Il corrosivo del 14 agosto 2012   

 

Tu chiamali, se vuoi, imprenditori

     

    Tu chiamali, se vuoi… imprenditori. Ma quelli che nel teramano si definiscono così non ne hanno la caratura, la tempra e, soprattutto, ciò che caratterizza l’attività di chi imprenditore lo è davvero: un insieme di qualità con cui ci si assume “in un certo modo” il cosiddetto rischio di impresa. Qui da noi manca proprio nel DNA lo spirito imprenditoriale, che tanto è sempre stato diffuso nelle vicine Marche e di cui si è avuto qualche pallido riflesso in Val Vibrata o nel territorio camplese, ex farnesiano, così vicino al nostro ma così diverso per storia e per cultura. Nella mentalità del teramano tipico, impiegatizia e surrettizia, lo spirito imprenditoriale è assente e l’unica aspirazione giovanile è sempre stata quella di trovare “un posto di lavoro”, grazie alle raccomandazioni e all’aiuto dei politici. Ma anche quei pochi che ritengono e che dicono di aver condiviso la cultura imprenditoriale hanno operato con la stessa mentalità, così, disponendo, per vie diverse, di “quattro soldi”, li hanno investiti, ma con il braccino corto.

 

    Senza una vera vocazione imprenditoriale e senza una vera idea innovativa, la maggior parte di loro hanno percorso le vecchie strade dell’attività edilizia, in una corsa alla cementificazione che è stata vincente perché resa tale dalla politica. Gli imprenditori di casa nostra, così come i nostri giovani alla ricerca di un posto di lavoro, si sono subito messi al servizio di qualche potente, ne hanno lusingato e foraggiato le ambizioni, hanno chiesto e ottenuto da lui favori e facilitazioni che sono stati i motori della loro attività imprenditoriale, sempre modesta e mai di lungo respiro.

     Si sono poi comportanti come le mosche cocchiere, dando a vedere di essere loro a governare i fenomeni, ma in realtà subendoli e facendo sì che l’economia teramana soggiacesse alla politica e non viceversa. Senza il favore e l’aiuto, o l’aiutino, dei politici, questi sedicenti imprenditori non sarebbero sopravvissuti, anzi non avrebbero nemmeno cominciato a “fare impresa”.

     Ora che la politica, per varie ragioni, non riesce più a dispensare e ad elargire risorse pubbliche, gli imprenditori privati boccheggiano, perché non sono abituati a navigare in alto mare, ma solo a veleggiare costa costa. Finito il tempo in cui imprenditori forestieri venivano qui da noi all’arrembaggio, come pirati, per arraffare quanto più potevano in pochi anni e poi sparire con il bottino lasciando macerie e disoccupati, venne il tempo di questi imprenditori di casa nostra, che pensavano di poter moltiplicare i loro pani e i loro pesci seguendo il loro esempio. La loro bandiera è stata un cartello con su scritto “vendesi”, che hanno affisso a gru enormi, indaffarate a caricare sacchi di cemento e mattoni da tamponamento delle strutture di cemento armato e oggi sono invece lì a rappresentare il fallimento e lo scoppio di una bolla immobiliare, contrassegnando enormi scheletri che non diventeranno mai corpi edilizi rivestiti o prodotti finiti e vendibili in un mercato immobiliare asfittico e recessivo.
     Chiamali, se vuoi, imprenditori, questi che si lamentano perché il politico di riferimento non riesce più a garantire appalti o subappalti vincenti, questi che sono arrivati anche a contare qualcosa nelle banche, ma sempre prendendo più di quello che davano, e che adesso anche su quel fronte trovano scarsi approvvigionamenti e scarse protezioni. Il loro pianto greco sembra uno starnazzare di oche, che, come quelle del Campidoglio, segnalano un pericolo, ma per se stessi non per la città.

     Qui da noi, gli uomini che altrove dicono di essersi fatti dal nulla con un’idea imprenditoriale e di aver accumulato ricchezza e prodotto lavoro non ci sono. Qui da noi ci sono solo uomini che, essendo fatti di nulla, sono rimasti un nulla anche quando credevano di essere diventati qualcuno e ora stanno per tornare nel nulla, travolti dalla loro pochezza e dall’assoluta mancanza di capacità manageriale, avendo solo la bravura di mettere un mattone sopra l’altro (magari anche storto), e una tessera di partito sull’altra, (magari anche falsa), sotto lo sguardo vigile e complice del potere politico.

     Tu chiamali, se vuoi, imprenditori. Io no.