Maria Cristina Marroni
ha scritto una nota nella quale ha applicato nella
lettura di Teramo e dei suoi cittadini i criteri
interpretativi applicati da Salvatore Settis nella
lettura di Venezia e delle cose veneziane, per
concludere che Venezia è morta o sta morendo. Una
nota bella, angosciata, appassionata, disperata, ma
inutile. Una nota che non servirà a nulla. Perché
riguarda una città morta e dei cittadini morti. Si
sono suicidati quando hanno rinunciato a qualsiasi
prospettiva di cambiamento.
Maurizio Brucchi,
che di Teramo e
dei teramani è sindaco, rieletto, ha dichiarato che
Teramo non è una città morta e ha negato che sia
moribonda. La sua è stata una difesa per nulla
convincente, “pro domo sua”, inutile. Perché anche
con la sua difesa, o senza la sua difesa, la
situazione non cambia e Teramo appare quella che è,
spettrale e cimiteriale, stuprata, sventrata,
oppressa, derelitta, trascurata, inerte, ignorante,
domata, violata, distrutta, strappata, abbattuta,
malgovernata, lacerata, squarciata, rotta,
sradicata, divelta, estirpata, desolata,
scoraggiata, depressa, indifferente, fredda,
distaccata, insensibile, incurante, noncurante,
apatica, non partecipe, disinteressata, incolta,
incompetente, illetterata, arrogante, zotica,
villana, incapace, demolita, diroccata, smantellata,
spianata, uccisa, suicidata, ammazzata, macellata,
avvilita, costernata, accasciata, sgomenta,
afflitta, indebolita, spossata, esausta, esaurita,
fiaccata, finita.
Voci
declamanti del deserto
sono inascoltate e perfino le ingiurie e le offese
senza reazione. Le provocazioni non sono più
provocatorie, perché la teramanità è ormai massa
indistinta, magma gelatinoso in cui ogni cosa
affonda senza lasciare traccia visibile di sé.
Nessuna trasgressione è nuova e trasgressiva, ogni
appunto e ogni rilievo finisce contro un muro di
gomma da cui non torna indietro nulla, nemmeno la
più piccola eco. L’indifferentismo, di cui Kant
diceva che è padre del caos e della notte, regna
sovrano, insieme con un fastidio per ogni
espressione di intelligenza e di cultura, per amore
di tutto ciò che è invece oscuro, confuso e
inservibile.
Nessuna capacità
di reazione punge Teramo e i teramani. Nessuno
scatto di orgoglio. Tutti in livrea da servitori a
lucidare gli ottoni e l’argenteria. Le saracinesche
degli esercizi commerciali arrugginiscono per il
troppo tempo passato dopo una chiusura senza
possibilità di riapertura, ma arrugginiscono anche i
cervelli per troppo tempo non utilizzati in un
tentativo di maturare un pensiero valido, quale che
fosse. Il ridicolo ricopre ciò che rimane dei
miraggi di Teramo Cult e di Teramo 2020, mentre una
sorta di onanismo della volontà si manifesta in chi
si impegna in una disperata ricerca di novità e di
cambiamento. Sono rimasti i singulti tra le vie, i
vicoli, le piazze e gli slarghi di una città che non
riesce più a capire chi è e che cosa è, a indovinare
la propria identità, a salvarsi da un indistinta
percezione delle proprie qualità, rimaste sempre
meno evidenti. Il decoro urbano è anch’esso offeso
senza rimedio, ogni struttura è screpolata
nell’intimo, anche quelle morali, non ci sono più
punti di riferimento, punti cardinali, bussole
intellettuali e maestri di pensiero. Se ce ne
fossero, sarebbero derisi e vilipesi.
Rileggiamo le parole dello
Zaratustra nietzschiano:
“Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla
terra e non credete a quelli che vi parlano di
sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori,
che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita,
moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la
terra è stanca: se ne vadano pure!”.
Teniamoci avvinti
ad una speranza terrena, alla speranza che possa
esserci ancora una speranza, anche se siamo
disperati e disperiamo che ce ne sia ancora una. Ma,
se c’è, facciamo i turni di guardia intorno ai pozzi
di speranza, difendendoli da quelli che vogliono
avvelenarceli e poi a goccia a goccia, senza
sprecarne una, tiriamo su l’acqua con i verricelli e
abbeveriamoci, senza ingordigia, con la prudente
avvedutezza di chi cerca di placare la propria sete
e non di procurarsi una fallace ebbrezza. |