Il corrosivo del 24 aprile 2012   

 

Abbraccio il padre

 

     Conobbi Romy Malavolta nei giorni felici della sua famiglia. Giorni che erano tornati felici, perché ce n’erano stati di assai tristi, prima. Poi, come accade nella vita e ancor più spesso nel mondo delle imprese - specie se basate sull’intrapresa personale e familiare - dai segni negativi l’azienda di suo padre era tornata ai segni positivi e i sorrisi erano rifioriti, riprendendo il posto delle tristezze. Suo padre, Aristide, era fiero di lui e lo esibiva compiaciuto, come si fa con un fiore all’occhiello. Lo faceva come la madre dei Gracchi, che esibiva i figli come suoi gioielli. Romy era giovane, bello e scalpitante. Mordeva il freno, irrequieto, e ambiva a trovare non solo una collocazione e un ruolo nell’azienda di famiglia, ma soprattutto la certezza di avere un posto di rilievo nel cuore del padre.

 

      Nei primi giorni della nostra frequentazione, mi parve spesso portato a slanci di generosità ma anche a qualche eccesso, dovuto ad una percezione non ancora compiuta delle proprie potenzialità ma soprattutto alla sua gioventù.  So che era anche invidiato dai suoi coetanei appartenenti più o meno allo stesso ceto, perché veniva considerato come un principe al quale nulla la vita negava e al quale tutto concedeva con prodigalità. Erano quelli giorni in cui i miei rapporti con suo padre erano ottimi – specie nel campo dell’informazione televisiva - anche se già resi a volte complicati da un difficile carattere, e lo furono, conseguentemente anche con lui.

     Quando seppi della sua malattia, che lo costrinse ad un difficile intervento, rimasi sgomento. Fui indotto a tristi riflessioni sulla crudeltà delle vicende umane che si alternano dispensando infinite gioie e dolori terribili, che segnano drammaticamente delle vite che sembravano destinate a non conoscere mai ostacoli e imperfezioni. Fui felice per l’esito felice dell’intervento, che parve risolutore e salvifico.

Nel corso degli anni i miei rapporti con suo padre diventarono prima difficili e poi si interruppero, conseguentemente si raffreddarono anche quelli con lui. Furono gli anni in cui Romy regalò al calcio teramano stagioni stupende, magari con equilibrismi di gestione amministrativa di cui però fummo resi edotti solo più tardi. Ma ci furono i giorni della gloria, quali non s’erano mai vissuti prima. Il giovane presidente, primo tifoso della squadra, allestì delle compagini di tutto rispetto e ingaggiò calciatori che in seguito ebbero delle splendide carriere in formazioni più blasonate e in nazionale. Quando anche nel calcio i gomitoli si aggrovigliarono e ci si avviò verso un fatale e triste esito, con una condanna senza appelli della tifoseria e del calcio professionistico teramano alla scomparsa, prima di una risurrezione partendo dal dilettantismo, Romy fu considerato dalla tifoseria della curva come un nemico e il suo nome venne esecrato. Nel frattempo anche l’azienda familiare conosceva di nuovo giorni difficili che la portarono alla definitiva disfatta, proprio mentre la sorte maligna riprendeva ad accanirsi con particolare crudeltà contro un giovane sfortunato la cui parabola di vita sembra disegnata da un autore della letteratura classica greca.

     La notizia della morte di Romy mi rattrista e mi emoziona. Lo rivedo giovane, bello e sorridente, combattivo e sognatore, ambizioso e propositivo, guascone ed eccessivo come devono essere i giovani, creativo e forgiatore come devono essere i realizzatori di opere. Ma soprattutto mi sconvolge pensare a suo padre e al dolore che sta provando. Ricordo l’abbraccio di Aristide quando  mi colpì la stessa identica sventura che adesso ha colpito lui e ricordo quanto quell’abbraccio mi fu di conforto. Contraccambio ora, dolente, quell’abbraccio, sperando che egli ne possa trarre analogo conforto, anche se so purtroppo che nessun conforto può alleviare il dolore per una perdita così grande.