Il corrosivo del 5 luglio 2011      

    

    

     Il governatore Chiodi, in qualità di commissario liquidatore (tale è, trattandosi di un fallimento vero e proprio), e il sub commissario Baraldi, in qualità di sub liquidatore (per il motivo sopra esposto), ce la stanno mettendo tutta. Non si può negare che stiano, anche (sottolineo anche) tentando di razionalizzare le spese, di limitare quelle improduttive, di finalizzarle ad un miglioramento qualitativo di alcuni settori e di alcuni reparti ospedalieri, di aver affidato ai direttori generali delle ASL il compito di ridurre i costi e le cifre della mobilità passiva verso altre regioni. Ma non si può nemmeno negare che, essendo primario il risanamento dei conti e dei bilanci, abbiano soprattutto indicato ai direttori generali che l’obiettivo fondamentale è contenere la spesa, anche a scapito della quantità e della qualità dei servizi erogati.

     Le scuse e le giustificazioni sono risapute e si stanno trasformando in alibi: il fuori giro nei conti è colpa degli amministratori precedenti, la pesante situazione debitoria è stata determinata da altri, a dilapidare ingenti risorse sono state altre giunte e altri partiti, ad arricchirsi alle spalle della sanità abruzzese sono stati i padri e i nonni e loro sono i nipoti, tutt’al più… Cose risapute, ma la sostanza non cambia.

     L’urgenza del contenimento della spesa non consente di badare troppo per il sottile, così lo strumento privilegiato, “obtorto collo”, è il taglio indiscriminato. Si taglia dove si può, dove chi viene tagliato non sbraita e non strilla troppo, si taglia qua e là dove capita e dove tagliare è più facile.

 

     Dove occorrerebbero quattro operatori sanitari se ne tengono due, dove si può si chiudono reparti ed ospedali, dove si può si nominano primari validi, dove non si può si lasciano quelli che ci stanno (valgano quel che valgono), dove è facile si smantellano sistemi di potere, dove non è facile, anzi è difficile, si lasciano in vita e operosi quelli che si sono consolidati nel tempo. Si mettono ticket al massimo del consentito, si impongono sacrifici anche in servizi essenziali, si taglia anche nei pronto soccorso, dove già da tempo il soccorso c’è ma non è pronto e dove sta per venire meno anche il soccorso e verrà meno al più presto. Concorsi ed assunzioni nemmeno a parlarne; privilegi di casta, quelli veramente radicati, restano intoccabili e gli sprechi determinati da questi privilegi restano immuni da ogni intervento.

     Viene da pensare che il compito affidato ai direttori generali delle Asl abruzzesi sia quello di killer, killer della sanità regionale, con piena ed ampia licenza di uccidere. Molte delle scelte e delle decisioni di questi direttori richiamano con troppa evidenza il compito che solitamente viene affidato ai sicari dai mandanti di un omicidio. Compresa la tendenza a far sì che non si possa risalire dai sicari alla precisa volontà dei mandanti. Ecco allora il continuo ribadire che i sacrifici sono oggettivamente necessari, che sono dettati dalle circostanze, causati da chi ha determinato gli sprechi precedenti, il continuo ripetere che i conti non sono a posto e devono essere rimessi a posto, che comunque resta importante che l’intero sistema consenta ad ogni Asl di ridurre le cifre della mobilità passiva e che si è sulla buona strada.

Intanto l’utenza, che è anche una pazienza (considerato che gli utenti delle Asl sono pazienti), sta diventando sempre più un’impazienza e, anzi, una vera insofferenza. Nei pronto soccorsi si fanno file di ore; nei reparti, molti dei quali sono chiusi, non ci sono posti letto; alcuni ospedali sono in sofferenza; si pagano ticket su ricette e farmaci; altri ne vengono annunciati, insieme con altri esborsi che la regione sta per decidere in altri settori; le liste di attesa per analisi anche di routine e per visite specialistiche si allungano e chi deve affrontare una malattia sa che dovrà affrontare una “via crucis”.

     Doversi affidare alla sanità privata, in luogo di quella pubblica, è sempre più necessario, se si vuole sperare di mettere mano con prontezza a situazioni di disagio, oggi più di ieri, anche oggi che la sanità privata è complessivamente quel che residua dagli interventi della magistratura. E’ evidente che la sanità pubblica è il grande malato, forse terminale, e chi si sta affannando al suo capezzale con il ruolo di direttore generale di Asl non lo sta curando, ma sta attentando alla sua sopravvivenza. Ecco perché si tratta di un compito che mi fa pensare a quello che viene affidato solitamente ad un sicario. Ad un killer, appunto.

     Ma c’è un altro sospetto. Che la sanità pubblica abruzzese non sia solo malata, ma addirittura morta, già uccisa. Uccisa da quanti hanno cooperato dolosamente o colposamente alla sua eliminazione, da quanti prima l’hanno dissanguata, provocando un’emorragia imponente di risorse e di erogazioni di servizi, e poi massacrata e definitivamente fatta fuori. In questo caso l’impressione non meno negativa, anzi più negativa, che si ha è che chi opera al capezzale di questo malato un po’ speciale che è la sanità abruzzese, finge di credere che sia ancora in vita, ma sa benissimo che è già morto. Il sospetto è che il compito affidato ai direttori delle Asl abruzzesi sia non quello di killer, ma quello di becchino. E’ un sospetto grave. E’ una sensazione terribile e angosciante.