Il corrosivo del 24 luglio 2012   

 

Tu chiamali, se vuoi, sacerdoti

     

     Tu chiamali, se vuoi… sacerdoti. Ma non lo sono. Non mi sembra che lo siano. L’etimologia, che è sempre saggia, fa derivare la parola dal latino “sacer” (sacro) e dal greco antico “dot” (io do), attribuendole perciò il significato di una sacralità posseduta e trasmissibile in riferimento a ciò che viene dedicato alla divinità e al suo culto. Giordano Bruno, nella sua opera “Eroici furori”, distingue tra il sacro autentico e il sacro non autentico, tra la sacralità di un sacramento e quella di un asino che porta il sacramento. Conosco don Andrea Gallo, che ha battezzato entrambi i miei due nipotini, pratica il cristianesimo e non si limita a predicarlo, aborre il mercimonio, ha dedicato agli ultimi degli ultimi, ai reietti, la sua vita e il suo sacerdozio. Con lui ho avuto molte conversazioni nel corso delle quali abbiamo parlato della sua visione di una Chiesa madre degli umili e povera tra i poveri. Lo considero un sacerdote. Non considero sacerdote chi si dedica al culto del denaro idolatrato come divinità, chi pratica l’usura e appartiene ad una Chiesa che tradisce il suo voto più sacro, che non è il voto di castità ma quello della povertà.

     Non considero sacerdote nemmeno chi tradisce solo il primo di questi due voti, perché è pur sempre un traditore e un negatore del sacro che invece si è impegnato a rappresentare, ma non considero sacerdote soprattutto chi tradisce il secondo, perché il culto di cui si fa ministro è quello del denaro, dell’avarizia, dell’appropriazione. Non considero sacerdoti quanti, pur vestiti di un abito talare o di un elegante clergyman o di un abito civile ma con un qualsiasi segno distintivo del proprio stato e dell’appartenenza ad un ordine religioso, accumulano ricchezze e non le dispensano ai bisognosi, esercitano il potere che gli deriva dalla loro funzione con arbitraria arroganza, adulano i potenti a cui prodigano lodi e riconoscimenti e dai quali si attendono benefici materiali e consistenti.

 

     Tu chiamali se vuoi, sacerdoti, quei preti che gestiscono i beni della Chiesa cose se fossero proprietà da far rendere in termini economici, che li vendono prevedendo contemporaneamente due contratti, uno da far valere nel caso che i terreni restino agricoli e il secondo da far valere, a prezzo maggiorato, nel caso che essi diventino nel frattempo edificabili. Non considero sacerdoti quanti amministrano i sacramenti pur essendo padri di quattro figli, quanti scrivono lettere anonime rivelando i segreti di ciò che è stato loro rivelato nel segreto della confessione, quanti si agitano nei territori impervi della vita politica suggerendo ai loro fedeli di votare questo o quel candidato.

   Non considero sacerdoti quei preti che ho visto predicare bene e razzolare male, districandosi pericolosamente nelle reti intrecciate di capziose interpretazioni dei dieci comandamenti, quelli che trovano giustificabile che la Chiesa non pagasse l’Ici e non paghi l’Imu per fabbricati che non sono dedicati esclusivamente al culto. Non considero sacerdoti quanti, semplici preti o monsignori che siano, si schierano nei fatti a favore dei primi e solo a parole a favore degli ultimi, o quanti arraffano e brigano per accaparrarsi una destinazione di fondi per la ricostruzione successiva ad un terribile terremoto quale quello aquilano, sottraendo risorse a chi ne ha davvero bisogno e da dove se ne ha maggiore necessità.

    Non considero sacerdoti quanti nel passato, nel presente e nel futuro hanno nascosto, nascondono e nasconderanno dietro uno scudo crociato i propri interessi di bottega e quelli dei bottegai che hanno per riferimento e occultano dietro la parola “libertas” il significato assolutamente opposto che essi le danno di “asservimento”. Non considero sacerdoti quanti predicano la virtù del perdono ma solo a parole e non fanno nulla per aiutare tutti i i poveri cristi che sono afflitti dalla povertà, dalla miseria, dall’accanimento di un triste destino o sono semplicemente “diversi”, per storia di vita, per matrimoni sbagliati che però vengono giudicati indissolubili e non sostituibili, o per orientamento culturale o sessuale.
     Tu chiamali, se vuoi sacerdoti, quei venditori di ostie consacrate, di giaculatorie, di rosari, di promesse di paradiso e consolatori dell’inferno che si vive ogni giorno, quegli imbonitori che invitano ad accettare la sofferenza e la povertà in base al principio che più si soffre più si è meritevoli dell’eterno, quei predicatori che sostengono che più ci si batte il petto più si è meritevoli di perdono, ma continuano a ritenere che si possano, anzi si debbano, perdonare non solo i peccati ma anche i reati. Chiamali, infine, sacerdoti quanti continuano ad abusare dell’innocenza dell’infanzia e dell’adolescenza e quanti, anche ad alti livelli dell’istituzione ecclesiastica, continuano a proteggerli e a nasconderne le colpe. Non considero sacerdoti quelli che hanno assassinato materialmente Giordano Bruno e moralmente Galileo Galilei.
     Tu chiamali, se vuoi, sacerdoti.
     Io no.