Il corrosivo del 28 ottobre 2014

 

Teramo: quale avvenire?

      

Voglio sfidare apertamente quanti mi accusano, a volte, di avere troppo o troppo costantemente, o in prevalenza, lo sguardo rivolto al passato, invece che al futuro, o tutt’al più, al presente, di questa città nella quale sono nato, che ovviamente amo e che, proprio perché l’amo, considero con spirito critico. Voglio ancora una volta leggere l’oggi alla luce di quello che è avvenuto ieri, perché è così che fa chi considera la realtà, anche quella sociale, economica e politica, come un flusso e quindi trova nell’oggi le tracce dello ieri e gli indizi del domani.

 

     E’ così che si trova la conferma che nella storia cittadina gli anni e spesso i decenni sono come i giorni e che l’attualità è radicata nel passato e spesso ad esso assai simile. Contro la costituzione del comitato, prese una ferma posizione un assessore, Nicola Marchegiani, il quale, in una lettera pubblicata martedì 3 gennaio 1956 sulla pagina teramana de “Il Tempo”, espresse la sua meraviglia per l’iniziativa, giudicata del tutto inopportuna. I cittadini, invece di costituire un comitato, scriveva, avrebbero dovuto recarsi in Comune e si sarebbero resi conto delle tante difficoltà con le quali gli amministratori avevano a che fare, con un bilancio tutt’altro che florido. Il vero problema di Teramo, sosteneva l’assessore,  era quello di aumentare e incrementare il reddito pro capite, di eliminare la disoccupazione e la sottoccupazione, elevare il tenore di vita e accorciare la lista dei poveri. Se non altro, aggiungeva, l’amministrazione aveva il merito, incontestabile, di “aver sfondato il muro delle apatie, dei gretti conservatorismi, delle resistenze degli scettici e dei malevoli, di aver saputo convogliare a Teramo energie e possibilità sempre respinte nel passato remoto e recente”.
    
Se i teramani, concludeva l’assessore Marchegiani, avessero avuto fiducia e fermezza, entro cinque anni l’industrializzazione non sarebbe stata più solo una semplice chimera, ma una realtà viva ed operante. Sorprende ancora oggi il volo, quasi pindarico, con il quale l’assessore passava dall’argomento della “nettezza urbana” a quello dell’industrializzazione come vocazione e aspirazione ritenute necessarie per una città come Teramo. Il volo si spiega facilmente considerando che all’epoca uno dei principali capitoli di un dibattito assai diffuso era costituito da un dilemma: “Per Teramo avvenire turistico o avvenire industriale?
    
“Il Messaggero” martedì 19 novembre 1957 dedicava proprio a questo argomento il titolo di un articolo con il quale proseguiva una specifica inchiesta, condotta tra teramani doc e forestieri residenti da tempo in città. La città guardava al futuro e poteva permettersi (o credeva di poterlo fare), di operare una scelta, in base a criteri di convenienza e di maggiore opportunità. Qualcuno faceva presente che Teramo avrebbe dovuto assumere un indirizzo agricolo-industriale: agricolo perché era una città prevalentemente agricola, industriale perché le autorità e gli enti interessati stavano già cercando con tutti i mezzi di renderla tale.
    
Sarebbe stato da stupidi rinunciare ai benefici che la Cassa del Mezzogiorno concedeva in questo settore. Un pensionato dichiarava che, secondo lui, Teramo doveva puntare ad un avvenire turistico. Aveva viaggiato per trentacinque anni in tutta Italia e località turistiche di pari bellezza ne aveva viste poche. Un insegnante era del parere che si dovesse scegliere una via di mezzo tra turismo e industria. La città offriva infinite bellezze naturali, ma non disponeva delle attrezzature turistiche necessarie e richieste. Industrialmente, invece, era quasi agli inizi, pertanto non si poteva puntare solo sull’industrializzazione, da qui la necessità di una via di mezzo.
    
Decisamente per un avvenire turistico era un commerciante, il quale diceva che Teramo era una città che avrebbe potuto diventare un luogo di soggiorno estivo e di mezza stagione, soprattutto per l’altitudine, che si prestava moltissimo per le persone che non potevano soffrire l’alta montagna. Le autorità avrebbero dovuto puntare sullo sviluppo turistico. Ma un altro insegnante faceva notare che Teramo turisticamente non poteva ancora dire la sua, soprattutto perché mancava una coscienza turistica e organizzativa. Le manifestazioni che vi si svolgevano erano tutte stagionali, occorreva ben altro per farsi notare nel campo del turismo. La città avrebbe dovuto, perciò, assumere un indirizzo prettamente industriale, sfruttando la montagna e le sue innumerevoli risorse, riprendendo e salvaguardando l’industria laniera e valorizzando le risorse industriali già a disposizione.
    
Bei tempi quelli nei quali i teramani si chiedevano quale potesse e dovesse essere l’avvenire della città! Già pensare di poter scegliere dava quasi un senso di onnipotente libertà, come quello che avverte un bambino quando gli chiedono che cosa vuole fare da grande e risponde la prima, magnifica cosa che gli viene in mente. Poi Teramo grande lo è diventata e oggi vediamo tutti che cosa è diventata. Ognuno di noi può dare la propria risposta. Ma è certo che oggi Teramo non è né una realtà turistica né una realtà industriale.
     I
l sogno di poter scegliere il proprio avvenire è finito
. Oggi il sogno è diventato un incubo e si è costretti a chiedersi non quale possa essere l’avvenire di Teramo, ma se Teramo abbia ancora un avvenire.