Il corrosivo del 4 ottobre 2011   

 

Insegnavamo alla marinara

 

    Insegnavamo alla marinara, come sapevamo (ciascuno in base al proprio sapere) e come potevamo (ciascuno in base al proprio potere), senza che nessuno ci avesse insegnato a farlo e avendolo appreso da noi come avevamo saputo e come avevamo potuto, mediante alcune “letture corsare” fatte quasi di nascosto dai nostri insegnanti, i quali avevano fatto di tutto per impedirci, o ostacolarci, il piacere della lettura. Negli anni della contestazione giovanile, che ebbero dal 1968 un abbrivio che sembrò incontenibile, insegnavamo alla corsara, all’arrembaggio, solcando con veloci e snelle imbarcazioni le onde impetuose del mare dell’ignoranza, tentando di prendere a bordo il maggior numero di giovani naufraghi, salvandoli da una lacrimevole fine. Molti riuscivamo a trarne sul ponte, lanciando loro delle gomene che afferravano con speranza; molti altri si ostinavano a rifiutarle, trovando troppo dolce quell’inconsapevole abbandonarsi alla corrente, e noi eravamo costretti a lasciarli al loro destino, vedendoli sparire tra le onde. Che avremmo potuto rispondere a quel loro protestare che “chi sa troppo, troppo soffre”, e che “accrescendo la conoscenza, si accresce anche la sofferenza”?

 

     Che avremmo potuto dire? Avremmo potuto dire, e non saremmo stati creduti perché non lo siamo stati quando ci abbiamo provato, che è meglio vivere da Socrate e morire di cicuta che crogiolarsi nel fango e morire sul trogolo come fanno i porci di Beozia?

     Insegnavamo sforzandoci di non farlo come lo avevano fatto i nostri maestri, che non sempre erano stati tali, i quali ci avevano tenuto così a lungo nelle angustie di una piatta accademia e di una sterile erudizione. Abbiamo cercato di perseguire quello che ci pareva l’obiettivo principale: suscitare interesse e partecipazione in chi ci ascoltava, considerare chi lo faceva non come un sacco vuoto da riempire con nozioni, ma come una pianticella da far crescere fino a farla diventare prima un robusto virgulto e poi un frondoso albero in grado di dare ombra ai viandanti. Ora che siamo diventati, noi, querce secolari, dalla scorza indurita ma con tante crepe e tanto seccume, con le nostre chiome sfrondate, ora che siamo quasi soltanto legna da ardere, rivolgiamo un’incerta attenzione a quanti cercano oggi, come facevamo noi ieri, di praticare la difficile arte dell’insegnare, senza più punti di orientamento, essendosi smarrita ogni bussola intellettuale e morale.
     Insegnavamo alla marinara, gli uni partendo dall’umile ruolo di mozzo per arrivare fino a quello più impegnativo di comandare un equipaggio e dirigere un naviglio; gli altri preferendo continuare ad essere soltanto marinari, impegnati alle vele o ai remi, nella pulizia del ponte o nel maneggio degli ormeggi. Insegnavamo cercando di scendere sistematicamente nelle nostre stive, dove avevamo caricato le nostre culturali  vettovaglie, che riportavamo alla vista perché i naufraghi da noi raccolti, assetati e affamati, se ne dissetassero e se ne cibassero. Cercavamo di presentare i nostri pensieri come i fili di un ordito, perché avessero almeno la forma, se non la sostanza, di un intreccio combinato con arte e ragione, e non quella di una serie di singulti di emozioni. Cercavamo di essere credibili, perché lo erano troppo i venditori di fumo con i quali dovevamo competere, affinché il loro fascino non risultasse superiore al nostro agli occhi dei giovani che cercavamo di rendere migliori di noi, aiutandoli a guarire da quella malattia spesso mortale, a cui non sempre si sopravvive, molte volte inguaribile, che è la gioventù.
     Insegnavamo alla marinara, cercando di apprendere da coloro ai quali insegnavamo. Poi abbiamo smesso di insegnare e molti di noi hanno smesso anche di imparare. E’ che siamo stati travolti e i luoghi dove si insegna non sono più unici, ma molteplici, ed è ripresa l’antica, pessima usanza di insegnare non il vero, ma il verosimile, quando non addirittura il falso. Ma anche quando insegnavamo noi, alla corsara, c’era chi praticava il contrabbando e spacciava merce contraffatta o proibita. Oggi i mari sono pieni di vascelli pirati,, non corsari, che scaricano dalle loro stive ogni genere di mercanzia; l’accumulano nei magazzini di porti e angiporti per una distribuzione al dettaglio che avvelena chi ne fa uso. Insegnavamo alla marinara, noi; nelle scuole oggi non c’è più nulla da insegnare e nessuno lo fa; chi vuole apprendere è costretto a farlo da sé… alla marinara.