Il corrosivo del 12 giugno 2012   

 

La Torre di Babele

     

     aaa bbb cde zxwer **)?krhdufhtòto |||||| ricomincio dalle aste, come i bambini delle scuole elementari di un tempo, prima dell’avvento del cosiddetto “metodo globale”. Che aggettivo ambivalente è “globale”! Quando è stato accostato al sostantivo “mercato”, sono iniziati i guai per noi! Ricomincio la mia alfabetizzazione, dopo essere rimasto senza parole, avendole la mia generazione esaurite, così come le speranze, le illusioni, i sogni… e perfino le lacrime. Abbiamo a suo tempo avuto tanta preoccupazione per il futuro dei nostri figli che, quando quel futuro è diventato per loro un passato e un presente per i nostri nipoti, abbiamo perso la forza di esprimere preoccupazioni nuove.
     Ma da quale fonte attingerò le nuove parole? Esiste ancora un luogo dal quale esse sgorghino, fluide e nuove, o dovrò riusare quelle vecchie, dopo averle prelevate nella nostra cantina polverosa, e ripulirle, cercando di dar loro un nuovo nitore? Dovremo inventarci una nuova fraseologia o sarà sufficiente purgare la vecchia delle anfibolie che l’hanno avvelenata?

 

     Su quale terreno possiamo radicare una nuova grammatica morale, una nuova sintassi politica, per evitare altri inganni, dei perenni ladroni di ogni tempo e di ogni latitudine, sempre pronti a depredarci all’angolo della strada? Abbiamo un bisogno vitale di univocità terminologiche e di panorami lessicali in cui le parole esprimano concetti chiari e non utilizzabili per fini diversi da quelli per i quali è opportuno che esse vengano usate.   

     La mancanza di un idioma comune ci è stato troppo a lungo di impedimento; l’introduzione di un quarto termine nel discorso (ahi, la “quaternio terminorum” di Aristotele!) ha reso sofistici tutti i nostri sillogismi e ha degradato tutti i nostri ragionamenti. Parole a cui avevamo affidato il compito di esprimere i nostri valori più importanti, quali onestà, virtù, giustizia, indipendenza di giudizio e di pensiero, sono state costrette a significare il contrario di quei valori. Le abbiamo prostituite e corrotte, le abbiamo alla fine svuotate di ogni significato. Il parlare è il grande effetto della razionalità e chi non discorre non conversa. Il motto: “Parla, acciocché io ti conosca” lo abbiamo trasformato nel motto: “Parla, acciocché tu mi confonda”. Quella attività a cui si dedica la nostra anima quando essa comunica nobilmente, producendo immagini concettuali di sé nella mente di chi ci ascolta, in cui consiste il conversare, si è trasformata in una attività meno nobile: trasmettere parole per veicolare inganni, illusioni e tradimenti. Abbiamo stravolto il significato delle parole, trasformandole in un suono indistinto e indistinguibile, che ha finito per renderci sordi, come accade a chi, rinchiuso in una caverna sotterranea, finisca per perdere l’udito a causa del fragoroso rumore prodotto dall’infrangersi delle onde del mare contro una vicina scogliera.
    Ritroviamo la nitidezza delle parole e l’univocità dei significati e dei significanti. Analizziamo il nostro linguaggio a mano a mano che ne ritroviamo il corretto uso e abbattiamo per sempre questa Torre di Babele che avevamo edificato. Poi, dapprima brancolando tra le rovine ma in seguito tirandocene fuori, proviamo a innalzare un nuovo tempio, dal quale dovremo stare più attenti a tenere lontani i mercanti. Abbiamo bisogno di nuovi reggitori, che anche nella nostra polis siano illuminati quanto onesti, desiderosi del bene comune piuttosto che di quello privato, proprio e dei propri complici. Che si dica pane al pane e vino al vino, dicevano i vecchi libri, che suggerivano saggezze di comportamento che abbiamo trascurato di mettere in pratica.
     Dobbiamo rigenerare non solo i nostri vocabolari, ma anche le nostre pandette e, soprattutto, le nostre coscienze. Del tanto che abbiamo perduto, poco ritroveremo; avremo bisogno di nuovi punti di riferimento, di nuovi ideali che prendano il posto di quelli che si sono infranti come fragili  specchi contro i quali abbiamo visto scagliare pesanti sassi da parte dei nostri nemici comuni, rivelatisi tali dopo aver sacrilegamente finto di essere nostri amici.
     Non abbiamo bisogno però di nuove regole, sarà sufficiente ripristinare quelle di cui da troppo tempo stavamo trascurando il rispetto. Sarà bastevole pretendere che tutti le rispettino e nessuno le disattenda, che nessuno usufruisca di benefici di casta o di esenzioni di ogni tipo, che nessuno si veda accordare privilegi esclusivi e che a nessuno sia concesso un facile perdono successivo a comportamenti ingiusti e socialmente riprovevoli.
     Sarà sufficiente che a tutti coloro che vengono meno agli obblighi derivanti dalla legge e dalla morale pubblica venga comminata la sanzione sociale dovuta, che nella nostra comunità non vi sia più chi lastrichi continuamente le strade con menzogne, bugie, imbrogli, finzioni, trame, e trappole, e che non consista in questo e solo in questo il “fare politica”.