E’ così che si trova la conferma
che nella storia cittadina gli anni e spesso i
decenni sono come i giorni e che l’attualità è
radicata nel passato e spesso ad esso assai simile.
Contro la
costituzione del comitato,
prese una ferma posizione un
assessore, Nicola Marchegiani, il quale, in una
lettera pubblicata martedì 3 gennaio 1956 sulla
pagina teramana de “Il Tempo”, espresse la sua
meraviglia per l’iniziativa, giudicata del tutto
inopportuna. I cittadini, invece di costituire un
comitato, scriveva, avrebbero dovuto recarsi in
Comune e si sarebbero resi conto delle tante
difficoltà con le quali gli amministratori avevano a
che fare, con un bilancio tutt’altro che florido. Il
vero problema di Teramo, sosteneva l’assessore, era
quello di aumentare e incrementare il reddito pro
capite, di eliminare la disoccupazione e la
sottoccupazione, elevare il tenore di vita e
accorciare la lista dei poveri. Se non altro,
aggiungeva, l’amministrazione aveva il merito,
incontestabile, di “aver sfondato il muro delle
apatie, dei gretti conservatorismi, delle resistenze
degli scettici e dei malevoli, di aver saputo
convogliare a Teramo energie e possibilità sempre
respinte nel passato remoto e recente”.
Se i
teramani, concludeva l’assessore Marchegiani,
avessero avuto fiducia e fermezza, entro cinque anni
l’industrializzazione non sarebbe stata più solo una
semplice chimera, ma una realtà viva ed operante.
Sorprende ancora oggi il volo, quasi pindarico, con
il quale l’assessore passava dall’argomento della
“nettezza urbana” a quello dell’industrializzazione
come vocazione e aspirazione ritenute necessarie per
una città come Teramo. Il volo si spiega facilmente
considerando che all’epoca uno dei principali
capitoli di un dibattito assai diffuso era
costituito da un dilemma: “Per Teramo avvenire
turistico o avvenire industriale?”
“Il Messaggero” martedì 19
novembre 1957 dedicava proprio a questo argomento il
titolo di un articolo con il quale proseguiva una
specifica inchiesta, condotta tra teramani doc e
forestieri residenti da tempo in città. La città
guardava al futuro e poteva permettersi (o credeva
di poterlo fare), di operare una scelta, in base a
criteri di convenienza e di maggiore opportunità.
Qualcuno faceva presente che Teramo avrebbe dovuto
assumere un indirizzo agricolo-industriale: agricolo
perché era una città prevalentemente agricola,
industriale perché le autorità e gli enti
interessati stavano già cercando con tutti i mezzi
di renderla tale.
Sarebbe stato da stupidi rinunciare
ai benefici che la Cassa del Mezzogiorno concedeva
in questo settore. Un pensionato dichiarava che,
secondo lui, Teramo doveva puntare ad un avvenire
turistico. Aveva viaggiato per trentacinque anni in
tutta Italia e località turistiche di pari bellezza
ne aveva viste poche. Un insegnante era del parere
che si dovesse scegliere una via di mezzo tra
turismo e industria. La città offriva infinite
bellezze naturali, ma non disponeva delle
attrezzature turistiche necessarie e richieste.
Industrialmente, invece, era quasi agli inizi,
pertanto non si poteva puntare solo
sull’industrializzazione, da qui la necessità di una
via di mezzo.
Decisamente per un avvenire
turistico era un commerciante, il quale diceva che
Teramo era una città che avrebbe potuto diventare un
luogo di soggiorno estivo e di mezza stagione,
soprattutto per l’altitudine, che si prestava
moltissimo per le persone che non potevano soffrire
l’alta montagna. Le autorità avrebbero dovuto
puntare sullo sviluppo turistico. Ma un altro
insegnante faceva notare che Teramo turisticamente
non poteva ancora dire la sua, soprattutto perché
mancava una coscienza turistica e organizzativa. Le
manifestazioni che vi si svolgevano erano tutte
stagionali, occorreva ben altro per farsi notare nel
campo del turismo. La città avrebbe dovuto, perciò,
assumere un indirizzo prettamente industriale,
sfruttando la montagna e le sue innumerevoli
risorse, riprendendo e salvaguardando l’industria
laniera e valorizzando le risorse industriali già a
disposizione.
Bei tempi quelli nei quali i teramani si
chiedevano quale potesse e dovesse
essere l’avvenire della città! Già pensare di poter
scegliere dava quasi un senso di onnipotente
libertà, come quello che avverte un bambino quando
gli chiedono che cosa vuole fare da grande e
risponde la prima, magnifica cosa che gli viene in
mente. Poi Teramo grande lo è diventata e oggi
vediamo tutti che cosa è diventata. Ognuno di noi
può dare la propria risposta. Ma è certo che oggi
Teramo non è né una realtà turistica né una realtà
industriale.
Il sogno di poter scegliere il proprio
avvenire è finito.
Oggi il sogno è diventato un incubo e si è costretti
a chiedersi non quale possa essere l’avvenire di
Teramo, ma se Teramo abbia ancora un avvenire.
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