Quando affiora
in politica, e lo fa sempre più spesso, il ventre si
impone come sete illimitata di denaro e di ricchezza
e come fame insaziabile di potere. Il potere diventa
strumento per conseguire la ricchezza e la ricchezza
strumento per conseguire il potere. Il ventre dei
saggi in questo caso non ha nulla di diverso da
quello di tutti quanti gli altri, perché in politica
anche i saggi cessano di essere tali se si lasciano
guidare e dominare dal ventre. Ogni altra facoltà
viene soggiogata, anche la ragione, così come la
volontà, e cessa ogni moderazione.
E’ popolata di
saggi e non saggi, ma tutti con il ventre affamato e
insaziabile, la politica che non riesce ad
affrancarsi dalla deformazione di ogni principio di
moderazione e si fa ricetto di ogni smoderatezza.
Questa politica diventa in breve tempo, ed è da
molto che in Italia è diventata tale, lo "stagno dei
vizi", per usare un’altra espressione di Gracian, di
tutti i vizi, anche i più esecrabili.
Questa
riflessione mi veniva suggerita in questi ultimi
giorni dai capitoli di quel libro che veniamo
sfogliando illudendoci che da riti spacciati per
nuovi (vedi le primarie) possano derivarci delle
positive novità.
Non mi
riferisco tanto ai protagonisti, che, proponendosi
ai possibili elettori del proprio schieramento in
reciproca competizione, tentano tra l’altro, oltre
che fare proposte, di ricostituire un dialogo con la
base da tempo interrotto, quanto a coloro che si
affollano ad ascoltarli, indifferentemente, non
sempre per ascoltare ma assai spesso per vedere e
soprattutto per farsi vedere. Se uno volge lo
sguardo non al palco dove l’oratore snocciola
elenchi di problemi e infila qualche ardita
soluzione, ma alla platea, dove volti apparentemente
assorti sono fissi e concentrati volendo esprimere
attenzione e intelligenza, si accorge che quella
folla accorsa più o meno numerosa è in cerca di
risposte ad una sola domanda: chi vincerà? Perché è
importante stare da subito dalla parte di chi
vincerà e guai a farsi sorprendere dal destino negli
accampamenti di chi perderà. Lo stagno dei vizi è
pletorico e i viziosi sono in ansia.
Molti sono
arrivati come attratti dal suono di una trombetta di
banda di paese, che suona senza ritmo e senza
giudizio. Molti altri sono ancora affannati a
discernere tra le dicerie e le verità, le falsità e
le menzogne, desiderosi di capire anzitempo chi
comanderà a palazzo, perché anelano a farsene servi
non sempre fedeli e imprecisi esecutori di ordini.
Chi si lascia sorprendere dal cadere della notte,
specie se piovosa, fuori dei rifugi dorati faticherà
a sopravvivere e sperimenterà che cosa vuol dire la
fame insaziata e insaziabile quando non c’è che il
nulla o il poco a portata di mano.
Quel che dicono
è schiumoso, perché è prodotto dalla bava delle loro
fameliche ganasse, quel che odono è ciò che
desiderano ascoltare, quel che desiderano è più che
noto da gran tempo, perché è quello che hanno sempre
desiderato ottenere, sia che fosse difficile averlo
sia che fosse facile.
Ultimamente, il fallimento della
politica ha prodotto grandi disillusioni e i
cittadini incolleriti hanno dato l’impressione di
volersi ribellare, ma sono pronti a lasciarsi
nuovamente irretire e trascinare in una nuova
deriva, perché nello stagno della politica i vizi
sono sempre quelli, anche quando paiono nuovi e
diversi e assumono suoni e nomi inauditi.
In queste
platee dei vecchi partiti e dei vecchi schieramenti
che si stanno ristrutturando con il taumaturgico
rito delle primarie, praticate o solo tentate, si
affollano gli inveterati marpioni di ogni tempo e di
ogni stagione, che hanno già cambiato millanta volte
pensieri e ideologie, che hanno formato mille e più
liste e votato e rivotato mille cose in contrasto
fra loro, passando ogni volta all’incasso, nella
speranza di avere di più di quello che avevano avuto
in precedenza.
Si
sono riciclati più volte e ogni volta si sono
rivelati più inclini al vizio antico e hanno sentito
il proprio ventre bisognoso di riempirsi più di
prima. Hanno l’apparenza da uomini e la realtà di
bestie.
Hanno molte
cose in comune, si credono padroni e sono servitori
indolenti, voltano le spalle al sole che tramonta e
rivolgono la faccia verso quello che sorge,
trascinano camminando i loro piedi, con in mano il
bastone, come gente che vuole solo far rumore nel
mondo.
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