Il corrosivo del 3 marzo 2015

 

La cultura come fine, non come mezzo

 

       Inizio da una doverosa premessa: considero la cultura come un fine e non come un mezzo. Divento perciò idrofobo quando mi accorgo della presenza di qualche mercante nel tempio, che cerca di servirsi della cultura per perseguire fini diversi da quelli culturali. Tra questi fini diversi rientra molto spesso l’auto-accreditamento presso i detentori del potere, piccolo o grande che sia, per ottenere qualche cosa. Si può voler ottenere qualcosa in cambio dal servile atteggiamento che consiste nel lisciare il pelo ai politici e agli amministratori sia sul piano economico sia sul piano del conferimento di onori e di incarichi. In entrambi i casi ci si rende responsabili di un’operazione che dovrebbe riempire di vergogna, non di vanto. Recentemente, ma anche in epoche passate, ho richiamato l’opportunità che gli operatori culturali di Teramo, quale che fosse il ruolo e la funzione, oltre che il piano operativo, potessero incontrarsi, confrontarsi in una specie di “stati generali della cultura teramana”.

 

      Sono perciò il primo ad essere convinto che un convegno, un dibattito, un incontro (lo si chiami come si vuole) sarebbe assai utile per prendere la febbre alla cultura teramana e verificarne lo stato di salute. Ma il convegno che si è tenuto l’altro giorno, con il finto obiettivo di fare il punto sulla cultura teramana, è stato uno pseudo-convegno pseudo-culturale, nulla di più.
     Gli organizzatori hanno voluto caratterizzarlo come “istituzionale”, senza voler riconoscerne la vera natura di sfacciato servilismo nei confronti di amministratori ai quali, invece di essere collocati su un banco da imputati, si è voluta offrire una comoda passerella, come quella che si mette a disposizione delle soubrettes dell’avanspettacolo. Hai voglia a chiamarlo “istituzionale” un convegno che dovrebbe essere prodromico ad un presunto “tavolo tecnico”, attorno al quale non si capisce bene quali tecnici dovrebbero sedersi. 

      Ad alcuni amministratori è stato dato il destro, in questo pseudo-convegno pseudo-culturale, di continuare a coniugare i verbi al futuro riguardo alla cultura teramana e/o dedicarsi ad onanistiche pratiche di vuota illustrazione dei valori della cultura, ma nulla è stato loro rimproverato, pur essendo meritevoli di essere additati al pubblico ludibrio sia per quello che hanno fatto sia per quello che non hanno fatto. L’operazione è stata equivalente a quella di chi invita un assassino a pronunciare l’elogio funebre al funerale della sua vittima.

      A fronte delle tetre concioni di questi amministratori responsabili della loro irresponsabilità, che nulla hanno fatto di utile per la cultura e hanno, al contrario, fatto di tutto per affossarla, sono stati concessi soltanto due minuti (diconsi 2 minuti) a tutti quanti gli altri, operatori culturali o rappresentanti di associazioni culturali, che pensavano di avere qualcosa di interessante da dire, sia sul piano dell’analisi sia su quello delle proposte.

      Troppo sfacciato è stato l’intento degli organizzatori di mettersi in vista agli occhi di questi amministratori e politici, di guadagnarsi presso di loro crediti e benemerenze, non si sa bene in vista di quali contropartite. Corteggiare il potere non è certo caratteristica precipua della cultura, che non può essere coltivata che sul terreno della libertà e della indipendenza. Un giornalista teramano che ha avuto parole critiche su questo convegno ha parlato di “una manifestazione che ha ampiamente raggiunto gli scopi che paventavo volesse raggiungere”. Condivido il giudizio. Gli scopi sono stati raggiunti, ma essi non erano certamente culturali e rientravano tra quelli che gli organizzatori dello pseudo-convegno pseudo-culturale stanno perseguendo da tempo, con altre recenti iniziative pseudo-culturali che sono risultate sgradevoli e impudiche.
      
Portare avanti un progetto che approfittava tanto manifestamente e in modo così becero della figura dei bambini e basato su una serie infinta di selfie con tutti i personaggi “autorevoli” capitati a tiro o incontrati di proposito è stato davvero insopportabile. Mettere poi in bocca a questi bambini, sia pure riconoscendo l'ausilio delle maestre a scuola, una definizione della cultura come “tracciabilità del mondo” rasenta la follia e la spudoratezza.
“Retorica a poco prezzo con frasi insensate”, questa è stata la definizione data da un artista teramano a qualche considerazione e a qualche giustificazione di chi ha voluto difendere ad ogni costo la valenza dello pseudo-convegno pseudo-culturale. Espressioni assai più dure sono state usate da un noto commentatore di un blog teramano, al quale, al di là del tono usato, è difficile dare torto.

       Non c’è bisogno di convegni “istituzionali” e di “tavoli tecnici” per aprire un dibattito serio sullo stato comatoso della cultura teramana. Non c’è bisogno di esegeti in livrea da servitori in attesa di raccogliere le briciole che cadono dalle tavole degli amministratori che hanno assassinato la cultura, non c’è bisogno dei cercatori di prebende e di commende, che riservano per sé e per i propri corteggiati tutto il tempo che si vuole e a tutti gli altri il misero spazio di due minuti, concessi come generosa elargizione.

        Non c’è bisogno di chi si ostina a sostenere che il re è avvolto in splendide vesti riccamente addobbate. C’è bisogno di chi ha il coraggio di dire la verità, sostenendo che “il re è nudo”.