Il corrosivo del 21 novembre 2014

 

Avvelenati avvelenatori di pozzi

 

       Walter Nanni ha scritto una lettera, aperta, a Teramo e ai cittadini teramani. Una lettera d’amore, d’amore deluso. Una lettera bella, vera, disperata, ma inutile. Una lettera che non servirà a nulla. Perché indirizzata ad una città morta e a dei cittadini morti. Si sono suicidati quando hanno rivotato in maggioranza Brucchi. Quando votato chi aveva promesso di opporsi in caso di sconfitta e poi ha cominciato, da subito, a non opporsi. I teramani sono dei morti, che camminano, si spostano, passeggiano. Se hanno letto la lettera, non risponderanno, perché ormai la categoria mentale e spirituale dei teramani è l’indifferenza. A tutti, a tutto. L’anormalità è normale, l’ignoranza generalizzata, il menefreghismo totale. Teramo e i teramani sono come un corpo, un organismo, che non risponde più nemmeno ai medicinali. Nessuno si scandalizza, nessuno si indigna, nessuno si ribella. I teramani d’oggi puoi rimproverarli, ingiuriarli, coprirli di improperi o di sterco…. Non reagiscono. Non vedono e, se vedono, non parlano, se parlano, non dicono nulla, solo “signorsì” ai potenti e a coloro che ritengono siano i loro legittimi padroni.

 

     Maria Cristina Marroni ha scritto una nota nella quale ha applicato nella lettura di Teramo e dei suoi cittadini i criteri interpretativi applicati da Salvatore Settis nella lettura di Venezia e delle cose veneziane, per concludere che Venezia è morta o sta morendo. Una nota bella, angosciata, appassionata, disperata, ma inutile. Una nota che non servirà a nulla. Perché riguarda una città morta e dei cittadini morti. Si sono suicidati quando hanno rinunciato a qualsiasi prospettiva di cambiamento. 

   Maurizio Brucchi, che di Teramo e dei teramani è sindaco, rieletto, ha dichiarato che Teramo non è una città morta e ha negato che sia moribonda. La sua è stata una difesa per nulla convincente, “pro domo sua”, inutile. Perché anche con la sua difesa, o senza la sua difesa, la situazione non cambia e Teramo appare quella che è, spettrale e cimiteriale, stuprata, sventrata, oppressa, derelitta, trascurata, inerte, ignorante, domata, violata, distrutta, strappata, abbattuta, malgovernata, lacerata, squarciata, rotta, sradicata, divelta, estirpata, desolata, scoraggiata, depressa, indifferente, fredda, distaccata, insensibile, incurante, noncurante, apatica, non partecipe, disinteressata, incolta, incompetente, illetterata, arrogante, zotica, villana, incapace, demolita, diroccata, smantellata, spianata, uccisa, suicidata, ammazzata, macellata, avvilita, costernata, accasciata, sgomenta, afflitta, indebolita, spossata, esausta, esaurita, fiaccata, finita.

     Voci declamanti del deserto sono inascoltate e perfino le ingiurie e le offese senza reazione. Le provocazioni non sono più provocatorie, perché la teramanità è ormai massa indistinta, magma gelatinoso in cui ogni cosa affonda senza lasciare traccia visibile di sé. Nessuna trasgressione è nuova e trasgressiva, ogni appunto e ogni rilievo finisce contro un muro di gomma da cui non torna indietro nulla, nemmeno la più piccola eco. L’indifferentismo, di cui Kant diceva che è padre del caos e della notte, regna sovrano, insieme con un fastidio per ogni espressione di intelligenza e di cultura, per amore di tutto ciò che è invece oscuro, confuso e inservibile.

     Nessuna capacità di reazione punge Teramo e i teramani. Nessuno scatto di orgoglio. Tutti in livrea da servitori a lucidare gli ottoni e l’argenteria. Le saracinesche degli esercizi commerciali arrugginiscono per il troppo tempo passato dopo una chiusura senza possibilità di riapertura, ma arrugginiscono anche i cervelli per troppo tempo non utilizzati in un tentativo di maturare un pensiero valido, quale che fosse. Il ridicolo ricopre ciò che rimane dei miraggi di Teramo Cult e di Teramo 2020, mentre una sorta di onanismo della volontà si manifesta in chi si impegna in una disperata ricerca di novità e di cambiamento. Sono rimasti i singulti tra le vie, i vicoli, le piazze e gli slarghi di una città che non riesce più a capire chi è e che cosa è, a indovinare la propria identità, a salvarsi da un indistinta percezione delle proprie qualità, rimaste sempre meno evidenti. Il decoro urbano è anch’esso offeso senza rimedio, ogni struttura è screpolata nell’intimo, anche quelle morali, non ci sono più punti di riferimento, punti cardinali, bussole intellettuali e maestri di pensiero. Se ce ne fossero, sarebbero derisi e vilipesi. 

Rileggiamo le parole dello Zaratustra nietzschiano: “Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!”

     Teniamoci avvinti ad una speranza terrena, alla speranza che possa esserci ancora una speranza, anche se siamo disperati e disperiamo che ce ne sia ancora una. Ma, se c’è, facciamo i turni di guardia intorno ai pozzi di speranza, difendendoli da quelli che vogliono avvelenarceli e poi a goccia a goccia, senza sprecarne una, tiriamo su l’acqua con i verricelli e abbeveriamoci, senza ingordigia, con la prudente avvedutezza di chi cerca di placare la propria sete e non di procurarsi una fallace ebbrezza.