Il corrosivo del 7 giugno 2011

 

         

     Mi è capitato non poche volte, anzi moltissime, di votare per me stesso. Non l’ho mai ritenuto disdicevole. Trovatomi candidato in qualche elezione (quasi tutte candidature di servizio e/o di testimonianza), non ho mai creduto che per “questione di stile” dovessi astenermi dal votarmi. Qualsiasi altra considerazione in senso contrario cedeva il passo a quella conclusiva, che mi induceva a chiedermi come potevo chiedere fiducia, e conseguentemente il voto, agli altri, se non la chiedevo in primis a me stesso. Mi interrogavo: come puoi pretendere che gli altri si fidino di te se tu per primo non esprimi fiducia piena in te stesso? Ho parimenti giudicato positivamente quanti, trovandosi nelle stesse condizioni, scrivevano il proprio nome sulla scheda.

     Non è stato per questo che dal 1995 non ho più votato. Insomma, voglio dire (e con molta chiarezza) che non ho smesso di votare solo perché non sono più stato candidato, anche se non nascondo che ad indurmi a non votare più è stata la mancanza di fiducia: non ho più avuto un partito credibile da votare e un candidato meritevole della mia fiducia.

 

     Ho così fatto parte della crescente schiera degli astenuti, quasi un partito maggioritario, però la mia motivazione non è stata la pigrizia, ma la sfiducia totale, completa, senza appello, nel sistema politico generale, nel quale è venuta meno ogni differenziazione tra destra e sinistra e in cui la mancanza di valori ha prodotto guasti enormi. Dopo tanti anni, domenica prossima tornerò a votare. Dovrò attivarmi per avere un certificato elettorale, avendo tanti anni fa stracciato la mia tessera, di cui non ho avuto più bisogno. Ai referendum voterò, pur offeso (anzi indignato) dal fatto che il sistema politico abbia vanificato i risultati dei referendum precedenti, non tenendo conto del loro esito, o sciupato il loro valore inflazionandoli e facendovi ricorso per motivi a volte assai banali. Voterò ai prossimi referendum perché, almeno a mio avviso, essi hanno riacquistato un’importanza significativa, non solo simbolica, anche se la portata simbolica è prevalente. Voterò e voterò quattro sì, convinti e determinati.

     Veniamo ai quesiti, uno per uno. I primi due riguardano la cosiddetta “privatizzazione dell’acqua”. Al di là di considerazioni tecniche, c’è una riflessione che si impone alla mia attenzione ed è dettata da un’argomentazione che ho sentito esporre dai sostenitori del ”no”, in primis da Walter Mazzitti, da tempo impegnato sul fronte delle acque. L’ex ambientalista (tale lo considero) teramano ha detto più o meno: una grande quantità di acqua viene sprecata dall’inefficienza della rete di acquedotti che viene gestita dalla cattiva politica. Sottraiamo alla cattiva politica la gestione delle risorse idriche ed eviteremo gli sprechi, perché gli investitori privati avranno tutto l’interesse ad evitarli e a salvare così i loro investimenti. Ho provato ad estendere il ragionamento (è un buon metodo in generale per la valutazione dei ragionamenti) e mi sono accorto che la sua estensione porterebbe a conclusioni assurde (è il metodo di verifica che ci ha insegnato il filosofo greco Zenone). Se dovessimo affidare ai privati (e quindi sottrarre alla gestione pubblica) tutto ciò che non funziona e produce sprechi, finiremmo con il cedere ai privati tutte le competenze dello Stato, comprese prerogative che gli appartengono naturalmente. Funziona la giustizia in Italia? No, allora affidiamola ai privati, che avranno tutto l’interesse a farla funzionare. Funziona la sanità? No, allora affidiamola tutta ai privati, sottraendola alla cattiva politica. Ma siamo sicuri che le cose migliorerebbero? D’altro canto abbiamo affidato ai privati la gestione delle autostrade e constatiamo ogni giorno che non per questo essa è migliore di quanto non sarebbe se fosse affidata allo Stato. Essendo primario in ogni gestione privata il conseguimento di un profitto, avviene spesso, come nel settore delle autostrade, che per accrescere i ricavi vengono aumentati i pedaggi senza che nel contempo aumenti la qualità del servizio.

     E’ evidente che la soluzione per migliorare il servizio di distribuzione dell’acqua, così come quello dello smaltimento dei rifiuti, così come quello della sanità, così come quello di ogni altro settore, non è l’affidamento ai privati. Inoltre beni primari come l’acqua, che viene prodotta dalla natura e non dal mercato e che il mercato si limita a controllare e a distribuire, con molte ingiustizie sul piano planetario, non è la panacea, la soluzione di ogni problema. E’ evidente che chi si propone di affidare ai privati la distribuzione dell’acqua o la gestione delle reti idriche intende favorire la speculazione privata su un bene pubblico. Per questo voterò sì ai primi due referendum, volendo l’abrogazione della legge che questa speculazione consente.

     Il terzo referendum chiede se si voglia abrogare una norma che consente al primo ministro e ai ministri di accampare la scusa di un impedimento, ritenuto di per sé legittimo, qualora venga chiamato a comparire davanti ad un tribunale per difendersi dall’ipotesi accusatoria di un magistrato inquirente. Mi pare così banale affermare che non si debba consentire a nessuno di difendersi non nel processo, ma contro il processo, nel tentativo di impedirlo! La storia ci presenta casi in cui perfino i re e i dittatori sono stati chiamati a rispondere dei loro reati, pubblici e privati, e alcuni di loro sono stati anche ghigliottinati in base al principio elementare dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. L’ultimo dei Luigi re di Francia pretendeva di essere al di sopra della legge, ma nessun re può esserlo e nessun presidente del consiglio, specialmente in una democrazia. Per questo voterò sì, riaffermando il principio di un’eguaglianza senza eccezioni.

     Votando sì anche sull’ultimo referendum, quello sul nucleare, darò concretezza alle riflessioni che feci tanti anni fa, leggendo un bellissimo libro di Vance Packard, intitolato “Gli apprendisti stregoni”. L’autore già rifletteva su quello che sarebbe potuto accadere se gli scienziati atomici non fossero riusciti a controllare le terribili conseguenze che sarebbero derivate da un errore anche banale nell’uso a fini pacifici di forze naturali la cui enorme potenzialità distruttiva era stata messa in evidenza nell’uso militare che se n’era fatto in Giappone sul finire dell’ultimo evento mondiale. Tutti gli interrogativi che Packard poneva sono tuttora senza risposta, a cominciare dal problema, insoluto, dello smaltimento di scorie radioattive, il cui effetto nocivo è misurabile in milioni di anni.

     E, per tornare alla gestione dei privati (che sarebbe in grado di dare migliori risultati), alla ci si vorrebbe affidare per l’acqua: ricordiamoci che in Giappone la gestione delle centrali nucleari non era affidata alla cattiva politica, ma a privati. Anche la Tyssen Krupp era affidata ai privati, ma i privati, per mantenere margini di profitto, avevano ridotto all’osso i margini di sicurezza dei lavoratori, causando così un terribile incidente. Voterò quattro sì, con piena convinzione.