L’accusa è sempre quella: chi
spacca il partito ha torto, perché l’unità del
partito è la cosa che conta più di tutto. Anche
quando il partito sbaglia, non si può dire che
sbaglia ed è meglio sbagliare tutti insieme che non
sbagliare divisi.
Nel caso del Pd, che
affonda le sue radici nell’integralismo comunista,
il fenomeno è purtroppo da considerare quasi
naturale e i veterocomunisti, che ancora sono
numerosi o detengono posizioni di potere, si
richiamano ai vecchi concetti dai quali si sono
fatti abbacinare per tanto tempo. Non si va mai
contro il partito, il partito va sempre difeso e non
bisogna mai dissentire. Certo, ultimamente anche in
quello schieramento è avvenuto di tutto ed nato
perfino chi vuole rottamare uomini ed idee, ma
chiedere di rottamare si può, mentre chiedere di
dissentire non si può. Tra l’altro, chi dissente si
trova a dover sottostare ad un’altra accusa che a
sinistra è sempre stata subdola e feroce, quella di
revisionismo ideologico. Nell'ambito della prassi
marxista sono stati sempre qualificati come
revisionisti quei movimenti riformisti che nel
secondo dopoguerra non accettavano la leadership
dell’Unione Sovietica o non si conformavano ad essa.
Sotto sotto nel PD cova, sotto la cenere, anche
quando il partito sostiene di poter rappresentare il
progressismo, la vecchia potenziale accusa di
revisionismo, pronta a scattare nei confronti di
chiunque dissente dal gruppo oligarchico che detiene
il potere interno e, nell’attuale sistema
elettorale, decide sulle candidature.
Essere
qualificati revisionisti è come un marchio di
infamia, poiché il termine revisionista è
caratterizzato da una fortissima connotazione
negativa. L’interesse primario è quello del partito,
il leader nazionale Bersani sta provando ad
affermare che quello dell’Italia viene prima di
quello del partito, ma nel PD teramano ci si ostina
a riaffermare che sbaglia chi, dissentendo, prova a
dire che viene prima l’interesse di Teramo e poi
quello del partito. Poiché il partito in sede
regionale ha fissato una linea, chi dissente
sbaglia, anzi è colpevole e, in quanto colpevole,
può essere sanzionato, perché ha violato le regole
statutarie.
La cosa più spiacevole è che la
stessa negazione del dissenso scatta quando si
decidono gli organigrammi e le candidature e viene
reso praticamente obbligatoria l’accettazione di
quanto è stato stabilito dall’alto. Qualunque voce
dissonante viene spenta e messa a tacere, si mettono
all’indice coloro che avanzano la minima riserva,
vengono minacciati di espulsione o colpiti da
ritorsioni ed esclusioni quanti si propongono
all’opposizione e all’alternativa.
La dialettica interna di partito, che
dovrebbe avere il momento apicale nei congressi ed
essere coltivata nelle riunioni di partito, viene
soffocata e quanto accade oggi nel PD teramano, che
pure deve fronteggiare il difficile momento delle
primarie, è assai significativo. “Obbedir tacendo” è
viatico davvero paradossale per un partito come
quello di Bersani, che però, purtroppo, è anche
quello di Ginoble e Verticelli, e, soprattutto, di
Franco Graziani. Ecco questo è davvero tragicomico:
facendo parte dei probiviri potrebbe essere chiamato
lui, ex Democrazia Cristiana, ex Forza Italia, a
sentenziare sugli ex comunisti del PD, accusati di
essere troppo dissenzienti e quindi colpevoli di
quello che era il massimo reato politico nel partito
comunista di un tempo: discutere le direttive.
Insomma, nel PD vige il “Divieto di dissenso”. |