Il corrosivo del 27 novembre 2012  

 

Lo stagno dei vizi

 

       Scrive il divino, ma anche troppo umano, Baltasar Gracian che il ventre ha reso apostati i saggi e che molti di loro non esiste altro Dio. Se diamo al termine "ventre" un significato estensivo e intendiamo con esso tutto ciò che è appetito poco nobile, cioè non collegato con la pura aspirazione al meglio e con una giustificata e moderata ambizione, non ci è difficile riconoscere che il ventre rende apostati non solo i saggi ma si è impadronito via via di un gran numero di persone, quasi di tutti, tanto che pochi possono dirsi immuni dal suo contagio. Quando il ventre estende il suo dominio sulla terra e nella società degli uomini dà un appetito insaziabile, che non riesce mai a placarsi, caratteriz-zandosi nelle varie età della vita dell’uomo, come dice Gracian, in modi diversi: nella fanciullezza come golosità, nella giovinezza come lascivia, nella maturità come voracità e nella vecchiaia come violenza. Ma si manifesta in modo diverso anche nelle diverse condizioni sociali.

 

    Quando affiora in politica, e lo fa sempre più spesso, il ventre si impone come sete illimitata di denaro e di ricchezza e come fame insaziabile di potere. Il potere diventa strumento per conseguire la ricchezza e la ricchezza strumento per conseguire il potere. Il ventre dei saggi in questo caso non ha nulla di diverso da quello di tutti quanti gli altri, perché in politica anche i saggi cessano di essere tali se si lasciano guidare e dominare dal ventre. Ogni altra facoltà viene soggiogata, anche la ragione, così come la volontà, e cessa ogni moderazione.

    E’ popolata di saggi e non saggi, ma tutti con il ventre affamato e insaziabile, la politica che non riesce ad affrancarsi dalla deformazione di ogni principio di moderazione e si fa ricetto di ogni smoderatezza. Questa politica diventa in breve tempo, ed è da molto che in Italia è diventata tale, lo "stagno dei vizi", per usare un’altra espressione di Gracian, di tutti i vizi, anche i più esecrabili.

    Questa riflessione mi veniva suggerita in questi ultimi giorni dai capitoli di quel libro che veniamo sfogliando illudendoci che da riti spacciati per nuovi (vedi le primarie) possano derivarci delle positive novità.

    Non mi riferisco tanto ai protagonisti, che, proponendosi ai possibili elettori del proprio schieramento in reciproca competizione, tentano tra l’altro, oltre che fare proposte, di ricostituire un dialogo con la base da tempo interrotto, quanto a coloro che si affollano ad ascoltarli, indifferentemente, non sempre per ascoltare ma assai spesso per vedere e soprattutto per farsi vedere. Se uno volge lo sguardo non al palco dove l’oratore snocciola elenchi di problemi e infila qualche ardita soluzione, ma alla platea, dove volti apparentemente assorti sono fissi e concentrati volendo esprimere attenzione e intelligenza, si accorge che quella folla accorsa più o meno numerosa è in cerca di risposte ad una sola domanda: chi vincerà? Perché è importante stare da subito dalla parte di chi vincerà e guai a farsi sorprendere dal destino negli accampamenti di chi perderà. Lo stagno dei vizi è pletorico e i viziosi sono in ansia.

    Molti sono arrivati come attratti dal suono di una trombetta di banda di paese, che suona senza ritmo e senza giudizio. Molti altri sono ancora affannati a discernere tra le dicerie e le verità, le falsità e le menzogne, desiderosi di capire anzitempo chi comanderà a palazzo, perché anelano a farsene servi non sempre fedeli e imprecisi esecutori di ordini. Chi si lascia sorprendere dal cadere della notte, specie se piovosa, fuori dei rifugi dorati faticherà a sopravvivere e sperimenterà che cosa vuol dire la fame insaziata e insaziabile quando non c’è che il nulla o il poco a portata di mano.

    Quel che dicono è schiumoso, perché è prodotto dalla bava delle loro fameliche ganasse, quel che odono è ciò che desiderano ascoltare, quel che desiderano è più che noto da gran tempo, perché è quello che hanno sempre desiderato ottenere, sia che fosse difficile averlo sia che fosse facile.

Ultimamente, il fallimento della politica ha prodotto grandi disillusioni e i cittadini incolleriti hanno dato l’impressione di volersi ribellare, ma sono pronti a lasciarsi nuovamente irretire e trascinare in una nuova deriva, perché nello stagno della politica i vizi sono sempre quelli, anche quando paiono nuovi e diversi e assumono suoni e nomi inauditi.

    In queste platee dei vecchi partiti e dei vecchi schieramenti che si stanno ristrutturando con il taumaturgico rito delle primarie, praticate o solo tentate, si affollano gli inveterati marpioni di ogni tempo e di ogni stagione, che hanno già cambiato millanta volte pensieri e ideologie, che hanno formato mille e più liste e votato e rivotato mille cose in contrasto fra loro, passando ogni volta all’incasso, nella speranza di avere di più di quello che avevano avuto in precedenza.

    Si sono riciclati più volte e ogni volta si sono rivelati più inclini al vizio antico e hanno sentito il proprio ventre bisognoso di riempirsi più di prima. Hanno l’apparenza da uomini e la realtà di bestie.

    Hanno molte cose in comune, si credono padroni e sono servitori indolenti, voltano le spalle al sole che tramonta e rivolgono la faccia verso quello che sorge, trascinano camminando i loro piedi, con in mano il bastone, come gente che vuole solo far rumore nel mondo.