Il corrosivo del 9 settembre 2014   

 

I tre che non rimpiango

      

Un amico di Facebook (sempre più di frequente è fonte di ispirazione anche per me e per questa rubrica) si sta onorevolmente e leoninamente battendo per la salvezza dell’Ospedale San Liberatore di Atri. Idealmente, poiché non posso farlo fisicamente, sono al suo fianco. Mi batto insieme con lui. Non potenziare l’ospedale atriano, anzi pensare di ucciderlo, è un crimine, per il quale invoco la maledizione divina sui responsabili. Ma l’amico, nel suo “furore erotico” (nel senso e nel significativo indicati da Giordano Bruno, ed erotico non sta se non per “passione”) si è lasciato andare ad una clamorosa (almeno per me) mossa: rimpiangere tre personalità politiche che, secondo lui, avrebbero invece sostenuto l’ospedale di Atri e determinato la sua fortuna, prima del decadimento attuale.

     Le tre personalità, di cui l’amico ha pubblicato una foto in cui sono ritratti tutti e tre insieme, sono Remo Gaspari, Emilio Mattucci e Rocco Salini. Ho sobbalzato sulla sedia quando ho visto la foto con annesso rimpianto e collegato rammarico di non averli più tra noi (due fisicamente e il terzo politicamente). “Mi sovvien” disse Alberto da Giussano. “Mi è sovvenuto” subito che contro quei tre giganti io ho combattuto da pigmeo della politica una vita intera, ne sono stato sempre sconfitto e non ho mai smesso un solo momento di giudicarli assai negativamente, tanto da attribuire a loro tutto il male possibile e addebitare a loro i guasti del presente. 

 

     Infatti, lungi dal determinare la fortuna e il benessere degli abruzzesi, essi ne hanno decretato la condanna negli anni successivi alla loro attività politica, dedicata sempre all’ottenimento del consenso personale, del conseguimento e della conservazione del potere con la dilapidazione delle risorse pubbliche usate con una scientifica pratica del clientelismo. Non si sono arricchiti con la politica, almeno non più di tanto. Ma non era questo il loro obiettivo, che invece era il potere. Tanto più dicevano di essere al servizio della gente, quanto più ponevano la gente al loro servizio. Volevano dare l’impressione di costruire la nostra regione e invece la stavano distruggendo, tanto che oggi viviamo tra le macerie che hanno lasciato. Dicevano di voler far diventare ricco l’Abruzzo e invece lo stavano impoverendo, tanto che oggi anche grazie a loro siamo con le pezze al culo. Si atteggiavano a nobili ed esperti maestri, ma gli allievi che ci hanno lasciato sanno a mala pena leggere e scrivere. Dedicherò a ciascuno di loro tre alcune riflessioni, che non potrebbero e non potranno essere esaustive. Il lettore le prenda come “schizzi a memoria”.

 

     Remo Gaspari. “Zio Remo” per tutto, anche se chi ne parlava in codice al telefono, per non far capire che parlava di lui, lo chiamava “Giorgio”. Era e si comportava come un gerarca al tempo del fascismo. Deputato, sottosegretario, ministro, non fu mai considerato sul piano nazionale una cima, un uomo di punta della DC. Fu, al contrario, sempre considerato una scartina, ma in Abruzzo contava, e come contava!… Alla ribalta nazionale ci arrivò come ministro della protezione civile quando fu subissato di critiche per la pessima gestione dell’emergenza dell'alluvione della Valtellina. Fu ministro di vari dicasteri, ma viene soprattutto ricordato come ministro delle poste per il gran numero di suoi raccomandati assunti alle poste, i famosi “postini di Gaspari”, che secondo alcuni ammonterebbero complessivamente a più di trentamila. La sua rivalità con Lorenzo Natali conobbe momenti folcloristici: i due arrivarono addirittura a pensare di costruire due autostrade: la Roma-L'Aquila (per collegare la Capitale con il collegio di Natali) e la Roma-Pescara (per favorire la zona di influenza di Gaspari), Ma poi Gaspari si liberò del suo rivale Natali riuscendolo a farlo confinare il Europa e rimase solo a dettare legge e a detenere un potere immenso e indiscusso. La stessa Wikipedia annota: “Sono passate alla storia le sue "udienze", incontri con gli elettori abruzzesi nei quali questi chiedevano favori e raccomandazioni, addirittura leggendarie sono le udienze estive tenute in spiaggia mentre era in vacanza con i suoi familiari.” Rappresenta l’esatto contrario di ciò che io ritengo debba essere un buon politico, cioè attento a conseguire il bene pubblico e il pubblico interesse e a garantire il soddisfacimento dei bisogni collettivi invece di quelli singoli e privati. Per lui, come per molti altri della sua epoca (quando le vacche erano grasse e si potevano mungere apparentemente all’infinito), il benessere collettivo era la somma aritmetica del benessere dei singoli individui, tutti certosinamente elencati in migliaia e migliaia di faldoni, di cartelle e di schede d’archivio, per potere avere sempre tra le mani, ricordando un piacere fatto o che si prometteva di fare, un forte argomento di persuasione elettorale.

 

     Emilio Mattucci. Degno seguace ed erede di Gaspari, in sedicesimo, il suo potere fu immenso nella sua città. Ma ogni volta che tentò di salire di livello fu respinto e rimase tutto sommato un piccolo “ras” di paese. Al contrario di Gaspari, di cui era un anno più giovane, si era occupato di politica anche prima della caduta del fascismo, di cui aveva seguito le sorti anche nella Repubblica Sociale, finendo incarcerato dai “liberatori”. Entrato nella DC a fascismo ormai completamente scomparso, spadroneggiò su tutti, incurante del suo passato politico e delle sue vicende personali, che lo videro collegato in qualche modo con la sorte di un prigioniero inglese. Mi sono ispirato ai suoi tratti, alla sua arroganza e alla sua supponenza nel delineare uno dei personaggi dei miei libri su Atri, Concezio Ferzetti, perché mi era stato detto che erano davvero somiglianti anche per alcuni collegamenti non meglio precisati. Come Gaspari, era ed è ancora osannato come “padre della patria”, ma praticò il clientelismo ai diversi livelli del suo impegno politico e del suo “cursus honorum”, che lo vide anche presidente della Regione Abruzzo. Il fatto che il neo presidente della Regione Luciano D’Alfonso abbia voluto rendere omaggio alla sua tomba qualche giorno dopo l’elezione ritengo sia stato un “segnale” per alcuni versi inquietante, perché la scelta non è stata motivata in maniera convincente. Dire che Mattucci, che fu Prefetto Commissario dell’Ospedale S. Liberatore di Atri, ne abbia determinato la fortuna, credo che non significhi dire il vero, perché i veri fortunati furono quanti nella struttura ospedaliera furono assunti e impiegati, nelle diverse mansioni, al di là dei veri bisogni e delle vere necessità della struttura.

 

     Rocco Salini. Dei tre è l’unico fisicamente ancora in vita, anche se qualcuno dice che sia politicamente morto. Non tutti però ci credono, perché don Rocco troppe volte dato per morto politicamente è resuscitato, cambiando schieramento, corrente e partito. Quando la DC gli preferì Sorgentone (poi passato al PSI) nel suo naturale collegio provinciale, si fece dissidente e formò una sua lista. Eletto, divenne determinante. La sua carriera politica proseguì lungo un percorso ondeggiante che lo vide all’apice del successo Presidente della Regione Abruzzo, fino alla traumatica notte dell’arresto suo e di buona parte della sua giunta. Anche lui ha cercato e gestito il potere con autorità, più che con autorevolezza, ha fatto e disfatto primari, reparti ospedalieri e direttori generali, ha gestito la sanità con pugno di ferro, o direttamente o tramite uomini suoi, dei quali ancora molti sono in circolazione. Riuscì a diventare Senatore e Sottosegretario alla sanità (sia pure per pochissimi giorni) proprio quando ormai sembrava finito, e per dimostrare di non essere finito passò dalla destra alla sinistra e viceversa con aerea noncuranza. In una sua celebre intervista, Antonio Di Pietro ne fece una descrizione “terrificante”, in cui spiegava come mai Salini riuscisse a fare politica e a farsi eleggere nonostante il suo “status” di interdetto e decaduto. Ma Don Rocco, lavoratore instancabile, continuava a ricevere nel suo studio di medico di paese non tanto i pazienti, quanto gli elettori e i beneficiandi, a cominciare dalle prime luci dell’alba.

 

     Tre uomini, tre personalità, tre politici che, al di là delle differenze specifiche, hanno avuto in comune l’atteggiamento nei confronti della gente, considerata quale massa di elettori da accontentare individualmente, elettori disposti a dare il proprio voto in cambio di un “piacere”, di “un pustarille”, di una raccomandazione. Io sono tra coloro che non li rimpiangono, e non mi consola il pensare che quelli che sono venuti dopo di loro sono anche peggio (d’altro canto ne parlava male lo stesso Gaspari, come si vide in una significativa sequenza del bellissimo docufilm “Colpa Nostra” di Walter Nanni).