Pochi ammetterebbero di essere stati
mossi dall’ambizione, ancora di meno quelli che
confesserebbero di esserlo stati dal proprio
esclusivo interesse. Tra i primi, quasi tutti si
lamentano per il fatto di vedersi tanto in avanti
negli anni e così indietro nell’ottenimento di
cariche pubbliche; tra i secondi la maggior parte
ripete in continuazione di puntare solo al bene
degli altri.
Tu chiamali, se vuoi,
politici, questi nostri concittadini che procedono
ognuno per proprio conto, sparpagliati, quando è il
momento del dare e così compatti quando è il momento
del ricevere; quelli che hanno tanto più lunga la
lingua quanto più corto il cervello, tanto più
ricche le esternazioni quanto più povere le idee,
coloro che sono quanto più pronti a chiedere credito
tanto meno ne meritano.
Chiamali politici quanti hanno
distrutto in pochi decenni una città che un tempo
aveva ancora qualcosa in cui sperare e oggi non osa
più nemmeno farlo, quelli che hanno distrutto il
nostro centro storico e cancellato la nostra storia,
che hanno abbattuto uno storico teatro e si
preparano ad abbattere un vecchio campo sportivo
perché credono che la civiltà e il progresso siano
realizzabili soltanto con il cemento armato.
Chiamali politici quei nostri amministratori che
hanno esibito per anni i muscoli nella nostra città
e sono andati in giro come accattoni con il cappello
in mano nei palazzi del potere, indossando la livrea
al momento più di moda; quelli che hanno violentato
le nostre colline e sfigurato le nostre piazze,
costringendoci a rimirarle soltanto nelle cartoline
ingiallite dei nostri albums di famiglia.
Chiamali politici, se vuoi, questi
personaggi che non hanno saputo antivedere e
prevedere i fatti e i tempi, ma nemmeno capirli dopo
che essi erano avvenuti e maturati. Chiamali
politici questi poveri di spirito che hanno guardato
la nostra città senza vederla, che l’hanno letta
senza capirla e l’hanno scritta facendo tanti errori
non solo di ortografia o di ortottica. Chiamali
politici questi nostri contemporanei palafrenieri e
bottegai che compiono scelte per nostro conto e nel
nostro nome, spacciando per scelte illuminate le
loro bizzarrie e pretendono di essere autorevoli
come vecchi saggi quando invece vaneggiano come
bimbi, ciucciandosi il dito.
Chiamali politici questi omuncoli che credono di valere molto, ma
non valgono nemmeno una zanetta. Lasciateli sognare
le loro grandezze anche quando non riescono a
distaccarsi dalle loro piccolezze; lasciate che si
credano re e regine quando invece non sono che
pedoni; lasciate che si ritengano maestosi e
brillanti quando invece sono minuscoli ed opachi;
lasciate che pensino di vivere come principi nelle
regge dorate dell’interesse pubblico, quando invece
sono prigionieri che vivono nel carcere dei loro
interessi privati, con le caviglie serrate nei ceppi
della loro ingordigia e della loro avarizia.
Chiamali politici, se vuoi, io no.
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