Le proposte politiche si affastellano in un
marasma in cui la confusione e la contraddizione
sono regine incontrastate e si susseguono, si
alternano, avanzano e retrocedono senza logiche
razionali o semplicemente ricostruibili sul filo di
un appena accennato principio di individuazione.
Soggetti politicamente improponibili non si rendono
conto della loro improponibilità, personaggi in
cerca di identità recitano parti improvvisate senza
che abbiano avuto un autore che gliele abbia scritte
e sentendosi essi stessi autori, non sapendo ancora
bene se siano interpreti di commedie, di tragedie o
di farse.
Liste su liste si propongono
per le sottoscrizioni, nomi su nomi si propongono
per le candidature, aborti di idee credono di essere
vitali e vivificanti, mozziconi di pensiero credono
di essere sigarette intere o integri prestigiosi
sigari cubani. Tutto ciò che nel passato abbiamo
considerato già tramontato si ripropone per nuove
avventurose albe e speranzose aurore.
La politica di questi tempi è
davvero una successione di fuochi di artificio, in
una competizione in cui ognuno cerca di spararle più
grosse e più rumorose degli altri, per fare
impressione, per accattare voti e suffragi, senza
però avere un fine preciso e soprattutto diverso da
quello dell’affermazione di sé e della propria
parte.
Il cielo è buio, metafora di
una situazione politica ed economica in cui si è
fatta subito sera, anzi notte fonda, e basta poco
per rendere visibile anche la più piccola fiammella;
il silenzio è così profondo che basta poco per
rendere udibile il più piccolo rumore.
Così, nel dar fuoco alle
polveri, si ottiene un facile effetto, ma la
fantasmagorica e pirotecnica presentazione dura
pochissimo, qualche secondo, e le luci che vengono
proiettate verso l’alto presto si spengono e
ripiombano fatalmente verso il basso dopo essersi
spente. E torna il buio, prima di una nuova
esplosione di colori e di suoni destinata anch’essa
a veder tramontata in pochi secondi la propria
parabola di vita, effimera e senza conseguenze.
Nulla di solido rimane, di
tanto rumore si spegne perfino l’eco e dopo poco se
ne perde anche la memoria, quando il fenomeno della
persistenza dell’immagine sulla retina ha finito di
manifestarsi.
I fuochisti teramani sono
molteplici e variopinti in questi giorni, hanno
indossato i migliori abiti a festa, hanno indorato
le proprie posate e infiocchettato i loro pacchi,
destinati ad elettori che considerano ignari perché
tali si sono essi rivelati nel passato, remoto e
recente, e sperano di poterli abbindolare anche loro
con i loro specchietti, come facevano con gli
indiani d’America i primi spagnoli che sbarcarono
nel nuovo continente. Non sospettano che chi è stato
ignaro finora possa non esserlo più, non pensano che
chi finora ha votato turandosi il naso abbia deciso
di non farlo più e di non voler più accettare anche
le cose più turpi per non far vincere "gli altri".
C’è sempre un altro nella
vita, c’è sempre un fronteggiarsi di un "noi" e
degli "altri", senza la considerazione che noi per
gli altri non siano dei "noi", ma appunto "degli
altri", e soprattutto senza la consapevolezza di una
comunanza di interessi, che sarebbe facile da
individuare se l’interesse pubblico non fosse
subordinato a quello privato.
Così continuino a sparare al
cielo i loro mortaretti coloro ai quali piace far
rumore senza concludere nulla. Innalzino in alto i
loro vessilli colorati quanti credono di non aver
altro mezzo per affermare la loro personalità,
intonino i loro canti quanti pensano che sia da
preferire il canto all’esposizione di proposte
concrete. Rivestano di abiti colorati i loro totem
quanti pretendono che la politica sia fatta di
parole indifferenti e inconseguenti.
Ma non vengano a dirci che in
politica "si scende" perché si è avvertita nel
proprio animo una vocazione al bene comune, perché è
ancora troppo fresca la memoria che abbiamo dei
tanti che in politica hanno pensato solo al bene
proprio.
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