Al tempo
stesso ci si affida all’assessore Campana, in
perenne ricerca di una propria identità e di un
proprio spessore (cosa peraltro difficile, e per lui
impossibile) per ammannire al popolo quel che
chiede, o che si presume che chieda, in termini di
più o meno costosi “circenses”, eventi effimeri e
transeunti, sagre e “divertissements”, notti bianche
o capodanni in piazza. La cortina fumogena che viene
chiamata a giustificare il disdoro di certe
iniziative più che discutibili del “nostro”
assessore alle feste e alle festicciole è densa di
richiami al consenso popolare (o elettorale?) che si
registrerebbe riguardo a questa pirotecnica serie di
offerte e di proposte, che fanno pensare al successo
che si ha se si getta un pugno di noccioline dentro
la gabbia delle scimmie.
Teramo
città della cultura è in vendita, anzi, è stata già
venduta, a poco prezzo, vilmente svenduta. Quel poco
che è rimasto sta per essere venduto, sempre a poco
prezzo. Chi l’ha comprata e la sta ancora comprando
ne gestisce ogni aspetto solo in vista della
perpetuazione, e magari trasmissione ai figli, del
proprio potere politico, economico, bancario e
personale. Al resto, che potrebbe sembrare di
valenza culturale, ma non lo è, pensa l’assessore
Campana, con l’estenuante “filare e tessere” del suo
telefonino, perennemente incollato al suo orecchio,
in un intreccio di relazioni con circoli bocciofili,
installatori di luminarie pubbliche e organizzatori
di spettacoli. Se Campana è il paradigma vivente
dell’attuale livello della cultura teramana, con i
consiglieri comunali che si affannano a discettare
del “pergolato”, parlando a naso e annusando con la
bocca, quell’albero posticcio piantato in questi
giorni in Piazza Martiri lo è del concetto di
effimero dell’assessore Campana. Un blocco di
cemento sorregge un palo, presumibilmente anch’esso
di cemento, al quale, tramite dei fili di ferro,
sono attaccati dei rami veri Sarà rivestito tra
breve con palline luminescenti e policrome e sarà il
totem di un capodanno in piazza al quale verrà
affidato un compito da carnevale. L’amministrazione
Brucchi vuole stupire e impressionare i cittadini,
come fa con i bambini il venditore di palloncini
quando fa fluire dalla sua bocca straordinarie bolle
di sapone: una ad una, a grappolo, in serie, e poi
queste, dopo aver volteggiato per qualche istante
nell’aria, scoppiano, lasciando il nulla a proprio
ricordo, disillusione e smarrimento, oltre che
tristezza, sul volto dei piccoli astanti e un senso
di precaria esistenza, basata sullo sgomento.
Signore e signori, accorrete. La cultura di una città è
in svendita e una città della cultura è in vendita.
Accorrete, passeggeri e venditori di almanacchi,
l’assessore Campana vi regala lunari nuovi, non
costano nulla, nemmeno trenta soldi. E in questi
lunari troverete, non proprio la felicità, ma almeno
la promessa della felicità, una promessa che non
durerà tutto l’anno, ma almeno quanto l’ultimo
giorno dell’anno. Radunatevi tutti sotto
quest’albero posticcio dal fusto posticcio e dai
rami veri. Ballate, ballate, a gloria del Signore,
che ha la “Esse” maiuscola pur non essendo il
Signore che pensate; del Principe, che considera la
cultura come mercato e la trasforma in una cosa
posticcia, come quest’albero. A suo tempo, dopo che
la rivoluzione francese diffuse anche qui da noi il
concetto di eguaglianza, anche su questa piazza
venne innalzato un albero della libertà, simbolo dei
nuovi tempi e della rivolta dei cittadini, non più
sudditi, contro i re e i principi.
Oggi quest’albero mi appare come un albero di servitù,
e perciò il feticcio di un ritorno del cittadino al
rango di suddito, trattato come un lacchè e
allietato con l’offerta abbondante di feste e
festicciole, nell’abbandono di ogni progetto di
crescita culturale, nell’astuta consapevolezza che
si possa più facilmente dominare un popolo, o un
elettorato, mantenendolo nell’ignoranza.
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