Anche la più bella
impresa editoriale in campo giornalistico intreccia
le sue vicende con quelle degli inserzionisti, i
quali, come ebbe a dirmi uno di quelli che
finanziavano, sia pure parzialmente, una delle prime
trasmissioni di Tv Teramo via cavo, “sono loro ad
ungere le ruote”. Se si dipende, e si campa, di
inserzioni pubblicitarie, è impossibile non
dipendere da coloro che le pagano, comprando spazi.
E’ altrettanto difficile scrivere contro di loro (ma
anche solo “su” di loro) quando e se se lo meritano,
è altrettanto difficile riuscire a tenere ben netta
la distinzione tra articolo giornalistico e
redazionale a pagamento (più o meno indiretto). La
scrittura libera e quella prezzolata costituiscono
un’alternativa escludente e non si può al tempo
stesso celebrare Dio e Mammona. Uno fa tanto per
scrivere bei pezzi, per esprimere le proprie libere
opinioni, per raccontare la realtà come la vede, poi
arriva l’inserzionista pubblicitario, compra una o
più pagine del giornale, uno spazio televisivo o
radiofonico e… qui casca l’asino. Addio libertà
d’espressione, addio libertà di opinione… si varca
il Rubicone del “libero pensiero” e si entra nel Far
West del “servo encomio e del codardo oltraggio”.
L’indipendenza del giornalista va a farsi benedire e
si fa maledire la scrittura su dettatura.
Ho sempre
sognato per il giornalismo (e per ogni
altro tipo di scrittura) non il ruolo dei
menestrelli medievali che se ne andavano
di corte in corte costretti a cantare quel
che volevano gli altri (il castellano, le
sue dame, insomma il “mercato” e chiunque
lo sfamava durante il suo peregrinare), ma
il ruolo di chi, avendo una sua
professione, scrive per vocazione e per
diletto potendosi permettere la libertà
dell’opinione, della stroncatura e perfino
del dileggio, essendo padrone del proprio
destino. E’ vero che la carta costa,
l’inchiostro pure, e costano anche gli
spazi su cui scrivere (a meno che non ci
si accontenti di scrivere sui muri), che
questi sono strumenti che qualcuno deve
metterti a disposizione e non lo fa se tu,
in qualche modo, non sei gradito. Ed è
anche vero che non basta, soprattutto
nella società di oggi, praticare un
giornalismo parlato, non scritto, orale,
perché è assai limitato e limitante. Ma è
altrettanto vero che non si può far
“cascare l’asino” ogni volta che si scrive
su un mezzo di informazione e nemmeno una
volta ogni tanto, perché l’asino basta che
caschi una volta e quella volta vale per
sempre.
Oggi si può gridare, o mormorare, o
strillare, o suggerire, sui blog, uno strumento
ultramoderno a disposizione anche dei giornalisti
non di professione, ma l’asino può cascare anche lì,
perché anche lì, sia pure ridotti, i costi ci sono e
il POV (Point Of View = punto di vista)
dell’inserzionista pubblicitario (quello che unge le
ruote) è in agguato. L’asino va tenuto bene in
piedi, sempre. Bisognerebbe evitare di farlo cadere,
anche una sola volta. |