Pensai che, data l’assenza di
pubblico, il
comizio sarebbe saltato. Ma chi accompagnava mi
invitò a salire sul palco, di mettermi davanti al
microfono, e di cominciare pure il mio comizio. Feci
presente che non c’era nessuno ad ascoltare. Con mia
grande sorpresa mi sentii dire: “Qui è sempre
così. In piazza non c’è mai nessuno. Ma stanno tutti
ad ascoltare dietro le finestre”. Rimasi
allibito, salii sul palco e parlai per quasi un’ora,
in un clima surreale, ad una piazza vuota.
Ho ripensato a questo antico episodio della mia vita in
queste ultime settimane, dopo una serie di
riflessioni svolte su questa rubrica riguardo alla
miserevole condizione politica, sociale, culturale
di Teramo e dei teramani, riflessioni non prive di
qualche provocazione, ma o finite contro un muro di
gomma o perse nel vuoto, senza suscitare alcuna
reazione pubblica o esplicita, né di sdegno né di
partecipazione.
Per strada,
però, circolando tra la gente, ho ascoltato diverse
dichiarazioni private, di persona, o di accordo e
sostegno o di partecipazione e solidarietà, che mi
hanno trasmesso la sensazione che le mie parole
fossero state lette stando “dietro le finestre”,
così come vennero ascoltate nel 1964 in quel paese
della Lucania le parole del mio comizio. Le cifre
incredibilmente grandi riferitemi dal gestore del
blog in relazione alle letture della mia rubrica
hanno rafforzato in me questa sensazione.
Mi sono chiesto come mai a Teramo tanti preferissero
non pronunciarsi e non esporsi, né per assentire né
per dissentire da quello che venivo scrivendo, ma
rimanere a leggere stando “dietro le finestre”. Poi
l’ultimo scritto, contenente la mia proposta di
formulare un manifesto degli intellettuali e degli
operatori culturali teramani, è stato salutato
dall’apertura di qualche finestra, ma solo dopo che
da una, un bel balcone fiorito, si era affacciata
Rossella Natali, desiderosa di far conoscere il suo
parere, non privo di qualche “distinguo”.
Le finestre che si sono aperte dopo questa prima
“affacciata” non
sono state molte, e più di una ad opera di qualcuno
che ha pensato bene di nascondersi però il volto,
per non farsi riconoscere, preferendo far conoscere
il suo pensiero nascosto dall’anonimato. Qualche
altra finestra è stata aperta in modo intelligente,
nel tentativo di proseguire il confronto o di dar
vita ad un dibattito sull’argomento in questione, il
rapporto tra Teramo e la cultura. Qualche altra però
è stata aperta, pur senza nascondere il volto, con
l’evidente intento di vuotare in strada il vaso da
notte, come si faceva durante il Medioevo, quando
nelle case non c’erano ancora i cessi.
Questo ha fatto sì che l’eventuale proficuo confronto
delle idee è stato sviato, trasportato su livelli
sui quali non mi è gradevole condurlo. Tanto è vero
che non intendo richiamare alcuna argomentazione né
abbozzare alcuna risposta. Preferisco solo
aggiungere alcune considerazioni, personali e mie, a
quelle già svolte nel mio intervento iniziale,
retrocedendo da un proposito che per qualche tempo
mi ha indotto a interrompere questa rubrica e a
rinunciare al mio tentativo di continuare a cercare
di “corrodere” per la totale mancanza di un residuo
metallo da corrodere (né oro, né argento, né rame,
né metalli meno nobili, quali ferro o stagno e per
la esclusiva presenza di materiali del tutto
inconsistenti).
Intellettuali o operatori culturali che siano,
i teramani, quelli che non sono proprio la massa
amorfa che non ha altra incombenza che passare il
tempo senza far nulla e senza alcuna aspirazione o
curiosità spirituale, ma con esigenze solo
materiali, si mostrano sempre solipsistici,
autoreferenziali, sempre pronti a far le pulci agli
altri e a coltivare l’orticello della propria
associazione, a riverire i potenti e ad elemosinare
contributi e attenzioni. Ognuno ritiene di essere
più titolato degli altri e di avere cose più
interessanti da dire. Ognuno ritiene che l’altro non
abbia titoli sufficienti per sedere alla sua stessa
tavola. Quando sotto i portici, davanti ad un
libreria che poi ha lasciato posto ad un caffé, non
letterario, sistemammo un tavolo, che chiamammo
“Tavolo della Sapienza”, con quattro sedie, mettemmo
un cartello: “Sii sempre pronto a cedere la sedia a
chi ritieni sia più sapiente di te”. A Teramo pochi
sono disposti a fare proprio questo motto.
Quasi tutti sono pronti a contare le volte
in cui ti “fai vedere” ad una mostra
(organizzata da loro), ad un concerto (organizzato
da loro), ad uno spettacolo teatrale (organizzato da
loro), in una libreria (dove, a volte, vanno loro),
alla presentazione di un libro (loro o di qualche
amico) o ad un evento culturale (organizzato però da
loro o dai loro amici). Pochi sono autentici in
questo amore per la cultura e per l’arte, nelle sue
varie forme e nei suoi vari generi. Pochi sono
disposti a provare vergogna, come l’ho provata io
l’altra sera, quando al Teatro Comunale ho ascoltato
un concerto, rattrappito sulla poltrona, mezzo
sfondata, a troppo stretto gomito dei miei vicini, e
senza poter ascoltare quello che dicevano la
presentatrice e il direttore d’orchestra per la
mancanza dell’impianto di amplificazione.
Poca gente vedo nelle librerie
dove io passo ore, anche per amicizia con i librai.
Nei locali cinematografici vado poco perché il
pubblico mi infastidisce con le sue chiacchiere e i
film non sono di prima visione. Ai concerti e a
teatro, quando vado, continuo a vedere un pubblico
meno interessato al palcoscenico che allo sfoggio
delle proprie eleganti toilettes. Alle presentazioni
di libri vedo sempre e solo gli amici degli amici (a
meno che la sala non sia stata riempita da un
richiamo di appartenenza ad una “comune
fratellanza”) o la presenza di agenti di polizia in
tenuta antisommossa perché ciò di cui si parla non è
gradito a qualcuno, che manifesta il proprio “anti”.
In biblioteca continuo a vedere una massa di
frequentatori composta sempre più da lettori di
quotidiani e da studenti con il libro davanti, ma
con in mano l’immancabile smartphone su cui
smanettare in continuazione. In alcune sale
espositive posso apprezzare solo opere scelte da chi
si è visto affidato il potere di gestirle e quindi
di decidere chi e quando deve esporre; in altre si
registra una riduzione di spazi, perché il sindaco
ha deciso di destinarne una parte ad altro uso, non
artistico o culturale; in altre ancora sento dire
che quella mostra non ci sta bene perché l’artista
non è all’altezza.
Intanto continuo a dover lamentare una
mancanza di un
dibattito autentico, di crescita collettiva della
cittadinanza, un disinteresse completo degli
amministratori e un interesse rivolto solo ad
iniziative di nessuna valenza culturale. Continua il
degrado, manca la partecipazione, progredisce la
desertificazione e arretra la cultura. I più non si
arrischiano ad esprimere il proprio pensiero e chi
lo fa si nasconde dietro l’anonimo. Tutti gli altri
se ne stanno in silenzio, nascosti “dietro le
finestre”. |