Veder
riaffiorare il sorriso sul volto di un uomo o di una
donna che un malore aveva appannato o cancellato,
trasformandolo in una smorfia di dolore o in uno
sguardo assente, deve essere per chi ha operato quel
miracolo un’esperienza così intensa da togliere il
fiato. Aver restituito una persona all’affetto dei
propri cari, alla gioia del vivere e all’antico
benessere, deve produrre, ne sono certo, nell’animo
di chi ha così sapientemente adoperato il bisturi,
una sensazione ineguagliabile di profondo
compiacimento, che può essere paragonata solo alla
gratitudine che ha nei suoi confronti chi ha
beneficiato della sua perizia. La stessa
soddisfazione deve provare un medico che, senza un
intervento chirurgico, ma con una cura competente ed
esperta, ha sortito lo stesso effetto, salvando una
vita umana o restituendo la buona salute a chi
l’aveva perduta.
Pensate ora alla disperazione e al senso di vuoto
che deve provare un chirurgo, o un medico, che sa di
aver fatto tutto per conseguire il buon esito sopra
ricordato senza riuscirci, non per propria colpa,
avendo la consapevolezza di aver fatto tutto il
possibile e anche di più, di essersi impegnato al
massimo con scienza e coscienza, non conseguendo il
premio che aveva sperato per il proprio impegno e
avendo assolto fino in fondo al giuramento di
Ippocrate.
Solo pensando alla soddisfazione e alla disperazione
che ho sopra richiamate, si può riuscire a
concepire, almeno in parte, quanto sia esecrabile il
comportamento di chi, operando nel campo della
sanità, medico, paramedico o dirigente, si rende
responsabile di errori, omissioni, indifferenze,
incompetenze, producendo conseguenze gravissime e
irreparabili; di chi si cura delle patologie e non
dei malati; di chi nei confronti di questi non si
mostra amorevole e compartecipe; di chi esibisce
indifferenza e superficialità; di chi considera la
propria professione e l’esercizio dell’arte medica
solo come strumento di arricchimento personale e di
carrierismo; di chi si preoccupa solo di rincorrere
posti di prestigio e di ben retribuiti primariati.
Pensate perciò a quanto possa essere vile il
comportamento di chi specula sulla pelle degli
altri, spregevole quello di chi, contravvenendo al
giuramento di Ippocrate, rinnega scienza e coscienza
e agisce solo in vista di un mercimonio mai
abbastanza condannabile sul piano etico e morale.
Pensate a quanto possa essere considerata volgare,
nel senso più autentico del termine, una politica
che renda la sanità serva e strumento di ambizioni
personali; quanto miserevole chi percepisce tangenti
o chi le conferisce, chi allunga le liste di attesa
di esami diagnostici e di visite specialistiche, chi
vuol solo favorire gli illeciti arricchimenti degli
operatori della sanità privata o chi specula sui
posti letto nell’attesa di ritorni economici o
politici, chi nomina primari incompetenti solo per
ragioni di parte o chi impone tagli indiscriminati
senza riuscire a qualificare la spesa o ad
individuare gli sprechi e le loro ragioni.
Rivolgo un pensiero pieno di gratitudine verso
quanti, nel campo della sanità, sono rispettosi dei
diritti del malato e delle sue debolezze e si
dedicano a lenirle, avendo come fine primario la
soddisfazione che si può trarre dal buon esito del
proprio intervento e considerando secondario il fine
di un miglioramento delle proprie condizioni
economiche o di carriera. Rivolgo un pensiero di
esecrazione e di condanna verso quanti, nello stesso
campo, non badano che a se stessi e al proprio
egoismo, non rispettano il malato pur combattendo la
malattia e per questo prima o poi incorrono in
superficialità o trascuratezze fatali, insomma a
quanti considero “gli spergiuri di Ippocrate”. |