Il corrosivo del 20 gennaio 2015

 

Mi correggo: dopo il tramonto, la notte

      

Confesso che a volte, molte volte, non sono molto attento alle ricorrenze, sia private che pubbliche. Perciò, se non ci fossero stati dei post di amici di Facebook – per la verità pochi e poco condivisi - mi sarebbe sfuggita la ricorrenza annuale dell’occupazione dell’ex Ovviesse. Avrei perso così la possibilità di fare alcune riflessioni su quello che l’evento rappresentò e sull’interpretazione che ne diedi, tra l’altro in un intervento che all’epoca fu magnificato più di quanto meritasse – era molto meno epocale di quanto lo si  giudicò e lo si è giudicato ancora in questi giorni da chi lo ha rievocato. La prima riflessione che ho fatto è che sembra che da quell’evento sia passato ben più di un anno, per le tante cose che nel frattempo sono successe: una campagna elettorale, una rielezione di Maurizio Brucchi a Sindaco, la nomina di ben nove assessori, una serie sciagurata di decisioni e un progressivo crescente degrado nella vita cittadina, non solo sul piano della cultura – dove era fin troppo facile prevederlo – ma anche su altri piani, quale quello della raccolta differenziata dei rifiuti e del fallimento della Team – che non era prevedibile, sia in relazione alle altissime tasse che paghiamo sia in relazione al gran numero di addetti, sia pure impegnati più negli uffici che nelle strade.

 

     E’ passato psicologicamente più di un anno, anche se i locali sono ancora inutilizzati e abbandonati a se stessi dopo lo sgombero. Temporalmente, tuttavia, è passato solo un anno e questa percezione conferma quanto il tempo sia davvero dilatazione dell’anima.
La seconda riflessione mi costringe a dover ammettere un errore di valutazione. Credetti all’epoca - e lo dissi in quell’intervento - di trovarmi al tempo stesso in presenza di un tramonto e di un’alba. Spiegai perché mi sembrava di vedere per Teramo un tramonto, e insieme, un’alba, il tramonto di chi e di che cosa, l’alba di chi e di che cosa. Mi sbagliavo, ora lo so. Ne chiedo ammenda a me stesso. Il tramonto c’era. Non mi sbagliavo in questo, ne vedevo i bagliori all’orizzonte e i segni inconfondibili dei raggi di un sole declinante. Dove mi sbagliavo era nel vedere un albeggiare che non c’era, e che infatti non venne e credo che sia ancora lontano.
     Dopo il tramonto venne la notte ed è ancora notte per Teramo, immersa in un buio che non è mai stato così profondo e impenetrabile. A volte si dice che non si può andare più sotto del fondo del barile, ma Teramo ha dimostrato di poterlo fare, il barile si è sfondato e la città sta sprofondando nel vuoto che ha scoperto che c’era sotto, nascosto appunto dal fondo del barile. E quel vuoto sembra essere senza fine, così come la notte di Teramo sembra destinata a non finire mai e a non poter mai vedere lo spuntare dell’alba.
    
Da quei giorni dell’occupazione dell’ex Ovviesse, la cui forza stava tutta nel simbolismo di cui era portatrice, si sono frantumati tutti i sogni e sono svanite tutte le speranze di un rinascimento teramano di cui non si vedono più gli indizi possibili. Anzi, siamo stati costretti ad assistere ad episodi e ad avvenimenti di tal fatta da dover pensare che si fosse all’inizio di un medioevo assai più fosco di quello che fu il periodo storico successivo alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
     Gli “atrii muscosi” e i “fori cadenti” si sono moltiplicati, le “arse fucine stridenti” sono scomparse quasi tutte con la crisi prima dell’artigianato e poi del commercio; i “solchi” non sono più bagnati nemmeno dal “servo sudor”; il “volgo” è veramente disperso, ma non se ne rende conto e perciò non solleva più la testa né tende più l’orecchio, sordo a qualsiasi altro rumore che non sia l’ormai celebre e celebrato “attacca Bastià”; i “guardi” non sono più nemmeno dubbiosi, perché anche il dubbio sarebbe una risorsa, nella quale ormai non si confida più.
      S
olo i volti continuano ad essere “pallidi”, come nell’immortale inno manzoniano; la “fiera virtù” dei padri non traluce “qual raggio di sole”, perché i “nuvoli folti” son troppi e troppo folti.
     Era un tramonto, un tramonto senza alba, ma sfociato in una notte, “buia e tempestosa”, come sono sempre e tutte le notti per Snoopy, il personaggio dei Peanuts disegnato magistralmente da Charles Schulz. I teramani non hanno più nemmeno una coperta, al contrario di Linus, alla quale chiedere protezione e sicurezza. Perfino la foglia di fico è diventata inutile, perché non basterebbe la più grande foglia del fico più grande per coprire la loro vergogna.
    
Quell’occupazione fu una illusione di primavera di coloro (tra i quali io) che non capirono che stava arrivando il pieno inverno, quello del nostro scontento, che non abbiamo più la forza di denunciare. Nel fronte che si compattò attorno all’idea di un’occupazione simbolica che sembrava essere portatrice di novità e cambiamento, si ebbero subito crepe profonde, come quelle che si producono sotto le scosse di un sisma di grande magnitudine.
    
Invidie, gelosie, incomprensioni, tradimenti, abbandoni, cambi di campo, resipiscenze hanno caratterizzato il tempo successivo a quell’avvenimento che solo pochi oggi continuano a ricordare con un sentimento tra il nostalgico e uno spirito da reduci.
     Non sappiamo quanto durerà la notte. Certamente non meno del sonno dei teramani.