Che ad avere ragione fossero non
le maggioranze, che si sbagliavano, ma proprio le
minoranze, ci pensa poi la storia a dimostrarlo.A
differenza della cronaca, che scrive
nell’immediatezza dei fatti, essa giudica ad una
maggiore distanza temporale e in un più vasto quadro
d’insieme, nel quale si può chiaramente vedere quali
conseguenze abbiano avuto le scelte imposte dalle
maggioranze. Si
potrebbero portare,
proprio sul piano storico, molti esempi di questa
specie di “rivalsa” delle minoranze, alle quali,
purtroppo tardivamente, si deve riconoscere il
merito di avere a suo tempo ragione, ma non di
essersela vista riconoscere. A Teramo, per restare
minimalisti, abbiamo uno di questo esempi nella
vicenda dell’abbattimento del vecchio Teatro
Comunale, inaugurato nel 1868 e demolito nel 1959
per fare posto alla Standa e ad un Cinema Teatro che
proprio in questi giorni sta facendo parlare di sé
per la sua clamorosa inagibilità. All’epoca, negli
anni ’50, si arrivò all’abbattimento, voluto da una
stragrande maggioranza di cittadini teramani, con
pochissime voci di dissenso e le delibere furono
approvate in consiglio comunale con il voto
favorevole anche dei consiglieri di opposizione, che
avrebbero potuto e dovuto opporsi, ma non si
opposero. Tranne due, che votarono contro: i
consiglieri missini Martegiani e Lettieri. Una
sparuta minoranza vedeva giusto e una stragrande
maggioranza no.
Oggi sappiamo che la prima aveva ragione ed ebbe torto,
la seconda aveva torto ed ebbe ragione. Ma l’unica,
autentica voce di dissenso e contraria
all’abbattimento (a parte il caso del consigliere
Martegiani, ingegnere e competente) fu quella di un
personaggio che la Teramo di allora considerava
quasi come una “macchietta”, cioè assai poco,
stimava ancora meno e non poche volte ridicolizzava
per la sua passione politica di monarchico e di
fedele custode delle tradizioni di casa Savoia. Si
chiamava Tobia Mattucci: stempiato, grassoccio, naso
rubizzo, gote arrossate, sempre agitato e perfino
petulante nella sua “verve” polemica contro l’Italia
repubblicana.
Nella questione dell’abbattimento del Teatro Comunale
fu ancora più lungimirante del
consigliere Martegiani, che pure era un tecnico, e
spiegò ancora meglio perché il vecchio teatro
dell’Ottocento non andava abbattuto. Non essendo un
consigliere comunale (perché lo avevano votato
troppo pochi elettori per essere eletto), affidò le
sue ragioni di dissenso ai giornali e venerdì 2
ottobre 1959 Il Tempo pubblicava una sua lettera in
cui egli spiegava perché era contrario
all’abbattimento, ritenuto da lui inopportuno.
Aggiungeva che il suo parere era condiviso “da
larghi strati della popolazione del capoluogo e
della provincia” e in questo si sbagliava, perché a
condividerlo erano a Teramo in così pochi da poter
essere contati sulle dita di una mano.
Il parere del cav. Tobia Mattucci,
principale esponente del partito monarchico
teramano, era articolato su cinque punti, dei quali
è particolarmente interessante il quinto (i primi
quattro erano considerazioni tecniche e
procedurali). Il sindaco Carino Gambacorta, diceva
Mattucci, aveva dichiarato che l’abbattimento in sé
e per sé del vecchio teatro, un immobile cadente,
non poteva essere considerata “una diminuzione e
tanto meno una distruzione del patrimonio comunale”,
in quanto il fabbricato era non più idoneo all’uso
per il quale era destinato, “per le sue condizioni
statiche seriamente compromesse e per lo stato di
non riparabile rovina di tutte le strutture”.
A sostegno di questa sua convinzione, il
sindaco avrebbe dovuto disporre di una valutazione
tecnica dalla quale fosse risultato che il teatro
era un fabbricato cadente, che invece non c’era
stata. Ammesso che ci fosse stata, come mai il
sindaco, aveva commesso l’imprudenza di concedere
l’uso del teatro, ritenuto seriamente compromesso e
cadente, solo pochi giorni, per una conferenza
sindacale dei dipendenti da Enti locali?
“Non si è affatto convinti”
scriveva il cav. Mattucci “della rispondenza
delle convinzioni del sig. Sindaco, mentre si è
convinti che il teatro può e deve essere restaurato
internamente ed esternamente, provvedendo al
mantenimento del patrimonio comunale. Che lo ebbe
donato da ‘autentici cittadini teramani’, pensosi
della dignità e del prestigio della nostra città.
Tutti i teatri dei capoluoghi di provincia
d’Abruzzo, sono stati convenientemente restaurati, e
non solo quelli, ma anche quelli di Ascoli Piceno,
Fermo e Macerata. Si ridia quindi il Teatro a Teramo
dignitosamente restaurato per le rappresentazioni
liriche, prosa, concerti, conferenze, ‘senza uso di
cinema’. Il restauro del teatro potrebbe costituire
anche un giusto diritto dei cittadini e sono in
maggioranza che non se ne vogliono privare e né vale
la pretesa che dal 1936 il locale fu destinato a
spettacoli misti.”
Il cav. Mattucci
osservava, dimostrando anche in questo
la sua isolata lungimiranza, che, anche nel caso
deprecabile che si fosse voluto abbattere il vecchio
teatro ad ogni costo, si sarebbe dovuto bandire un
concorso per il miglior progetto della nuova
costruzione. Si sarebbe dovuto anche bandire un’asta
fra quelle imprese edili che, per capacità tecnica e
solidità finanziaria, avessero offerto le migliori
garanzie. Invece di affidarsi ad un privato per
l’anticipo della somma necessaria per la nuova
costruzione in cambio della gestione trentennale del
nuovo teatro, perché non ci si era rivolti ad un
istituto bancario per la concessione di un mutuo a
lunga scadenza: 20 o 30 anni? In questo modo “il
Comune avrebbe bene impiegato la somma spesa,
ricavandone direttamente gli utili dai fitti
derivanti dai magazzini affittati e dalla
concessione in gestione del cinema-teatro, che
sarebbero serviti ad estinguere il debito, e in
prosieguo, verrebbe a costituire una delle poche
attività del Comune”.
In una breve nota a commento, il giornale
scriveva che ospitare il parere del cav. Mattucci
non significava condividerlo, tanto più che non lo
si poteva non ritenere “intempestivo”. La pratica si
trovava già in una fase avanzata ed era troppo tardi
per “pretendere di rifare tutto da capo”. Non si
rifece tutto da capo e il teatro fu abbattuto, con
un primo colpo di piccone del sindaco Gambacorta e
poi con tutti gli altri. Mattucci che - oggi lo
sappiamo perfettamente - aveva ragione, ma ebbe
torto. Tutti gli altri avevano torto, ma ebbero
ragione. In democrazia sono i numeri a giudicare e
stabilire chi ha torto e chi ha ragione. Poi la
storia emette un secondo giudizio, d’appello e molto
spesso le sentenze vengono ribaltate.
|