmi nel sentirmi rivelare che sono stato loro insegnante. A volte rimango addirittura scioccato nel dover cancellare dalla mia mente l’idea avuta che si trattasse di persone più anziane di me. 

 

      La premessa mi è necessaria per spiegare che finora non avevo avuto le stesse sensazioni nell’incontrare, per la verità molto spesso, Gigi Ponziani, ancora per qualche ora (e poi non più) direttore della Biblioteca “M. Delfico” di Teramo. So che di chi si incontra spesso non si coglie l’età che avanza e non si percepisce alcun segno di invecchiamento, sì che pare che davvero che per loro gli anni non passino. Per questo è stato traumatico sapere, all’improvviso che Gigi Ponziani andava in pensione. In pensione? Come in pensione? Adesso, dopo avere ex alunni padri e madri, e perfino nonni, mi toccava avere anche ex alunni pensionati? E, se sono pensionati loro, e quindi anziani - perché è inevitabile associare il pensionamento con l’anzianità -  quanto sono ancora più anziano io, anche se quando li ebbi alunni ero molto giovane?

      Mi sono consolato quando ho saputo che per Ponziani si trattava di un “pre-pensionamento”. Mi sono consolato. Ah, beh… allora… non vale! Non si può associare al concetto di anzianità un pre-pensionamento, vale a dire uno stato che in altre parole si potrebbe definire da “baby pensionato”. Il momento della consolazione è stato breve, perché sono poi comparse altre considerazioni. Sempre un pensionamento era ed è. La mia mente si è affollata di interrogativi contraddittori. Ma come? Si dice che si sta allungando l’età pensionabile a dismisura, e poi si manda in pensione (anzi in pre-pensione) così presto un direttore di biblioteca? Si parla di esodati e poi… Si parla della necessità di salvare dall’allungamento dell’età pensionabile i lavoratori sottoposti a lavori usuranti e poi… Ma non è che sarà stato considerato un lavoro usurante la direzione di una biblioteca? Potrebbe anche essere. 

       Non mi va di tentare di capire - per pigrizia - i motivi che hanno indotto qualcuno che poteva decidere a mandare in pensione Ponziani ancora in età intellettualmente tanto produttiva. Né mi va di cogliere spiegazioni nella nobile e amara lettera che lo stesso Ponziani ha scritto - per non cedere alla commozione e all’indignazione. Quindi non pretendo di capire, non lo voglio. Ho vagamente capito che la scelta di pensionarlo è dipesa dall’abolizione (finta) delle province e dalla necessità di risparmiare e di tenere più stretti i cordoni della borsa pubblica. Non mi va nemmeno di sospettare che adesso si vogliano abolire il ruolo e la funzione della direzione della biblioteca, e di ipotizzare che qualcuno possa pensare che una biblioteca possa dirigersi da sé, come un aereo auto-pilotato, che, una volta impostata la rotta, pare che sia in grado perfino di atterrare senza l’intervento del pilota (a meno che non si tratti di un aspirante suicida che decida di schiantarsi contro una montagna con tutti i passeggeri).

       Insomma, credo avere spiegato a sufficienza che non voglio sottoporre ad analisi tecnica, giuridica, procedurale, il pre-pensionamento di Ponziani e nemmeno soffermarmi a dire il superfluo, che cioè per la “Delfico” la sua assenza sarà una gran perdita. Non voglio anche perché, in fondo, non posso negare che potrebbe avere ragione chi pensa che un direttore vale l’altro, o che, quanto meno, non è facile dargli torto. Non è facile nemmeno dare torto,  o fargli capire che ha torto, a chi dice che nel centro storico di una città storica una pavimentazione vale l’altra, che un palazzo vale l’altro e che una ubicazione vale l’altra. Non è facile nemmeno dare torto, o fargli capire che ha torto, a chi dice che non c’è nessuna differenza tra avere un direttore e non averlo, avere un pilota a bordo di un aereo e non averlo, avere in cattedra un insegnante e non averlo. Non è facile far capire le differenze a chi non è in grado di cogliere le differenze.

       Quel che voglio limitarmi a dire, perciò, a proposito del pre-pensionamento del direttore della “Delfico”, è, assai più modestamente, che quando il presidente della Regione D’Alfonso diceva, riguardo alla biblioteca, una delle istituzioni culturali più prestigiose di Teramo (anche grazie ad una illuminata direzione): “Ci penso io”, non sapeva quello che diceva o lo sapeva fin troppo bene. Se ci ha pensato, c’è da stupirsi dei frutti del suo pensiero. Se non ci ha pensato, c’è da rimproverargli il fatto che non ci abbia pensato. Ma tant’è. Anche sul Premio Di Venanzo non so se D’Alfonso ci ha pensato o no. Se ci ha pensato, visto il frutto del pensiero, cioè la totale mancanza di erogazione di contribuiti regionali ad una manifestazione tra le più prestigiose che abbiamo a Teramo, c’è da affrettarsi a chiedere al presidente D’Alfonso di non pensare più alle nostre cose. 

        Nella migliore delle ipotesi, visto che qualsiasi cosa egli pensi finisce così male, si può essere costretti ad ipotizzare che porti scalogna. Molta scalogna. Da oggi in poi, quando vedremo D’Alfonso nei paraggi, tocchiamo ferro… o qualche altra cosa.