Il corrosivo del 6 marzo 2012   

 

Chi ha vinto e chi ha perso

 

      Ho seguito i preparativi e poi i lavori del congresso provinciale del PDL da lontano. Non sono nel teramano e non ho preso parte allo spettacolo nemmeno come osservatore. D’altro canto sarebbe stato lo stesso se in questo periodo fossi stato a Teramo, perché non sarei andato comunque. Non mi piacevano molto i congressi di partito nemmeno quando avevo un partito in cui militare, figuriamoci adesso che da quindici anni non ne ho uno e non credo di averne più in futuro!

 

     Ho seguito, dicevo, i preparativi e poi i lavori, attraverso le cronache e gli articoli di stampa. Mi sono divertito e mi sono indignato. Non sto qui a spiegare per che cosa, perché conta poco. Ho seguito anche i commenti, e uno mi è sembrato, oltre che laudativo, bizzarro. Ho letto: “Ha vinto il PDL”. Del perché questo commento mi abbia divertito, proverò a spiegarlo. Penso che ne valga la pena e che la spiegazione possa essere utile. Mi sono chiesto: perché ha vinto il PDL? Come si può dirlo? Ho riletto le cronache per capirlo e non l’ho capito. Anzi, ho capito che dire che abbia vinto il PDL, se non è falso, quanto meno non è vero. Non ha vinto il PDL, perché non ha vinto un partito. Un partito vince quando si trova l’unità congressuale, e qui in questo primo congresso di un partito che sta per morire e finora non ne aveva mai fatti, pur non essendo nato proprio ieri, non si è trovata l’unità, ma è stato formalizzato un risultato scontato, forse già accettato alla vigilia.

     Non ha vinto il PDL perché il dibattito non c’è stato e nei congressi veri nessuno vince quando mancano il dibattito e la discussione. Non ha vinto un partito, perché nessuno vince in un congresso in cui le tesi che vengono portate avanti sono vuote di contenuto e di prospettiva e gli interventi lo sono altrettanto, ridotti al ruolo e al rango di beceri attacchi alla stampa e ad ex compagni di cordata spalmati di grasso fino a quando hanno fatto comodo. Nessuno e niente vince in un congresso che si caratterizza per essere rappresentabile come un rituale, come una messa cantata, dove si giustificano il passato e il presente ma anche il futuro non ancora scritto e già assolto da tutti i peccati. Come si può dire che abbia vinto il PDL, quando il PDL sta per immolarsi, sconfitto, sull’altare delle proprie contraddizioni e del culto della personalità, e sta per praticare una dolce eutanasia nella speranza di una risurrezione sotto altro nome e sotto altra forma?

     No, non ha vinto il PDL, e nemmeno ha vinto la DC, la Democrazia Cristiana, che è l’alias di questo PDL morente. Ecco, il congresso che si è aperto e chiuso domenica, con un vincitore scontato e uno sconfitto che viene fatto passare anche lui per vincitore, è stato un tipico congresso democristiano, quello dei figli, uguale a quello che celebravano i padri, uguale nelle forme e nei contenuti, nelle formule e nei riti, nelle parole e nelle convenzioni, non nei simboli ma nelle intenzioni. Questo congresso potrà essere un capitolo di quel libro che forse un giorno riuscirò a terminare e a dare alle stampe, intitolato “Fenomenologia del democristiano”. Si parlerà di fenomeni e di parafenomeni, di epifenomeni e di teorie malefiche, come quelle sulle doppie, triple e quadrupli verità, che giustificano con il genuflettersi davanti agli altari l’esercizio del potere del trono, che nascondono gli occulti vizi privati con le esibite virtù pubbliche, che ai defunti non solo promettono un posto in paradiso ma garantiscono anche una tessera di partito e ai vivi conferiscono un posto di potere in base al numero di tessere possedute, anche quelle dei morti.

     Nessuno ha vinto in questo congresso, nemmeno il partito che lo ha tenuto. In questo congresso ci sono solo sconfitte ed è facile individuare e indicare chi ha perso. Ha perso chi ha creduto che questo partito e quello che lo aveva preceduto (dando vita a questo) potessero rinnovare la politica e coloro che la fanno; ha perso chi ha sognato un cambiamento di segno e di direzione in uomini che hanno dimostrato di essere quelli di sempre o i loro figli; hanno perso quelli che, stando a destra, li hanno combattuti e poi sono finiti, per una ragione o per l’altra, nel novero indistinto e indistinguibile di quelli che li riveriscono, dopo essersi spostati al centro, che è pur sempre la vecchia palude dei parlamenti, anche in democrazia.

     Ha perso la Teramo che spera in qualcosa d’altro e di diverso, anzi di opposto, sperando di meritarlo. Ha perso chi non pensa di meritarsi la sconfitta, ma non fa nulla per cambiare le cose. Ha perso chi si illude che i congressi degli altri partiti siano diversi e migliori. Ha perso chi continua a sperare in un’opposizione che in questa città non c’è mai stata, non c’è e non ci sarà mai. Ha perso chi pensa, e continua a pensare, che la stampa sia libera e non debba mai essere asservita a interessi di partito, commerciali e di bottega. Ha perso anche chi finora ha sempre vinto e pensa di continuare a vincere, perché non ha capito che in realtà ha sempre perso e continua a perdere. Purtroppo ha perso anche chi ha sempre perso, continua a perdere e teme, o spera, di non poter mai vincere. Insomma, non ha vinto nessuno e abbiamo perso tutti.