Il corrosivo del 31 gennaio 2012   

 

Goal e autogoal

 

     

    Per il sindaco Brucchi si è trattato certamente di un autogoal. Immagino la sua smorfia quando ha scorso le righe di un documento che produceva l’effetto di una scossa tellurica di grado incommensurabile sull’edificio costituito dal sogno di legare il suo nome alla costruzione del nuovo teatro sull’area del vecchio campo sportivo comunale. Sulla realizzazione di quel sogno aveva puntato tutto, aveva sfidato molti teramani e cinquemila firme che richiedevano un referendum. Lasciato a volte solo dal suo schieramento politico a fronteggiare difficili situazioni, aveva continuato con cocciutaggine tutta abruzzese a caldeggiare il progetto e a immaginare il momento in cui le ruspe sarebbero entrate in azione. Più si era spinto avanti e più adesso è costretto ad indietreggiare, sperando che tutta la questione sia dimenticata in fretta.

     Come l’esercito austriaco nel celebre comunicato di Armando Diaz, egli era costretto a risalire in disordine le valli lungo le quali era sceso con orgogliosa sicurezza. Un autogoal indiscutibile, perché più aveva puntato sul progetto e più la sua sconfitta appare ora clamorosa. Politicamente è un autogoal, umanamente, diplomaticamente, e infatti si è subito arreso alla proposta di Campitelli, almeno per il momento, sperando di riuscire a far credere che, in fondo, non è successo niente.

 

     Per la città, per Teramo, non è stato un autogoal (il teatro lo si può fare altrove), ma un goal, per il quale i teramani, come sugli spalti, possono festeggiare. E’ un goal magnifico, esaltante. Intanto per uno scampato pericolo: l’abbattimento del vecchio campo sportivo e l’edificazione dell’area, anzi di due, nel nome di un criminoso consumo del territorio, preferito al più eco-compatibile principio architettonico del costruire sul costruito, riqualificando il tessuto urbano esistente. Appariva scioccante che Teramo dovesse dare 44 per riavere 7, per di più affidato alla gestione dei privati. Risultava scioccante che si concedesse tanto alla speculazione. Ma è stato un goal anche per un secondo scampato pericolo. Avremmo affidato gran parte della nostra economia alla criminalità organizzata, molto di più di quanto non sia già avvenuto, benché molti si ostinino a sostenere che questo non è ancora avvenuto.

     La pietra tombale sul project-financing, che adesso sappiamo con certezza essere stato ideato in odor di camorra, cala su un sepolcro imbiancato di buoni propositi con i quali si abbellivano e si mascheravano cattive intenzioni. Poco cambia che ora Brucchi e i brucchiani dicano che erano all’oscuro di tutto, che non sapevano, che non si erano accorti, che non potevano immaginare. Intanto perché qualcun altro in città, forse più avveduto, aveva dato avvertimenti, a volte precisi, avanzato sospetti, non poche volte fondati, invitando i sostenitori del progetto a maggiore prudenza e a più profonda riflessione. Ma anche perché la sorpresa e addirittura lo sbalordimento che Brucchi e i brucchiani dicono di aver provato nel leggere, per di più parzialmente, il documento della prefettura vengono esibiti con iperboliche connotazioni, che più vengono sottolineate più provano l’iniziale insipienza. E questo nella più bonaria interpretazione dei fatti, perché ci sarebbe qualche spiraglio anche per interpretazioni ancora più maliziose. Goal e autogoal, dunque.  

     E’ stato un autogoal per il sindaco che è un goal per la città che lui amministra, a dimostrazione dello “spread” (anche in questo contesto si può usare questo termine), cioè della divaricazione, della distanza, della separazione che c’è tra Brucchi e i teramani. Di questi, ce ne sono molti che lo osannano ad ogni piè sospinto e ad ogni suo detto, ma si capisce assai bene che lo fanno perché o sono beneficiati da lui e dalla sua parte o sperano di esserlo in un futuro più o meno immediato. E’ stato un goal per i teramani, quelli che non hanno mai creduto in Brucchi o non ci credono più, dei quali non pochi hanno cominciato, da visionari (ma il termine è positivo, perché la “visione” progettuale è dei grandi spiriti, anche se un po’ folli, ma geniali), a immaginare di costruire il nuovo teatro non solo proprio dove si trovava il vecchio che fu abbattuto da scellerati, ma proprio come era. Lasciamoli sognare, intanto, come i tifosi di una squadra che ha appena fatto un goal sognano che ne faccia subito un altro. Quanto a Brucchi, adesso è così frastornato che da una parte sarebbe capace di seguire il sogno di tutti e dall’altra non ha la forza di avere un sogno suo, ma si appoggia a quelli di Mauro Di Dalmazio, i cui sogni e le cui visioni hanno già prodotto devastazioni alle quali non sarà possibile riparare.

     Con un sentimento di pietà, come quello che avemmo quando fu costretto a rimangiarsi un decreto anti-Biancone che in troppi continuano a dire che avesse già firmato, ora che ha dovuto rimangiarsi anche questo project-financing bollato con tanta infamia, rivolgiamogli l’interrogativo di cui lo scrittore tedesco Hans Fallada ha fatto il titolo di uno dei suoi libri più belli: “E adesso, pover’uomo?”. Anche perché sul piano politico gli potrebbe capitare quel che viene evocato da un altro splendido libro dello stesso Fallada, intitolato: “Ognuno muore solo”.