Il corrosivo del 7 agosto 2012   

 

Tu chiamali, se vuoi, bloggers

     

    Tu chiamali, se vuoi… bloggers.  Ma puoi chiamarli in qualsiasi altro modo. Hai a disposizione diecine e diecine di sinonimi, altrettante diecine di termini che avrebbero una valenza metaforica, un’altra diecina con valenza allusiva e perifrastica e altrettanti con valenza paradigmatica. Ma non puoi chiamarli giornalisti. Giornalisti no.
     Questo termine non è opportuno e adatto a nessuno dei residenti della blogsfera. I giornalisti (pubblicisti o professionisti), che tengono molto al riconoscimento del loro ruolo, continuano a farsi un vanto della distanza che c’è tra loro e i bloggers. Ma loro scrivono sulla carta (o parlano nell’etere, in radio o in tv), i bloggers, invece, scrivono sul web. Ora, devi sapere che, secondo i giornalisti, la carta stampata e perfino l’etere sono “medium” materiali, concreti, “pesanti”, mentre la rete (il web) è un medium immateriale, virtuale, “leggero”.

 

     Insomma, per i giornalisti, chi scrive non sulla carta ma sul web è un po’ come se scrivesse sull’acqua. Bada bene, non sulla sabbia. Perché le parole scritte sulla sabbia (non solo quelle d’amore), durano almeno un po’ (fino a quando un’onda del mare non le cancella), ma quelle scritte sull’acqua non durano nulla, nemmeno un attimo; si cancellano subito, non appena vengono scritte. 

     Questo secondo i giornalisti, i quali ritengono che sia bello che noi riusciamo a leggere ancora le cose scritte sulla carta (o sui papiri, che fa lo stesso) dopo millenni, mentre le cose scritte oggi sul web domani già non le leggeremo più.  E’ evidente che si sbagliano. Perché la carta può anche bruciare (ahimè, si pensi all’incendio della Biblioteca di Alessandria), e quindi quello che viene scritto sulla carta si può perdere, mentre quello che viene scritto sul web davvero non si cancella mai. Fai una prova. Trovi in rete, sui blogs, anche cose scritte qualche anno fa, rimaste magari nella cache di qualche server. Anche se le cancelli, non sarà mai per sempre e potranno sempre riuscire da qualche parte (il povero Parolisi ne sa qualcosa).
     Tu chiamali, se vuoi, bloggers.
Ma non chiamarli giornalisti, non hanno le testate registrate, non rientrano nella previsione della legge sulla stampa. Però tieni presente che dei bloggers che popolano la rete, alcuni sono meno che giornalisti, altri sono più che giornalisti. Le possibilità offerte da un blog sono assai numerose. Il basso costo di gestione fornisce ampie garanzie di indipendenza e dà la possibilità di dar vita ad un’informazione veramente libera e non soggetta a pressioni esterne. Chi non approfitta dell’ampio ventaglio di possibilità che vengono offerte, continuando magari a praticare censure ed omissioni o difese d’ufficio dei potenti, o non è sufficientemente abile o è servo per natura. Però la bidirezionalità dell’informazione fornita da un blog sottopone a pressanti controlli e ad un continuo “redde rationem”, che, sulla base di confronti e richieste di documentazioni espone potenzialmente a brutte figure irrimediabili.
     La virtualità dell’informazione fornita da un blog non ne limita l’efficacia, perché tutto dipende (esattamente come per quella fornita dalla carta stampata e dal mezzo radiotelevisivo), dalla autorevolezza di chi informa. Si può avere così un giornalista poco autorevole e un blogger assai autorevole e viceversa. Un blogger può essere più opinion leader di un giornalista, così come può essere soltanto un monatto della notizia, quando non addirittura un untore. Ma monatti e untori possono esserlo anche dei giornalisti della carta stampata e della radio-televisione… alcuni sanno esserlo benissimo. Non pochi sono i becchini della notizia, cioè coloro che la sotterrano, la nascondono, non tanto perché scomoda per sé quanto indigesta per i propri referenti.
    Ma anche nei vari blogs puoi imbatterti in tumuli dove la notizia è stata seppellita senza troppi onori e senza tante cerimonie. Perciò distingui questo da quello, ovunque tu legga o ascolti anche un solo bit d’informazione, sfogliando un giornale, ascoltando un radiogiornale, vedendo un servizio televisivo o leggendo un blog sulla rete. Ce ne sono tanti anche a Teramo che hanno aperto dei blogs, più o meno frequentati.

     Tu chiamali, se vuoi, bloggers, ma alcuni di loro sono meno che dei bloggers, altri sono molto di più che dei semplici bloggers.