Il corrosivo del 20 marzo 2012   

 

Fatti e opinioni

 

     Tra le tante cose che sento dire o leggo a proposito del giornalismo, del suo ruolo e delle sue caratterizzazioni, ogni tanto mi capita di sentir ripetere una grossa sciocchezza, che ho sempre considerato tal; che occorra separare i fatti dalle opinioni. Come se fosse possibile separare i primi dai secondi! Come se i fatti e le opinioni potessero procedere per conto loro, separatamente, lungo vie parallele o divergenti, ma soprattutto come se i fatti fossero una cosa a sé. Come se possa esistere “il fatto puro”, scevro da qualsiasi opinione, come se esista “il fatto in sé”, considerabile in modo assolutamente oggettivo e privo di qualsiasi rappresentazione soggettiva del reale. Nemmeno nella scienza esiste il “fatto puro”, nonostante i tentativi della speculazione filosofica dell’empiriocriticismo, di Avenarius, di Mach, e di qualche altro filosofo che ha provato ad isolarlo e a considerarlo separato e a sé stante. Già Kant ci aveva detto che la cosa in sé è soltanto pensabile, noumeno, perché l’unica realtà visibile è quella che viene rappresentata dal soggetto che la osserva e la conosce, e quindi è fenomeno.

 

     La filosofia e la scienza successive, anche grazie all’apporto di Heisenberg con la sua trattazione sul principio di indeterminazione, ci hanno confermato che nessuna realtà è rappresentabile in modo del tutto oggettivo e sfugge all’influenza del soggetto che se la rappresenta. Il giornalista è un osservatore che, nell’osservare la realtà, se la rappresenta soggettivamente, e quando la racconta ai propri lettori non può uscire dai propri schemi interpretativi, dal suo io ermeneutico, cioè dall’insieme delle proprie opinioni. Non può pretendere, nel raccontare un fatto, di descriverlo così come esso si è oggettivamente configurato, perché non può fare altro che raccontare come quel fatto lui se lo è soggettivamente rappresentato. Se ha la pretesa di fare una narrazione oggettiva, si sbaglia, o mente e spaccia per oggettivo ciò che invece è soggettivo. Insomma, pretende di farci credere che ci stia descrivendo un fatto, mentre, in realtà, anche lui, come tutti, non fa altro che descrivere come lui se lo è rappresentato, come lo ha visto e, quindi, in definitiva, come lo ha interpretato ci fornisce l’opinione che lui ne ha.

     Nessuno può separare i fatti dalle opinioni. Chi dice di farlo, bara. Vuol far passare le sue opinioni per fatti, oggettivi, inconfutabili, mentre non lo sono. Chi ha questo brutto vizio di solito ritiene di presentare e descrivere dei fatti, pensando che gli altri raccontano le proprie opinioni. Distingue il fattibile con l’opinabile e la distinzione è menzognera. Questo vale non solo per i giornalisti, ma anche per i politici, per gli uomini di religione, per gli insegnanti, per i saggisti, per chiunque. Quando qualcuno vi dice che sta distinguendo, o separando, i fatti dalle opinioni, non credeteci, e soprattutto non fidatevi. Vi sta ingannando. Il filosofo tedesco Max Weber ci ha insegnato che la rappresentazione soggettiva del reale storico e sociologico comincia già nella scelta che individualmente si fa nella congerie di materiale di cui si dispone. Essendo il “fatto” sempre complesso, costituito da un insieme di eventi, alcuni antecedenti, altri successivi ma non conseguenti, altri successivi e conseguenti, altri uniti dal vincolo della causalità e altri ancora svincolati da questo legame e solo accomunati dalla contemporaneità, la soggettività del racconto che se ne fa comincia già nella scelta o nell’omissione di alcuni fatti piuttosto che di altri. Segue poi, nello sviluppo descrittivo, una serie di ulteriori scelte, che sono sempre rapportabili con la soggettività e quindi con l’insieme degli schemi mentali e, appunto, con l’opinione. Perciò è tutto opinione; l’opinione non è una conoscenza di secondo grado, di genere inferiore, rispetto ad una conoscenza di primo grado connotabile con i caratteri dell’oggettività, o come altri direbbe, della scientificità. Non esiste contrapposizione tra verità dei fatti e opinione che si ha di quegli stessi fatti. I fatti non sono attingibili, e raccontabili, se non mediante le opinioni che se ne hanno.

     Perciò, amici giornalisti, non abbiate paura delle vostre opinioni, esprimetele liberamente, purché siano davvero libere e non condizionate da interessi di parte o di bottega. Quando ci raccontate dei fatti, abbandonate l’idea presuntuosa che i vostri lettori possano credere che essi si siano svolti proprio come voi li descrivete. Non affannatevi a separare i fatti dalle vostre opinioni, manifestate queste ultime in modo che esse risultino chiaramente, come tali, non coperte da quelle maschere carnascialesche che a volte spacciate per verità indiscusse e indiscutibili. Il giornalismo è questo: non presentare al lettore una finta verità assoluta, ma proporre la propria verità soggettiva, per un’analisi e per un confronto. Il giornalismo è opinione. Anche la matematica lo è, sebbene si dica il contrario. A non esserlo, se mai, potrebbe aspirare l’aritmetica, ma nemmeno lei ne può avere la pretesa, perché sommare il quattro al tre dà sette solo a certe, determinate condizioni, la prima delle quali è che si sommino delle omogeneità, altrimenti la somma è impossibile. Sommare quattro mele e tre pere non dà sette, se non a condizione che si stia sommando un solo tipo di frutto e, come si sa, di tipi di frutto ce ne sono in gran numero. Anche di opinioni, ce ne sono in gran numero. Ed è bene che non siamo omogenee. E’ sempre pericoloso il pensiero unico. E ancora più pericoloso è chi spaccia per tale il proprio. Anche e soprattutto quando fa il giornalista.