Il corrosivo del 9 ottobre 2012  

 

Ci hanno mangiato tutti

 

       La difesa ad oltranza della sua poltrona di rettore dell’Università di Teramo da parte della professoressa Tranquilli Leali (i cui comportamenti sono davvero sia poco tranquilli che leali) è stata giustamente rappresentata come la resistenza in battaglia dell’ultimo giapponese nella guerra del Pacifico, anche a guerra ormai finita. L’immagine rende bene l’idea. Ma devo dire che l’università teramana si porta dietro un peccato originale dal quale non potevano che derivare farse come questa, che rappresentano i capitoli finali di una commedia iniziata tanti anni fa.

 

     Con l’università teramana, al di là della bontà o meno dell’istituzione, ci hanno mangiato tutti. Essa è stata sempre considerata come una mucca da mungere, a proprio beneficio.

    Fu istituita originalmente come libera università, ma già nei suoi primi giorni si rivelò tutt’altro che libera, anzi, serva di interessi specifici di chi voleva farne lo strumento principale della propria carriera politica. Si diceva che ci si muoveva seguendo l’ambizione di una popolazione e invece ci si muoveva seguendo l’ambizione di pochi.Poi, quando continuare a gestire una università libera si rivelò assai gravoso e quasi impossibile per gli enti pubblici che ne garantivano a stento la sopravvivenza, si brigò, e non poco, per statalizzarla. E fu statalizzata. Ancora una volta si fece credere che i benefici sarebbero ricaduti su tutta la popolazione e invece ricaddero solo su pochi, i soliti pochi. Vennero dispensati posti e cattedre solo a chi si mostrava ubbidiente e fedele esecutore di ordini di scuderia. Vennero anche regalate lauree e specializzazioni. La mucca aveva molto latte e c’era chi la mungeva ben bene. La qualità non fu mai eccelsa, le combriccole romane operavano e intrigavano, i baroni usavano l’università e le facoltà teramane come feudi in cui inviare i propri vassalli. I quali spesso erano docenti di nome e non di fatto, assenteisti della prima, della seconda e anche dell’ultima ora.

    Poi arrivarono i ras e le idee brillanti. I satrapi cominciarono a mungere loro la vacca, con spese folli e con delocalizzazioni insensate, distribuendo sul territorio corsi di laurea e decentrandoli come se si volesse seminare a favore di vento, ma anche controvento. Ancora una volta, e come sempre, ci si muoveva sempre sulla base di interessi particolari, e personali, non sulla base di interessi generali, della collettività. L’università teramana è sempre vissuta isolata, senza legami con le altre istituzioni culturali della nostra provincia o della nostra regione, come una realtà a se stante, perché si sono seguite le logiche derivanti da un uso personale della funzione docente o della funzione dirigente. E’ avvenuto così che Teramo non è stata mai davvero una sede universitaria e non ha mai avuto davvero un’università.

   Teramo e la sua (non sua) università sono sempre state due realtà separate, distinte e distanti. Anche gli studenti si sono visti sempre considerati solo come numeri e non è nel loro interesse che sono state fatte le scelte importanti. Sia nel lontano passato che in quello recente, le tante contraddizioni del nostro (non nostro) ateneo si sono auto-alimentate di ripicche e di ammiccamenti, di dispetti e di falsi problemi, di sprechi di risorse materiali ed umani, a mano a mano che la qualità della didattica scemava e quella della ricerca diventata sempre più inesistente. Non c’è un solo evento culturale di rilievo che abbia visto l’università e la città, il mondo accademico e quello culturale cittadino, cooperare per raggiungere un fine comune. Ci sono stati dei politici e degli amministratori che hanno detto di voler riavvicinare le istituzioni e il mondo accademico, ma hanno usato solo parole senza mai fare nulla di concreto, o rinunciando a priori a ogni tentativo serio o dovendosi arrendere ad una realtà che non sono riusciti a modificare.

     Oggi si strilla perché si vuole che la professoressa Tranquilli Leali se ne vada e abbandoni il rettorato. Pochi hanno strillato per protestare quando l’università abbandonava la città e la città abbandonava l’università, quando chiunque si avvicinava all’università lo faceva con delle mire personali e per soddisfare propri bisogni o proprie ambizioni o per servirsene come “cosa sua” per altri fini, estranei alla crescita culturale della nostra società. Oggi il bassissimo livello dei servizi erogati e la mancanza di risorse mettono in pericolo la sopravvivenza dell’università teramana. C’è chi dice che Teramo, che ha già perso tante cose, rischia di perdere anche l’università. E’ inesatto: Teramo non potrà perdere l’università, perché di fatto non l’ha mai avuta.