Il corrosivo del 30 ottobre 2012  

 

Divieto di dissenso

 

      

Ricordo che tantissimi anni fa, anzi, decenni fa, esisteva una pubblicazione dei giovani del M.S.I. che si chiamava “Dissenso”. Perfino nel partito di estrema destra ci si richiamava al diritto ad avere opinioni politiche diverse da quelle del gruppo di potere che gestiva le scelte e gli orientamenti. Nei regimi totalitari il dissenso non è garantito e a chi dissente viene riservato un trattamento di isolamento che può andare dal confino, fisico geografico o culturale e morale, all’isolamento in Siberia o alla eliminazione fisica, a seconda delle tradizioni e delle usanze. Il dissenso, al contrario dell’assenso che è il suo contrario, garantisce a qualsiasi sistema di essere binario, per dirla alla Marcuse di essere a due dimensioni anziché ad una sola dimensione. Ma, nonostante ogni considerazione, il diritto al dissenso è ancora difficile da rivendicare e chi lo fa deve accettare la possibilità di essere sottoposto all’ostracismo. Lo sanno bene, e lo stanno apprendendo a loro spese, quanti nel PD teramano hanno provato ad esprimere un parere diverso rispetto a quello assunto dagli organi ufficiali di partito rispetto all’accorpamento delle province e hanno emesso un documento che, contestato fortemente dagli organi statutari, è diventato l’elemento principe di un capo di accusa ben preciso, che porterà forse ad una esplicita condanna.

 

    L’accusa è sempre quella: chi spacca il partito ha torto, perché l’unità del partito è la cosa che conta più di tutto. Anche quando il partito sbaglia, non si può dire che sbaglia ed è meglio sbagliare tutti insieme che non sbagliare divisi.

   Nel caso del Pd, che affonda le sue radici nell’integralismo comunista, il fenomeno è purtroppo da considerare quasi naturale e i veterocomunisti, che ancora sono numerosi o detengono posizioni di potere, si richiamano ai vecchi concetti dai quali si sono fatti abbacinare per tanto tempo. Non si va mai contro il partito, il partito va sempre difeso e non bisogna mai dissentire. Certo, ultimamente anche in quello schieramento è avvenuto di tutto ed nato perfino chi vuole rottamare uomini ed idee, ma chiedere di rottamare si può, mentre chiedere di dissentire non si può. Tra l’altro, chi dissente si trova a dover sottostare ad un’altra accusa che a sinistra è sempre stata subdola e feroce, quella di revisionismo ideologico. Nell'ambito della prassi marxista sono stati sempre qualificati come revisionisti quei movimenti riformisti che nel secondo dopoguerra non accettavano la leadership dell’Unione Sovietica o non si conformavano ad essa. Sotto sotto nel PD cova, sotto la cenere, anche quando il partito sostiene di poter rappresentare il progressismo, la vecchia potenziale accusa di revisionismo, pronta a scattare nei confronti di chiunque dissente dal gruppo oligarchico che detiene il potere interno e, nell’attuale sistema elettorale, decide sulle candidature.

    Essere qualificati revisionisti è come un marchio di infamia, poiché il termine revisionista è caratterizzato da una fortissima connotazione negativa. L’interesse primario è quello del partito, il leader nazionale Bersani sta provando ad affermare che quello dell’Italia viene prima di quello del partito, ma nel PD teramano ci si ostina a riaffermare che sbaglia chi, dissentendo, prova a dire che viene prima l’interesse di Teramo e poi quello del partito. Poiché il partito in sede regionale ha fissato una linea, chi dissente sbaglia, anzi è colpevole e, in quanto colpevole, può essere sanzionato, perché ha violato le regole statutarie.

    La cosa più spiacevole è che la stessa negazione del dissenso scatta quando si decidono gli organigrammi e le candidature e viene reso praticamente obbligatoria l’accettazione di quanto è stato stabilito dall’alto. Qualunque voce dissonante viene spenta e messa a tacere, si mettono all’indice coloro che avanzano la minima riserva, vengono minacciati di espulsione o colpiti da ritorsioni ed esclusioni quanti si propongono all’opposizione e all’alternativa.

    La dialettica interna di partito, che dovrebbe avere il momento apicale nei congressi ed essere coltivata nelle riunioni di partito, viene soffocata e quanto accade oggi nel PD teramano, che pure deve fronteggiare il difficile momento delle primarie, è assai significativo. “Obbedir tacendo” è viatico davvero paradossale per un partito come quello di Bersani, che però, purtroppo, è anche quello di Ginoble e Verticelli, e, soprattutto, di Franco Graziani. Ecco questo è davvero tragicomico: facendo parte dei probiviri potrebbe essere chiamato lui, ex Democrazia Cristiana, ex Forza Italia, a sentenziare sugli ex comunisti del PD, accusati di essere troppo dissenzienti e quindi colpevoli di quello che era il massimo reato politico nel partito comunista di un tempo: discutere le direttive. Insomma, nel PD vige il “Divieto di dissenso”.