Il corrosivo del 29 novembre 2011   

 

Vendesi città della cultura

 

     Penso che sempre di più l’assessore Guido Campana stia diventando il paradigma vivente dell’atteggiamento dell’amministrazione comunale di Teramo nei confronti della cultura e dei rapporti che in genere, ma anche nello specifico, la classe dirigente di questa città intende avere con un settore tanto importante della nostra vita sociale. Non è stata mai data alla cultura dignità di rappresentazione in un ruolo assessorile e ne è stata sancita una privatizzazione di fatto affidata alle banche e alle fondazioni e a chi le gestisce, con tutta evidenza con un piglio “padronale”. Il quale tratteggia l’intenzione di chi, volendo passare per mecenate, in realtà tiranneggia ogni scelta, calando dall’alto politica culturale, calendari degli eventi, attività e artisti da promuovere, conventicole di raccomandati e auto-referenziati (oggi si usa dire così) personaggi, che privilegiano un rapporto di fedeltà (diverso dal rapporto di lealtà, tipico dell’amico, mentre quello di fedeltà è tipico del cane) come elemento basilare del proprio successo.

 

     Al tempo stesso ci si affida all’assessore Campana, in perenne ricerca di una propria identità e di un proprio spessore (cosa peraltro difficile, e per lui impossibile) per ammannire al popolo quel che chiede, o che si presume che chieda, in termini di più o meno costosi “circenses”, eventi effimeri e transeunti, sagre e “divertissements”, notti bianche o capodanni in piazza. La cortina fumogena che viene chiamata a giustificare il disdoro di certe iniziative più che discutibili del “nostro” assessore alle feste e alle festicciole è densa di richiami al consenso popolare (o elettorale?) che si registrerebbe riguardo a questa pirotecnica serie di offerte e di proposte, che fanno pensare al successo che si ha se si getta un pugno di noccioline dentro la gabbia delle scimmie.

     Teramo città della cultura è in vendita, anzi, è stata già venduta, a poco prezzo, vilmente svenduta. Quel poco che è rimasto sta per essere venduto, sempre a poco prezzo. Chi l’ha comprata e la sta ancora comprando ne gestisce ogni aspetto solo in vista della perpetuazione, e magari trasmissione ai figli, del proprio potere politico, economico, bancario e personale. Al resto, che potrebbe sembrare di valenza culturale, ma non lo è,  pensa l’assessore Campana, con l’estenuante “filare e tessere” del suo telefonino, perennemente incollato al suo orecchio, in un intreccio di relazioni con circoli bocciofili, installatori di luminarie pubbliche e organizzatori di spettacoli. Se Campana è il paradigma vivente dell’attuale livello della cultura teramana, con i consiglieri comunali che si affannano a discettare del “pergolato”, parlando a naso e annusando con la bocca, quell’albero posticcio piantato in questi giorni in Piazza Martiri lo è del concetto di effimero dell’assessore Campana. Un blocco di cemento sorregge un palo, presumibilmente anch’esso di cemento, al quale, tramite dei fili di ferro, sono attaccati dei rami veri Sarà rivestito tra breve con palline luminescenti e policrome e sarà il totem di un capodanno in piazza al quale verrà affidato un compito da carnevale. L’amministrazione Brucchi vuole stupire e impressionare i cittadini, come fa con i bambini il venditore di palloncini quando fa fluire dalla sua bocca straordinarie bolle di sapone: una ad una, a grappolo, in serie, e poi queste, dopo aver volteggiato per qualche istante nell’aria, scoppiano, lasciando il nulla a proprio ricordo, disillusione e smarrimento, oltre che tristezza, sul volto dei piccoli astanti e un senso di precaria esistenza, basata sullo sgomento.
     Signore e signori, accorrete. La cultura di una città è in svendita e una città della cultura è in vendita. Accorrete, passeggeri e venditori di almanacchi, l’assessore Campana vi regala lunari nuovi, non costano nulla, nemmeno trenta soldi. E in questi lunari troverete, non proprio la felicità, ma almeno la promessa della felicità, una promessa che non durerà tutto l’anno, ma almeno quanto l’ultimo giorno dell’anno. Radunatevi tutti sotto quest’albero posticcio dal fusto posticcio e dai rami veri. Ballate, ballate, a gloria del Signore, che ha la “Esse” maiuscola pur non essendo il Signore che pensate; del Principe, che considera la cultura come mercato e la trasforma in una cosa posticcia, come quest’albero. A suo tempo, dopo che la rivoluzione francese  diffuse anche qui da noi il concetto di eguaglianza, anche su questa piazza venne innalzato un albero della libertà, simbolo dei nuovi tempi e della rivolta dei cittadini, non più sudditi, contro i re e i principi.
     Oggi quest’albero mi appare come un albero di servitù, e perciò il feticcio di un ritorno del cittadino al rango di suddito, trattato come un lacchè e allietato con l’offerta abbondante di feste e festicciole, nell’abbandono di ogni progetto di crescita culturale, nell’astuta consapevolezza che si possa più facilmente dominare un popolo, o un elettorato, mantenendolo nell’ignoranza.