Nella maggior parte dei casi, invece,
i professori interrogano gli studenti per scoprire
quello che non sanno, anche se lo fanno per
farglielo confessare ugualmente. I migliori tra loro
interrogano, correttamente, gli studenti su ciò che
sanno, per consentire loro di mostrare come sanno
esporre quello che sanno e per accertarne il grado
di “strutturalità”.
Tra l’interrogare e l’intervistare una qualche
differenza ci deve essere, se terminologicamente, le
due attività vengono distinte. Entrambe consistono
nel porre domande, ma, quando queste vengono poste
ai politici, chissà perché, danno adito a quelle
“polemichette” a cui accennavo all’inizio e vengono
evocate colorite espressioni, quali “interviste in
ginocchio” (o peggio, attingendo ad alcuni capitoli
dell’ars amatoria). Quel che diverte (anche me) è
che i giornalisti spesso si accusano reciprocamente
di sostituire le domande con quelle pratiche
compiacenti e disonorevoli; che alcuni attempati
cronisti salgano in cattedra per accusare i colleghi
più giovani di essere servizievoli nei confronti del
potere dopo esserlo stati per una vita; che costoro,
a loro volta, rispondano per le rime, ma senza voler
affondare la lama fino all’elsa nel petto dei
capponi che si pavoneggiano.
Poiché
anche io a volte mi sono esibito, anche in questa
rubrica, nell’esplicitare il frutto di alcune mie
riflessioni riguardo l’arte del porre domande ai
potenti, mi sento in dovere di ribadire che valgono
alcune regole generali, tutte collegate con il fine
che si propone chi si dedica a quest’arte e che non
ha senso soffermarsi a chiedere se una domanda (un
quesito) rivolta ad un gestore del potere sia
scomoda, se sia compiacente e servizievole, se
assomigli alla battuta che la spalla porge al comico
protagonista, se eviti accuratamente ogni
spigolosità. Mi viene in mente la differenza
principale che i romani ci hanno insegnato a
proposito del “chiedere”, che è assai simile (anche
se non del tutto identico) al “domandare”. La
differenza è tra il “chiedere per sapere” e il
“chiedere per ottenere”. Credo che, quando si chiede
qualcosa ad un potente, questa differenza sia
importante e che solo la coscienza di ciascuno (si
sia o non si sia giornalisti non conta) può dare una
risposta all’interrogativo: sto chiedendo per sapere
(e magari riferire poi ad altri quello si è saputo)
o sto chiedendo per ottenere?
Dopo aver espresso il mio divertimento
nell’assistere alle “polemichette” tra giornalisti
che si scambiano accuse sul modo di intervistare una
personalità politica, esprimo il mio personale senso
di disgusto nell’accorgermi, quando me ne accorgo,
che qualcuno che nella vita non ha fatto altro che
chiedere per ottenere (anche conducendo
un’intervista, trasformando gli esplicitati quesiti
in implicite richieste), ottenendo quasi sempre ciò
che veniva esplicitamente o implicitamente chiesto,
accusa qualcun altro di fare la stessa identica
cosa. Evidentemente, questo qualcuno o non si pone
di fronte allo specchio per interrogare la propria
coscienza, o non possiede uno specchio. O, mi balena
una terza ipotesi… forse non possiede una coscienza. |