Infatti,
lungi dal determinare la fortuna e il benessere
degli abruzzesi, essi ne hanno decretato la condanna
negli anni successivi alla loro attività politica,
dedicata sempre all’ottenimento del consenso
personale, del conseguimento e della conservazione
del potere con la dilapidazione delle risorse
pubbliche usate con una scientifica pratica del
clientelismo.
Non si sono arricchiti con la
politica, almeno non più di tanto. Ma non era questo
il loro obiettivo, che invece era il potere. Tanto
più dicevano di essere al servizio della gente,
quanto più ponevano la gente al loro servizio.
Volevano dare l’impressione di costruire la nostra
regione e invece la stavano distruggendo, tanto che
oggi viviamo tra le macerie che hanno lasciato.
Dicevano di voler far diventare ricco l’Abruzzo e
invece lo stavano impoverendo, tanto che oggi anche
grazie a loro siamo con le pezze al culo. Si
atteggiavano a nobili ed esperti maestri, ma gli
allievi che ci hanno lasciato sanno a mala pena
leggere e scrivere. Dedicherò a ciascuno di loro tre
alcune riflessioni, che non potrebbero e non
potranno essere esaustive. Il lettore le prenda come
“schizzi a memoria”.
Remo
Gaspari. “Zio Remo” per tutto, anche se chi ne
parlava in codice al telefono, per non far capire
che parlava di lui, lo chiamava “Giorgio”. Era e si
comportava come un gerarca al tempo del fascismo.
Deputato, sottosegretario, ministro, non fu mai
considerato sul piano nazionale una cima, un uomo di
punta della DC. Fu, al contrario, sempre considerato
una scartina, ma in Abruzzo contava, e come
contava!… Alla ribalta nazionale ci arrivò come
ministro della protezione civile quando fu subissato
di critiche per la pessima gestione dell’emergenza
dell'alluvione della Valtellina. Fu ministro di vari
dicasteri, ma viene soprattutto ricordato come
ministro delle poste per il gran numero di suoi
raccomandati assunti alle poste, i famosi “postini
di Gaspari”, che secondo alcuni ammonterebbero
complessivamente a più di trentamila. La sua
rivalità con Lorenzo Natali conobbe momenti
folcloristici: i due arrivarono addirittura a
pensare di costruire due autostrade: la Roma-L'Aquila
(per collegare la Capitale con il collegio di
Natali) e la Roma-Pescara (per favorire la zona di
influenza di Gaspari), Ma poi Gaspari si liberò del
suo rivale Natali riuscendolo a farlo confinare il
Europa e rimase solo a dettare legge e a detenere un
potere immenso e indiscusso. La stessa Wikipedia
annota: “Sono passate alla storia le sue
"udienze", incontri con gli elettori abruzzesi nei
quali questi chiedevano favori e raccomandazioni,
addirittura leggendarie sono le udienze estive
tenute in spiaggia mentre era in vacanza con i suoi
familiari.” Rappresenta l’esatto contrario di
ciò che io ritengo debba essere un buon politico,
cioè attento a conseguire il bene pubblico e il
pubblico interesse e a garantire il soddisfacimento
dei bisogni collettivi invece di quelli singoli e
privati. Per lui, come per molti altri della sua
epoca (quando le vacche erano grasse e si potevano
mungere apparentemente all’infinito), il benessere
collettivo era la somma aritmetica del benessere dei
singoli individui, tutti certosinamente elencati in
migliaia e migliaia di faldoni, di cartelle e di
schede d’archivio, per potere avere sempre tra le
mani, ricordando un piacere fatto o che si
prometteva di fare, un forte argomento di
persuasione elettorale.
Emilio
Mattucci. Degno seguace ed erede di Gaspari, in
sedicesimo, il suo potere fu immenso nella sua
città. Ma ogni volta che tentò di salire di livello
fu respinto e rimase tutto sommato un piccolo “ras”
di paese. Al contrario di Gaspari, di cui era un
anno più giovane, si era occupato di politica anche
prima della caduta del fascismo, di cui aveva
seguito le sorti anche nella Repubblica Sociale,
finendo incarcerato dai “liberatori”. Entrato nella
DC a fascismo ormai completamente scomparso,
spadroneggiò su tutti, incurante del suo passato
politico e delle sue vicende personali, che lo
videro collegato in qualche modo con la sorte di un
prigioniero inglese. Mi sono ispirato ai suoi
tratti, alla sua arroganza e alla sua supponenza nel
delineare uno dei personaggi dei miei libri su Atri,
Concezio Ferzetti, perché mi era stato detto che
erano davvero somiglianti anche per alcuni
collegamenti non meglio precisati. Come Gaspari, era
ed è ancora osannato come “padre della patria”, ma
praticò il clientelismo ai diversi livelli del suo
impegno politico e del suo “cursus honorum”, che lo
vide anche presidente della Regione Abruzzo. Il
fatto che il neo presidente della Regione Luciano
D’Alfonso abbia voluto rendere omaggio alla sua
tomba qualche giorno dopo l’elezione ritengo sia
stato un “segnale” per alcuni versi inquietante,
perché la scelta non è stata motivata in maniera
convincente. Dire che Mattucci, che fu Prefetto
Commissario dell’Ospedale S. Liberatore di Atri, ne
abbia determinato la fortuna, credo che non
significhi dire il vero, perché i veri fortunati
furono quanti nella struttura ospedaliera furono
assunti e impiegati, nelle diverse mansioni, al di
là dei veri bisogni e delle vere necessità della
struttura.
Rocco
Salini. Dei tre è l’unico fisicamente ancora in
vita, anche se qualcuno dice che sia politicamente
morto. Non tutti però ci credono, perché don Rocco
troppe volte dato per morto politicamente è
resuscitato, cambiando schieramento, corrente e
partito. Quando la DC gli preferì Sorgentone (poi
passato al PSI) nel suo naturale collegio
provinciale, si fece dissidente e formò una sua
lista. Eletto, divenne determinante. La sua carriera
politica proseguì lungo un percorso ondeggiante che
lo vide all’apice del successo Presidente della
Regione Abruzzo, fino alla traumatica notte
dell’arresto suo e di buona parte della sua giunta.
Anche lui ha cercato e gestito il potere con
autorità, più che con autorevolezza, ha fatto e
disfatto primari, reparti ospedalieri e direttori
generali, ha gestito la sanità con pugno di ferro, o
direttamente o tramite uomini suoi, dei quali ancora
molti sono in circolazione. Riuscì a diventare
Senatore e Sottosegretario alla sanità (sia pure per
pochissimi giorni) proprio quando ormai sembrava
finito, e per dimostrare di non essere finito passò
dalla destra alla sinistra e viceversa con aerea
noncuranza. In una sua celebre intervista, Antonio
Di Pietro ne fece una descrizione “terrificante”, in
cui spiegava come mai Salini riuscisse a fare
politica e a farsi eleggere nonostante il suo
“status” di interdetto e decaduto. Ma Don Rocco,
lavoratore instancabile, continuava a ricevere nel
suo studio di medico di paese non tanto i pazienti,
quanto gli elettori e i beneficiandi, a cominciare
dalle prime luci dell’alba.
Tre
uomini, tre personalità, tre politici che, al di là
delle differenze specifiche, hanno avuto in comune
l’atteggiamento nei confronti della gente,
considerata quale massa di elettori da accontentare
individualmente, elettori disposti a dare il proprio
voto in cambio di un “piacere”, di “un pustarille”,
di una raccomandazione. Io sono tra coloro che non
li rimpiangono, e non mi consola il pensare che
quelli che sono venuti dopo di loro sono anche
peggio (d’altro canto ne parlava male lo stesso
Gaspari, come si vide in una significativa sequenza
del bellissimo docufilm “Colpa Nostra” di Walter
Nanni). |