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Il
senatore Paolo Tancredi accetta un contributo
elettorale di una certa consistenza (ventimila euro
non sono proprio bruscolini) da un imprenditore
certamente interessato alla realizzazione di un
termovalorizzatore e viene chiamato a risponderne
(non ancora condannato) dalla magistratura che,
ritenendo il fatto non privo di rilievi penali e
perciò necessario di un approfondimento avviato con
un rinvio a giudizio. Qualcuno, calandosi
nell’improprio ruolo di difensore d’ufficio, si
chiede: “Embeh? Che male c’è ad accettare un
contributo elettorale, soprattutto se la
realizzazione di un termovalorizzatore fa parte del
suo programma elettorale?”
La solita, impertinente magistratura, chiude il
Centro di fecondazione assistita al cui vertice è
stato posto il dottor Francesco Ciarrocchi, per
essere stato aperto privo della autorizzazioni
necessarie, e i soliti difensori d’ufficio si
affrettano a chiedere: “Embeh? Che male c’era a
tenere aperto il Centro? Lo si chiude solo per la
mancanza di un timbro? Ah, la solita burocrazia…”
L’elenco potrebbe continuare. Sono tanti i fatti per
i quali qualcuno continua a chiedersi: “Embeh? Che
male c’è?”. Questa asserita e teorizzata mancanza di
stupore davanti a fatti che pure destano la
meraviglie a lo stupore di molti affonda le proprie
radici in un passato di consuetudini e di abitudini
che hanno mitridatizzato il popolo teramano che ha
finito con il convivere con una malattia mortale,
che è l’indifferentismo etico, soprattutto
nell’ambito dei comportamenti pubblici degli uomini
politici e degli amministratori. Così ogni volta la
litania ricomincia. Sì, è vero: quel presidente di
un ente pubblico ha assunto un parente, suo o di sua
moglie. “Embeh? Che male c’è? Così fan tutti. Perché
scandalizzarsi?” Sì, è vero, in quel concorso ha
primeggiato chi aveva meno titoli e più santi in
paradiso. “Embeh? Che male c’è? E’ naturale…” Ma
nella farmacia comunale è stata assunta la figlia di
una senatrice o il figlio di un senatore! “Embeh?
Che male c’è? Dove sta il problema? Perché? Il
figlio di un uomo politico non ha il diritto di
lavorare?”
Ciò che sorprende è che molto spesso chi si
sorprende per il fatto che gli altri si sorprendano
e chi non si scandalizza per ciò per cui tutti si
scandalizzano, o, per dirla in modo diverso, chi si
sorprende che gli altri si sorprendano e si
scandalizza per il fatto che gli altri si
scandalizzino e si indigna per il fatto che gli
altri si indignino, lo fa a senso unico. Fa
schioccare il suo “Embeh? Che male c’è?” solo per
chi sta dalla sua stessa parte politica, ma è pronto
a snocciolare veementi invettive quando oggetto di
una indignazione scandalizzata sono gli uomini
politici e gli amministratori della parte avversa.
Ricordate quel giornalista che si scandalizzava o si
meravigliava per il colore dei calzini indossati da
un giudice che aveva osato formulare accuse nei
confronti del proprietario della testata televisiva
per cui lavorava e perciò lo stipendiava? Stiamo
ancora assistendo ad un ricco florilegio di “Embeh?
Che male c’è?” a senso unico sia sulla cronaca
nazionale che su quella cittadina. Ci si meraviglia
o non ci meraviglia a seconda del partito di
appartenenza per una casa a Montecarlo, per una
presunta nipote di Mubarack, per una casa posseduta
a propria insaputa al Colosseo, ma anche per i
birilli davanti all’ospedale di Teramo, per una
rotonda ovale sullo “stradone”, un acciottolato
medievale ricoperto con l’asfalto e così via…
Quel che risulta più grave, ai miei occhi, è che a
praticare questo sport “dell’embeh? che male c’è?”
non siano solo dei comuni cittadini, ma anche dei
giornalisti, che, pur schierati, dovrebbero
conservare un minimo di vigilanza critica e di
indipendenza di giudizio. |