Il corrosivo del 14 febbraio 2012   

 

Le cinque piaghe del PD

 

     

     Nel 1848 venne stampata a Bruxelles, ad insaputa del suo autore, e l’anno dopo a Napoli, un’opera, intitolata “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”, scritta da Antonio Rosmini. In cinque capitoli vengono analizzate cinque piaghe, vale a dire cinque gravi ferite che insanguinavano il corpo (la struttura) di un’istituzione sacra alla cui rifondazione, o quanto meno al cui rinnovamento, il filosofo di Rovereto intendeva dare il proprio contributo. Ho ripreso in mano il libro in questi giorni, perché un’illuminazione improvvisa mi ha fatto balenare una corrispondenza, che spero non risulti blasfema, tra la Chiesa (con la C maiuscola) che Rosmini intendeva riformare, e un’altra chiesa (con la c minuscola) che nessuno sta cercando di riformare, quella del PD. Anche il PD è una chiesa, lo è sempre stato, e nella sua struttura (nel suo corpo) è evidente la presenza di piaghe sanguinolenti, che risultano non meno dolorose, almeno per i “fedeli” di base. La corrispondenza che mi sembra di intravedere non riguarda solo la natura delle piaghe, ma il loro numero e l’attuale loro stato, almeno nel quadro che conoscitivamente ho più sotto gli occhi, quello della realtà teramana.

     La prima piaga della Santa Chiesa denunciata da Rosmini è la divisione del popolo dal clero. Qui la corrispondenza è totale. La divisione, o meglio la distanza, tra il popolo degli elettori, reali ed eventuali, e l’apparato dirigente del PD teramano è massima. E’ una distanza abissale. Ginoble, Verrocchio, Cavallari e perfino la Di Pasquale sembrano vivere in un altro paese, in un’altra dimensione rispetto agli elettori a cui si rivolgono sperando di avere il loro voto. Parlano una lingua completamente diversa e perciò non fa meraviglia che non siano capiti e che non riescano a comprendere le esigenze della gente. In ogni ambito comunicativo, sia quello istituzionale dei consigli regionale, provinciale e comunali, sia negli studi televisivi, i rappresentanti del PD teramano parlano a vuoto, si auto-referenziano, mostrano di non rendersi conto di esigenze ed urgenze, non sanno costituirsi in opposizione credibile, non si propongono come reale alternativa.

 

      La seconda piaga della Chiesa, secondo Rosmini, era l’insufficiente educazione del clero. Anche qui la corrispondenza, considerando sempre il clero come la classe dirigente del PD teramano, è palese. Da Verrocchio in giù, quanti gestiscono il partito si rivelano ad ogni occasione impreparati sui singoli problemi, appaiono completamente all’oscuro sugli argomenti che contano e che stanno più a cuore ai cittadini. Assai spesso se ne escono con proposte non solo inadeguate, ma inattuabili e risibili. Sul piano comunicativo, addirittura, ragliano come asini, quando, invece, dovrebbero cantare come usignoli.

     La terza piaga segnalata da Rosmini è la divisione tra i vescovi. Qui ci viene in mente la divisione tra le correnti del PD, che tanti guasti ha prodotto, portando il partito a non contare più nulla, sia nelle amministrazioni locali che sono state perdute sia nei consigli di amministrazione di enti in cui almeno si doveva e si poteva puntare a rappresentare la minoranza. Non si è riusciti a fare nemmeno quello, perché si è perso tempo e fatica a beccarsi e a ribeccarsi nel segno della confusione e della divisione. La quarta piaga rosminiana, consistente nella nomina dei vescovi lasciata al potere laicale, è ancora più facilmente ravvisabile nelle scelte sbagliate di dirigenti e candidati. Spesso esse sono dettate da logiche diverse da quelle del merito e suggerite da apparati esterni al partito, lobbies potenti e potentati famigliari, gruppi economici e di pressione che non tengono conto del principio della lenta progressione di carriera vigente nel vecchio apparato del partito comunista. C’era un limite nell’emersione di uomini di apparato, ma almeno era positivo lo stretto legame tra gli uomini e l’apparato e c’era una serietà di fondo che si traduceva anche in termini di lealtà. Oggi i “vescovi” del PD, cioè gli eletti e i prediletti, non rispondono più al partito e agli elettori, ma ai gruppi che li hanno proiettati, quasi sempre senza merito, sugli scranni dove viene loro consentito di depositare le terga.

     La quinta ed ultima piaga attribuita alla Chiesa da Rosmini era la servitù dei beni ecclesiastici. Costituendo questi ultimi una realtà giuridica specifica, potrebbe sembrare più difficile trovare una loro corrispondenza con la realtà e con la struttura di un partito come il PD. Ma la difficoltà è solo apparente. E’ sufficiente veder raffigurati i “beni ecclesiastici” nel sistema beneficiale, cioè nell’insieme di privilegi di cui godono quanti vivono di politica e solo per la politica all’interno del PD. Non pensando mai di poter fare la minima rinuncia, inseguono incarichi, prebende o consulenze ben remunerate, anche quelle che vengono affidate nel sottobosco del potere e derivano da “inciuci” a vari livelli con chi detiene il potere e con la maggioranza. Si guardano sempre assai bene dal rendere pubblici resoconti e bilanci, individuali e collettivi.

     Alla luce di queste cinque piaghe, non è arduo capire come mai, pur essendo l’attuale centro-destra abruzzese in un difficile momento e in piena crisi di credibilità (da Chiodi a Brucchi passando per Catarra), il centro-sinistra (di cui il PD costituisce una delle colonne portanti) non riesce ad andare oltre uno sterile ruolo di minoranza; non si propone come maggioranza alternativa, ma nemmeno come opposizione. Accade così che il suo capo, Robert Verrocchio, appare sempre di più non come un San Salvatore, ma come un San Sebastiano, colpito al petto ogni giorno da una freccia in più.