Basta con questi sgranocchiatori
di chicchi di rosari,
che continuano ad elemosinare prebende e
benefici contando soltanto sulla propria fedeltà da
cani di riporto, spacciata per una lealtà di cui non
conoscono nemmeno l’essenza. Basta con questa destra
che continua a disboscare la foresta dei
nostri sogni e delle nostre aspettative e, spenti i
primi e svanite le seconde, torna a promettere e a
ripromettere un rinnovamento
che non ci sarà mai, perché dovrebbe basarsi
innanzitutto su una rigenerazione morale di cui non
si
è capaci.
Basta con questa sinistra
che, fiutato nell’aria uno zefiro di novità e
di voglia di cambiamento della gente, pensa di
approfittare dell’onda favorevole dell’alternanza,
ma scoprendo le proprie tombe e facendone risorgere
i propri morti, riproposti per candidature
inaccettabili. Inevitabili, ineluttabili,
immarcescibili, immancabili, inaffondabili, questi
politici di sinistra di cui pensavamo di esserci
liberati per sempre tornano a volteggiare nell’aria
come gli avvoltoi
che nel deserto sentono anche
da molto lontano il fetore di carcasse in
decomposizione. Rifioriscono lentamente come antiche
macchie
che avevamo pensato di aver tolto dai vestiti
a cui teniamo di più.
Basta con questo giornalismo straccione del
copia e incolla
che, rinunciando alla naturale vocazione,
all’indipendenza di giudizio e alla libertà di
espressione, diventa ogni giorno di più servile
ossequio al potente di turno, dal quale si spera di
ottenere con l’ultima oscena didascalia il
biscottino zuccherato
considerato l’unico scopo di una vita spesa al
servizio di un’informazione da camerieri in livrea.
Basta con questo potere
che continua a distribuire incarichi e
funzioni ai caudatarii di professione, diventati
professionisti del regger moccoli nelle laide alcove
dove si accoppiano i consensi elettorali e le
tessere di partito ed esperti in sommo grado
dell’elogio sperticato, all’occorrenza anche
funebre, basta ai Minosse
che avvinghiano la coda nel distribuire
miserie e nobiltà culturali o ricchezze
e povertà materiali.
Basta con questi amministratori
che, mentre aumenta la disoccupazione e si
vuotano le casse degli enti pubblici e parapubblici,
sempre più depredate dagli sprechi e dalla
appropriazioni indebite, comprano cravatte e foulard
o restituiscono il denaro pubblico dopo averlo
prelevato per fini privati, sperando
così di sfuggire al tintinnio delle manette.
Ma basta anche
con queste mie geriatriche
lamentazioni, nelle quali, come accade a chi
ha visto troppa acqua passare sotto i ponti, il
futuro
è sempre fosco, il presente insoddisfacente e
il passato sempre rimpianto, anche
se questo passato era parso anch’esso fosco
quando era futuro, insoddisfacente quando era
presente. Basta con questo impotente grido di
disperazione
che fa sembrare l’astensione dal voto l’unica
risposta possibile allo sdegno
che ci coglie ogni mattina, quando ci
svegliamo al gong dell’ultimo crollo in borsa,
durante il giorno all’oscillare del pendolo dello
spread e la sera, prima di coricarci, quando
facciamo il bilancio di una giornata contrassegnata
dal peggioramento dei dati di una crisi
che ci sta affamando.
Basta con questa corona di spine
che fa sanguinare il capo dei poveri cristi,
dei disoccupati, dei falliti
che vedono solo nel supremo atto di
autolesionismo la fine delle loro disgrazie. Basta
con questa successione di parole impotenti e
disperate con le quali cerchiamo di rappresentare
una situazione drammatica
che
è ineffabile. Basta con le parole.
Affidiamoci all’eloquenza del silenzio, alla virtù
terapeutica dell’afasia. Sto pensando da tempo di
inviare, almeno per una volta, al direttore del
giornale i 4.500 caratteri del testo di questa
rubrica nella forma di spazi bianchi, senza vocali e
consonanti, condensando nello spazio vuoto di un
articolo il senso di una dimensione
che abbiamo perduto. Forse non si potrebbe
scrivere un BASTA usando caratteri più cubitali.
|