Con
l’università teramana, al di là della bontà o meno
dell’istituzione, ci hanno mangiato tutti. Essa è
stata sempre considerata come una mucca da mungere,
a proprio beneficio.
Fu istituita originalmente come
libera università, ma già nei suoi primi giorni si
rivelò tutt’altro che libera, anzi, serva di
interessi specifici di chi voleva farne lo strumento
principale della propria carriera politica. Si
diceva che ci si muoveva seguendo l’ambizione di una
popolazione e invece ci si muoveva seguendo
l’ambizione di pochi.Poi,
quando continuare a gestire una università libera si
rivelò assai gravoso e quasi impossibile per gli
enti pubblici che ne garantivano a stento la
sopravvivenza, si brigò, e non poco, per
statalizzarla. E fu statalizzata. Ancora una volta
si fece credere che i benefici sarebbero ricaduti su
tutta la popolazione e invece ricaddero solo su
pochi, i soliti pochi. Vennero dispensati posti e
cattedre solo a chi si mostrava ubbidiente e fedele
esecutore di ordini di scuderia. Vennero anche
regalate lauree e specializzazioni. La mucca aveva
molto latte e c’era chi la mungeva ben bene. La
qualità non fu mai eccelsa, le combriccole romane
operavano e intrigavano, i baroni usavano
l’università e le facoltà teramane come feudi in cui
inviare i propri vassalli. I quali spesso erano
docenti di nome e non di fatto, assenteisti della
prima, della seconda e anche dell’ultima ora.
Poi arrivarono
i ras e le idee brillanti. I satrapi cominciarono a
mungere loro la vacca, con spese folli e con
delocalizzazioni insensate, distribuendo sul
territorio corsi di laurea e decentrandoli come se
si volesse seminare a favore di vento, ma anche
controvento. Ancora una volta, e come sempre, ci si
muoveva sempre sulla base di interessi particolari,
e personali, non sulla base di interessi generali,
della collettività. L’università teramana è sempre
vissuta isolata, senza legami con le altre
istituzioni culturali della nostra provincia o della
nostra regione, come una realtà a se stante, perché
si sono seguite le logiche derivanti da un uso
personale della funzione docente o della funzione
dirigente. E’ avvenuto così che Teramo non è stata
mai davvero una sede universitaria e non ha mai
avuto davvero un’università.
Teramo e la sua (non sua) università
sono sempre state due realtà separate, distinte e
distanti. Anche gli studenti si sono visti sempre
considerati solo come numeri e non è nel loro
interesse che sono state fatte le scelte importanti.
Sia nel lontano passato che in quello recente, le
tante contraddizioni del nostro (non nostro) ateneo
si sono auto-alimentate di ripicche e di
ammiccamenti, di dispetti e di falsi problemi, di
sprechi di risorse materiali ed umani, a mano a mano
che la qualità della didattica scemava e quella
della ricerca diventata sempre più inesistente. Non
c’è un solo evento culturale di rilievo che abbia
visto l’università e la città, il mondo accademico e
quello culturale cittadino, cooperare per
raggiungere un fine comune. Ci sono stati dei
politici e degli amministratori che hanno detto di
voler riavvicinare le istituzioni e il mondo
accademico, ma hanno usato solo parole senza mai
fare nulla di concreto, o rinunciando a priori a
ogni tentativo serio o dovendosi arrendere ad una
realtà che non sono riusciti a modificare.
Oggi si
strilla perché si vuole che la professoressa
Tranquilli Leali se ne vada e abbandoni il
rettorato. Pochi hanno strillato per protestare
quando l’università abbandonava la città e la città
abbandonava l’università, quando chiunque si
avvicinava all’università lo faceva con delle mire
personali e per soddisfare propri bisogni o proprie
ambizioni o per servirsene come “cosa sua” per altri
fini, estranei alla crescita culturale della nostra
società. Oggi il bassissimo livello dei servizi
erogati e la mancanza di risorse mettono in pericolo
la sopravvivenza dell’università teramana. C’è chi
dice che Teramo, che ha già perso tante cose,
rischia di perdere anche l’università. E’ inesatto:
Teramo non potrà perdere l’università, perché di
fatto non l’ha mai avuta. |