Il corrosivo del 18 ottobre 2011
Informazione e comunicazione: la voce del padrone
Non esiste al mondo un lavoro, ovviamente legittimo e
legale, che non si possa fare con dignità, anche il più
umile o il più usurante. Perfino esercitare il mestiere
più antico del modo (avete capito a cosa alludo, perché
viene quasi universalmente definito così ed è
perfettamente legale, considerato che nessun codice
penale lo sanziona), si può farlo con dignità.
Figuratevi, perciò, se non si possa fare con dignità il
lavoro di addetto stampa o di impiegato in un ufficio
stampa, sia privato che pubblico. Anche il ruolo di
portavoce, cioè di comunicatore di pareri altrui, lo si
può fare con dignità. Ma sono in molti a non avere
questa dignità e molti ne mancano a tal punto da
costringerci a pensare che costituiscono veri e propri
esempi di prostituzione intellettuale. Ope legis, cioè
per forza di legge, (i portavoce no, ma gli addetti
stampa sì), devono essere giornalisti, iscritti
all’ordine, avere il tesserino ed essere in regola con i
pagamenti della quota d’iscrizione, non poco
consistente, sulla cui gestione non c’è alcuna chiarezza
contabile. Anche il mestiere di giornalista si può farlo
con dignità e sappiamo tutti che pochi ne hanno
abbastanza, coincidendo essa con l’indipendenza e la
libertà di espressione e con la totale assenza di
“servile encomio e di codardo oltraggio”.
Non si può non
ammettere, però, che conservare la propria dignità nel
far parte di un ufficio stampa, sia privato che
pubblico, è assai più difficile, perché, mentre il
giornalista viene pagato da un editore ma non deve
rispondere ad altri che ai suoi lettori, l’addetto
stampa viene pagato da chi lo ha assunto e a lui
risponde direttamente.
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Per essere più chiari, dovremmo dire
che un addetto stampa non è un giornalista, ma un
comunicatore; il suo compito non è quello di
informare, dando notizie senza censure e
commentandole, ma quello di comunicare. Dovremmo poi
aggiungere che ciò viene incaricato di comunicare è,
in un modo o nell’altro, ciò che interessa a chi gli
passa lo stipendio, cioè la voce del padrone.
E’ davvero strano che per essere addetti stampa in
un ente pubblico si debba essere per forza
giornalisti iscritti all’ordine, perché, di fatto,
passando dal giornalismo ad un ufficio stampa, il
giornalista cessa di essere tale e diventa un
comunicatore. Poiché il giornalismo è il quarto
potere, dopo quello legislativo, quello esecutivo e
quello giudiziario, va considerato come una specie
di magistratura, che dovrebbe ovviamente essere
indipendente, come la magistratura giudiziaria.
Bisognerebbe anche considerare opportuno che un
giornalista si dimettesse, o quanto meno si
sospendesse dalle sue funzioni, quando assume il
ruolo di comunicatore ed entra a far parte di un
ufficio stampa.
Sono molto dispiaciuto che molti giovani
giornalisti, spinti dal precariato e dalle basse
retribuzioni (due o tre euro a pezzo, quando va
bene), guardino con invidia i colleghi che entrano a
far parte degli uffici stampa di enti pubblici,
godendo così di uno stipendio che considerano
“dignitoso”, quando invece è proprio questo
passaggio che assai spesso fa perdere dignità. Li
capisco, perché capisco la loro frustrazione, ma mi
fa rabbia vederli inseguire anche loro il sogno di
diventare, da grandi, dei comunicatori, e
considerare la realizzazione di quel sogno come una
promozione e non come uno scadimento, come in
effetti è. La comunicazione è l’esatto opposto
dell’informazione: uno spot pubblicitario ci
comunica, non ci informa. Quando si passa ai
colleghi (anzi, agli ex colleghi) il comunicato di
un sindaco o di un presidente di ente pubblico, si
comunica, non si informa, e non lo si fa in maniera
“indipendente”.
Se un
magistrato si presenta candidato alle elezioni, si
sospende dalla magistratura (farebbe assai meglio a
dimettersi, senza perciò farci poi trovare di fronte
alla stortura di un suo rientro successivo, al
termine della sua carriera politica); perché un
giornalista che entra a far parte di un ufficio
stampa non si sospende dall’ordine dei giornalisti
(farebbe assai meglio a dimettersi, senza perciò
farci trovare di fronte ad una stortura paragonabile
a quella evocata prima)? Che credibilità conserva il
giornalista che, dopo essere stato per anni il
passacarte di un ufficio stampa, torna a fare il
giornalista, cioè viene costretto a indossare di
nuovo la sua toga di osservatore indipendente della
successione dei fatti, anche politici, che è
chiamato a riferire e a commentare? Si badi bene,
non si vuole sostenere che il giornalista deve
essere osservatore imparziale, cioè al di sopra
delle parti. No, il giornalista può essere, anzi,
deve essere di parte. E fa il suo dovere quando ci
dice con chiarezza da che parte sta, invece di
volerci far credere che non sta da nessuna parte,
lasciando a noi il compito di capire da che parte
sta, compito difficile quando sta una volta da una
parte una volta dall’altra. Il giornalista può
essere di parte ed essere lo stesso indipendente,
coincidendo la sua indipendenza con la sua libertà e
con il dipendere solo da sé. L’addetto stampa, cioè
il comunicatore, è sempre di parte, ma non è
indipendente e non è libero, perché dipende troppo
direttamente da chi lo ha assunto e da chi lo
stipendia. Per questo non è libero e gli è molto
difficile conservare la dignità, che difatti non
molti riescono a conservare. |
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