Il corrosivo del 17 febbraio 2015
Ci risiamo con
le lamentele per il Carnevale
Ci risiamo. Teramo riprende a
lamentarsi per il mancato
festeggiamento del Carnevale. I teramani
hanno sempre fatto, al riguardo, come quei tali che
periodicamente si impegnano ad esprimere nostalgia per
qualcosa che in realtà non hanno mai avuto. E una antica
e gloriosa tradizione dei divertimenti carnascialeschi
non l’hanno mai avuta. Così hanno spesso lamentato che
non esistessero più i bei Carnevali “di una volta”,
senza tener conto che quella tale “una volta” non c’è
mai stata. In qualche rara stagione si sono viste
sfilate di carri per il corso, arrangiati alla meglio, e
gruppi certamente originali come quello degli “ignorantelli”.
Ma niente di più, o poco di più, come quando nel 1892 fu
accolto in corteo e in pompa magna l’ingresso in città
di “Sua Maestà Carnevale, Duca di Magnanella, Principe
di Castagneto, Barone di Colle Izzone, Marchese di
Forcella, Conte di Nepezzano e di Frondarola, Gran
Feudatario dei Paesi Bassi”.
In
quell’occasione “Sua
Maestà il Carnevale” entrò nella Piazza Vittorio
Emanuele (oggi Piazza Martiri della Libertà) in carne ed
ossa, su un carro trionfale, come un imperatore romano,
preceduto da cavalieri che cavalcavano asini bardati
all’ultima moda, e seguito da la Diplomazia, in rigoroso
abito nero. Dietro di lui venivano una quindicina di
carrozze con sopra alcune maschere che distribuivano il
programma dei festeggiamenti e il decreto emanato da Sua
Maestà, con il quale si ordinava al popolo teramano, in
nome del consiglio privato composto da Bacco, Venere e
Apollo, con l’assenso di Giove Pluvio, a scacciare la “micrania”.
|
|
 |
Destino
volle che proprio quell’anno, in cui s’era
finalmente tornati, dopo anni di mortorio, a festeggiare alla
grande il Carnevale, e proprio nel clou dei festeggiamenti, in
Piazza Vittorio Emanuele, a causa di una serie di spintoni
ritenuti volontari, due guardie daziarie estrassero dal fodero
le loro daghe e si misero a dare colpi all’impazzata,
tutt’intorno a sé. Infilzarono a morte un giovane muratore, il
notissimo “Paccatù”, e un sarto intabarrato nel suo mantello e
con la pipa in bocca, la cui unica colpa fu quella di trovarsi,
per caso, nel posto sbagliato in un momento sbagliato. Il
duplice omicidio rese “tragico” un Carnevale che finalmente
avrebbe potuto essere assai allegro. Ma prima e dopo di
quell’anno…. che mortorio! Lo stesso di cui ci si lamenta oggi.
Quante espressioni di rammarico e di rassegnazione per la
mancanza di divertimenti!
“E’ tutto magro il Carnevale di
quest’anno”. Questa fu la battuta più ricorrente in
tutti gli ambienti teramani, per molti anni. “Sono gli ultimi
giorni di un moribondo”, si diceva, quando, a fine Ottocento,
erano già molti a sostenere che Teramo e i teramani fossero già
quasi morti. Si accusava il vescovo di essere amante più della
Quaresima che del Carnevale, ma la stessa accusa veniva rivolta
a tutti i teramani. Quando veniva annullata qualche festa da
ballo, per ironizzare si diceva: “Il pudore delle famiglie
teramane è salvo!”. Ma si insisteva anche a dire: “A Teramo si
muore di noia!”.
A denunciare che a Teramo si morisse di
noia e che non esistessero divertimenti adeguati si
sono impegnati in molti nel corso degli anni, più o meno a
ragione, anche quando in città c’erano uno splendido Teatro
Comunale, dove si proiettavano anche dei film, affiancato da
altre quattro sale cinematografiche, pratiche sportive che
avevano anche realtà di spettacolo e altre forme di svago.
Figuriamoci oggi, che davvero non abbiamo quasi più nulla…
“Vogliamo far rivivere le belle feste di una volta…” si torna a
dire di tanto in tanto. Ma quale volta? Quando ci sono state
queste belle feste di cui si favoleggia? Perché vecchie signore
rimpiangono una giovinezza e una bellezza che non hanno mai
avuto? Perché i teramani continuano a rimpiangere divertimenti
di cui non hanno mai goduto? Perché continuano a menare vanti di
cui non si sono mai gonfiati il petto? Perché si gloriano di un
lignaggio che non gli è mai appartenuto? Sono sempre stati
neghittosi, indifferenti, apatici, pensosi solo di sé, delle
proprie cose e dei propri amici.
Eppure un senso c’è. Una
ragione per il ritorno delle lamentale esiste. A lamentarsi sono
sempre state le minoranze, attive, operose, desiderosi di far
cessare un sonno secolare con squilli di trombe che destassero i
tanti dormienti. Così quanto più sono state attive ed operose le
minoranze, tanto più sono state le lamentazioni e oggi i pochi
che si illudono di opporsi ai molti sono sempre pochi ma
agguerriti. C’è un elemento in più: davvero abbiamo toccato il
fondo e siamo andati anche oltre. Davvero il nulla a Teramo è
diventato così tanto nulla che di più non si può. Così “la
micrania” è diventata davvero regina e il Carnevale, sconfitto,
batte in ritirata, preparando la strada ad una lunga Quaresima,
che come si diceva già nel 1892: “curva sotto il peso del grosso
fardello che ci reca pieno di prediche, viaggia perso Teramo”.
In realtà sospetto che la Quaresima
abbia ormai messo piede a Teramo e vi sia rimasta da lungo tempo
in pianta stabile, insieme con un’altra megera di cui pure ci si
lamentava già nel 1892, “la musoneria”, accusata di bersagliare
con voluttà speciale l’unico ritrovo che avesse Teramo. Il
“Corriere Abruzzese” quell’anno scriveva: “Fu pietà verso una
sepolta viva, la vita teramana di Carnevale, quella che ci
vinse”. Oggi le gazzette scrivono cose analoghe. Ed è già tanto
che non abbiano dovuto titolare, come si fu costretti nel 1892,
“Un tragico Carnevale”.
|