Il corrosivo del 10 maggio 2011

 

    

     Se non ha smesso questa notte, anche a causa del freddo che non si decide ad abbandonarci, in queste ore Patrizio Sciroli sta ancora pedalando, a caccia del suo record, già posseduto ma che vuole riconquistare, di 10 giorni consecutivi e ininterrotti a mulinare sulle pedivelle. Non pochi tra quanti si alternano davanti al suo palco per vederlo pedalare si chiedono chi glielo faccia fare, soprattutto quando vengono a sapere che tutta quella fatica non è motivata da un’aspettativa di denaro. Si fa sempre più fatica in questo mondo dove conta soltanto il guadagno facile e più facile è e più piace, a capire come qualcuno possa impegnarsi, e impegnarsi molto, in qualcosa che non rende, ma costa tanto sul piano del dispendio di energie fisiche e mentali. L’impresa per l’impresa non è concetto facile. Non è facile capire perché un alpinista sfidi la natura, il freddo e l’altitudine, affronti il rischio di un’arrampicata ad un ottomila metri solo per il gusto di farlo. Non è facile capire perché, senza aspettarsi di guadagnare niente, qualcuno osi l’inosabile e affronti una fatica estrema e un rischio estremo solo per mettersi alla prova.

     Viviamo davvero nel ventre molle di una società dove viene privilegiato chi si dedica ad attività futili ed amene e dove viene gratificato, e molto, chi mostra di non sapere fare niente. Così una cosa che costa molto ottenere risulta strabiliante e sorprendente che uno la voglia inseguire a costo così elevato. Il fatto è che l’uomo ha sempre puntato a scoprire il proprio limite, come specie e come individuo. Si riproducono così sempre nuove edizioni del mito di Prometeo, si perpetuano le folli imprese dell’Ulisse dantesco che vuole scoprire cosa c’è al di là delle colonne d’Ercole, si susseguono le iniziative il cui fine ultimo è solo quello di misurarsi con se stessi.

 

     Un alpinista al quale fu chiesto perché volesse ad ogni costo salire in cima ad un’altissima montagna rispose: “Perché la montagna sta là”.  Puntare ad un record fine a se stesso può essere banale e di records ce ne sono davvero di futili, altri se ne potrebbero inventare di ancora più futili per arricchire l’elenco già lunghissimo, quasi infinito, del Guinness dei Primati. Ma, di per sé, la ricerca del limite estremo di una prova, di uno sforzo, della possibilità ultima in qualsiasi espressione della vita umana non ha bisogno di essere spiegata perché non può essere spiegata, come non può essere spiegata la mania del collezionista, che, qualunque sia il genere di oggetti che accumula e classifica, per il solo gusto di possederli senza esclusione alcuna, sente in sé una specie di fuoco sacro.

     Ecco allora che Sciroli pedala, perso dietro un sogno, come se volesse tramandare ai posteri una gloria che però non sarà mai tale da renderlo famoso al di fuori di una ristretta cerchia di appassionati. Ecco il maratoneta che corre non perché si aspetti di arrivare primo, ma perché vuole scoprire il proprio individuale senso del limite. Ecco l’appassionato di parapendio che vuole scoprire qual è il punto a partire dal quale comincia ad avere paura. Ecco l’esploratore artico che vuole scoprire cosa si prova quando ci si trova immersi nell’ambiente più inospitale che possa esserci sulla Terra; ecco il funambolo che si butta scriteriatamente da un ponte con l’elastico per scoprire qual è il limite estremo della paura.

Ecco: il senso del limite. C’è chi ritiene che il bello sta nello scoprirlo e nel cercare di fermarsi un po’ più in là. Fermarsi un po’ più in qua, un attimo prima è ragionevole e consigliabile. Nel primo caso non si tratta di paura, né di prudenza. Nel secondo non si tratta di coraggio, né di temerarietà. Il coraggio e la paura non c’entrano. Non c’entrano nemmeno il rischio calcolato e la mancata valutazione dello stesso. C’entra, invece, e molto, il senso di sé, il “sensus sui”, come direbbe il filosofo, la voglia di conoscersi, di scrutarsi nell’animo e di rivelarsi. “Per quanto tu possa procedere, non arriverai mai a scoprire i confini dell’anima” diceva Eraclito e sapeva quel che diceva. Il terreno per noi più esplorato siamo noi stessi e non ce n’è uno che ci piaccia di più esplorare. Chi ritiene di sapere tutto di sé in realtà non sa nulla, concretizzando ed esemplificando il detto socratico secondo cui non c’è peggiore ignoranza che il credere di sapere. Credere di conoscere noi stessi è illusorio ed è da ignoranti.

     Apparentemente queste riflessioni non hanno nulla a che vedere con altre, che venivo facendo l’altro giorno, mentre mi trovavo a Roseto, una cittadina che credevo di conoscere e che mi appariva, nelle ore della mia permanenza, irriconoscibile. Per capire il perché impiegai un po’ di tempo, ma poi ci arrivai, quando mi ricordai che si stava vivendo in clima elettorale. Ecco, mi dissi, adesso torno a capire che cos’è un clima elettorale. Si vedono vuote, strade che ci aspetterebbero piene e piene strade che ci si aspetterebbero vuote; ci si trova di fronte a presenze invece che a credute assenze e viceversa; si vedono in giro persone che camminano come zombies, sguardi stralunati e crocicchi agli angoli delle strade e nelle piazze formati da persone che danno l’impressione di essere dei cospiratori e sono in realtà degli strani confabulatori. Signori, è la campagna elettorale. C’è gente, i candidati, che non avendo ancora scoperto il senso del limite, del proprio limite, crede di poter aspirare a tutto e di poter far tutto, di aver capito tutto e di essere capace di tutto, e in nome di questa pretesa chiede di essere votata, per decidere il destino di tutti gli altri, dice, ma in realtà per fare i propri interessi e soddisfare le proprie ambizioni. Ci sono tanti altri che, non essendo candidati, attuano una strategia di posizionamento, per fare in modo, pur stando nell’ombra, di mettersi in buona luce presso il candidato che dicono di appoggiare, per poter ottenere ad elezione avvenuta l’aspirato compenso, quale che sia la monetizzazione prescelta o fatalmente destinata dall’altrui volontà.

     In questa mancanza di senso del limite c’è una totale mancanza di senso del ridicolo. Dev’essere così, altrimenti non si registrerebbe proprio durante le elezioni un paio di records dei records: il maggior numero di promesse non mantenute e il maggior numero di partiti in cui si è riusciti a militare nel breve spazio di una consigliatura.